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Mieloma Multiplo: dalla sintomatologia al trattamento

di Marzia Caposio

Colpisce prevalentemente gli over 60, può essere scatenato da fattori ambientali ma dalla comparsa dei sintomi alla diagnosi può trascorrere anche più di un mese. È il mieloma multiplo, neoplasia del sangue di cui si è parlato in occasione del Best Doctor “Mieloma multiplo: dalla sintomatologia al trattamento” con il Professor Francesco Di Raimondo

31 MAG - È la seconda neoplasia del sangue per incidenza, dopo il linfoma. Si stima che solo in Europa, ogni anno, vengono diagnosticati circa 50.000 nuovi casi e si tratta di una patologia ad andamento cronico, caratterizzata da diverse fasi che richiedono trattamenti specifici. È il mieloma multiplo, un tumore del sangue che colpisce le plasmacellule, cellule molto importanti del sistema immunitario, originate nel midollo osseo. Abbiamo cercato di fare chiarezza su questa patologia nel corso del Best Doctor dal titolo “Mieloma multiplo: dalla sintomatologia al trattamento” grazie al contributo del Professor Francesco Di Raimondo, Ordinario di malattie del Sangue presso l’Università di Catania.
 
“È una malattia piuttosto eterogenea”, spiega il prof. Di Raimondo. Come dicevamo è un tumore del sangue che colpisce le plasmacellule che derivano dai linfociti B che, insieme ai linfociti T, sono fra le principali cellule coinvolte nella risposta immunitaria. Il compito delle plasmacellule è quello produrre e liberare anticorpi per combattere le infezioni. Se la loro crescita diventa incontrollata possono dare origine al tumore.
 
Per riconoscere la patologia, “ci sono dei sintomi soggettivi che sono legati ai dolori ossei e all’anemia, e quindi ad una condizione di stanchezza, e poi ci può essere una insufficienza renale”. Tuttavia la diagnosi non sempre arriva in tempi rapidi e ciò è legato in parte proprio ai sintomi. “L’età mediana di insorgenza del mieloma è intorno ai 70 anni e a volte i dolori ossei, che sono uno dei sintomi più comuni, vengano scambiati per dolori articolari, per dolori reumatologici dell’anziano. Non è quindi infrequente che diversi pazienti arrivino a vedere l’ematologo soltanto dopo aver visto diversi specialisti come ortopedico, reumatologo, nefrologo”. Per dare una idea temporale, “da uno studio fatto da ricercatori inglesi emerge che dal momento in cui compaiono i sintomi al momento in cui il paziente viene visto dall’ematologo mediamente passa un mese e mezzo”, precisa Di Raimondo.
 

Per arrivare ad una diagnosi accurata sono necessari degli esami di laboratorio e l’esame principe è il protidogramma, “cioè l’elettroforesi delle proteine che fa vedere un eccesso di proteine di un determinato tipo”, spiega l’esperto. “Le condizioni di sospetto di malattia si hanno quando vi è un aumento delle gammaglobuline monoclonale, cioè con una banda molto stretta, oppure quando c’è una forte riduzione di gammaglobuline. È importante dire però – aggiunge - che la stragrande maggioranza dei casi in cui c’è una alterazione del protidogramma, quindi un aumento delle gammaglobuline, si caratterizza per essere una condizione non patologica bensì parafisiologica. Ci sono cioè molti pazienti che hanno un’alterazione del profilo del protidogramma dovuta ad un eccesso di proteine, ma questa condizione non si accompagna ad alcun sintomo. Ecco, in questo caso non è una condizione di malattia ma è una condizione da tenere sotto controllo per vedere se diventa una malattia ed il rischio che lo diventi è molto basso”. Per fare un esempio, infatti, “se prendiamo 100 persone che hanno una alterazione del protidogramma solo 10 di queste, o anche meno, avranno poi il mieloma multiplo”. È quindi facile intuire che è fondamentale associare sempre l’esame del protidogramma alla comparsa dei sintomi per arrivare ad una diagnosi precisa.
 
Ma da cosa deriva questa patologia?Una risposta si può trovare nei cosiddetti fattori ambientali. Una causa di malattia può essere rappresentata dalle “radiazioni ionizzanti”. È stato infatti riscontrato, spiega ancora Di Raimondo, un aumento dei casi di mieloma tra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki oppure ancora tra i radiologi che  lavoravano senza avere i moderni dispositivi di protezione. “Un altro possibile candidato, poi, sono i diserbanti. Per un certo periodo di tempo abbiamo avuto molti contadini affetti da questo tipo di malattia e si è scoperto che utilizzavano diserbanti senza protezioni”. Va comunque aggiunto, precisa l’esperto, che “in pazienti con mieloma non è raro incontrare famigliari che possono avere una gammopatia monoclonale, ma non posso dire che ci sia una importante predisposizione genetica”.
 
