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Venerdì 15 LUGLIO 2011
Manovra. L’analisi di Grazia Labate: “Modi e strumenti vecchi. Serve un nuovo Patto per la salute”

E’ già stato detto da molti in questi giorni, sulla manovra che il Parlamento si appresta a varare.
Così come è stato detto molto sulle misure poste in essere sul fronte sanitario, che per una genovese come me, si potrebbero tradurre in “abbiamo già dato”. Se il riequilibrio dei conti pubblici è per il 46% a carico delle regioni e del sistema delle autonomie e per circa l’8% a carico della Sanità, il conto è presto fatto, il 54% viene pagato dal sistema delle autonomie e dalla protezione della salute. Stringi, stringi dai cittadini.
Il richiamo all’assunzione piena di responsabilità che è venuto, in primo luogo dal capo dello stato e dall’andamento negativo dei mercati, e che vede le forze politiche impegnate, pur nella diversità dei ruoli, ricercare su tre o quattro questioni fondamentali per il paese, un confronto reale, onorando gli impegni assunti in sede comunitaria, ha ottenuto delle attenuazioni modificative,  ma fino’ora non sulla sanità. Ciò dovrebbe indurre  tutti ad un supplemento di riflessione. Purché reale e fuori da tatticismi o furbizie perché in gioco sono il futuro del paese e diritti costituzionalmente protetti, come la salute. Il rigore o si accompagna alla crescita o non è. Purtroppo per noi la crescita non c’è e da questa manovra non se ne vede cenno.

E’ vero la casa brucia, ma usare vecchi estintori per placare le fiamme rischia di lasciare focolai ardenti e un cumulo di ceneri su cui diventa più difficile edificare. Ho letto con attenzione ed interesse le analisi sia di Spandonaro, il documento della CGIL, che quelle delle diverse categorie mediche ed è indubbio che sul piano dei dati le cose stiano come descritte e le fonti citate ed i patti stabiliti si basavano, non solo sui conti consolidati della sanità per il 2010, come testimoniato dalla relazione del procuratore generale della Corte dei Conti Giampaolino, nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica presentato alle Camere il 24 maggio ultimo scorso, ma su previsioni di crescita del paese, il PIL, e di conseguenza dell’incidenza della spesa sanitaria sul PIL per il successivo triennio, che si sono rivelate purtroppo inattendibili.
Infatti, con il DEF di aprile il Governo aveva già abbassato le stime di crescita del paese, prevedendo per il 2011  una crescita dell’1,1% in luogo dell’1,3%, nel 2012 una crescita dell’1,3% in luogo del 2%, nel 2013 una crescita dell’1,5% in luogo del 2% e nel 2014 dell’1,6% in luogo del 2,5%.
Da aprile dunque l’ultimo patto della salute siglato era messo in discussione dalla bassa crescita corretta nel DEF. Senza contare che il discorso sui LEA rischia di diventare l’araba fenice, perché la realtà è che siamo fermi a quelli del 2001