Una volta fatta la diagnosi, la cosa fondamentale è “definire bene la malattia con gli esami di laboratorio che valutano la funzione renale, l’anemia e, attraverso un prelievo di midollo, occorre andare a studiare le caratteristiche biologiche delle plasmacellule neoplastiche cioè a dire le alterazioni del DNA di queste cellule che potrebbero avere un significato prognostico sfavorevole oppure più favorevole. Questo è utile per modulare la terapia”. Quindi esami di laboratori e una precisa definizione dell’aggressività della malattia. Parallelamente è necessario valutare le lesioni ossee. “Mentre prima si facevano le semplici radiografie convenzionali, adesso è documentato che questo non è sufficiente per valutare delle lesioni iniziali dell’osso e quindi si utilizzano altre tecniche di imaging. In particolare la cosiddetta TC a basso dosaggio di tutto lo scheletro, oppure la risonanza della colonna vertebrale, che rappresenta il punto debole dello scheletro in questa malattia in quanto se si sviluppano delle lesioni osteolitiche delle vertebre vi è la possibilità di uno schiacciamento vertebrale che, a sua volta, è una complicanza importante del mieloma. Infine poi viene utilizzata la PET che ci fa vedere delle lesioni extra-midollari che sono indizio di una prognosi peggiore di malattia”.
 
In casi di malattia avanzata ci troviamo di fronte ad un paziente fragile, complesso, prevalentemente anziano e cono comorbidità  e che quindi ha spesso la necessità di essere supportato da un caregiver. Le molecole attualmente disponibili per trattare il mieloma multiplo permettono di controllare la malattia, ma ad un certo punto si verificano delle ricadute e man mano che il numero di queste ricadute aumenta il tumore diventa sempre più resistente alle molecole usate e quindi occorrono nuove linee di trattamento.
 
“Il mieloma è una patologia recidivante e  (per questa condizione n.d.r.) ci sono tanti farmaci nuovi e molto promettenti – spiega Di Raimondo - Abbiamo due classi di farmaci importanti che sono gli inibitori del proteosoma e i cosiddetti immunomodulatori che costituiscono la base su cui aggiungere altri farmaci. Per esempio abbiamo i nuovi anticorpi monoclonali che sono molto efficaci, oppure stanno per essere immessi nel mercato anche nuovi anticorpi coniugati cioè un anticorpo monoclonale con associato un chemioterapico. Ci sono poi in fase di sperimentazione i cosiddetti anticorpi bispecifici che sono da un lato diretti contro la cellula neoplastica e dall’altro contro i linfociti T. E poi ci sono anche delle sperimentazioni con le terapie Car-T, cellule ingegnerizzate per agire contro le cellule neoplastiche. Quindi il panorama futuro è molo promettente”.
 
All’armamentario di farmaci si è aggiunto di recente un anticorpo monoclonale anti-BCMA. Come spiegato da Di Raimondo, “esiste un antigene che si chiama BCMA, che è l’acronimo di B cell maturation antigen, che è molto bene espresso sulle plasmacellule tumorali. Contro questo antigene sono stati sviluppati degli anticorpi monoclonali che non solo agiscono aumentando un effetto immunologico contro queste cellule; questo farmaco veicola all’interno della cellula neoplastica un chemioterapico che determina una distruzione della cellula neoplastica che attiva tutto un altro circuito immunologico per cui gli antigeni liberati da questa cellula vanno ad attivare il sistema immunitario del paziente e ciò determina una ulteriore inibizione della malattia. Noi abbiamo avuto l’opportunità di utilizzare questo farmaco in pazienti con una malattia molto resistente a diversi trattamenti, pazienti trattati con cinque, sei linee precedenti di trattamento e abbiamo avuto delle ottime risposte”, conclude l’ematologo.
 
Naturalmente avere la possibilità di utilizzare un farmaco nei casi in cui i precedenti trattamenti non danno più gli effetti attesi è una grande opportunità per i clinici ed una grande speranza per i pazienti.

31 maggio 2021
© Riproduzione riservata

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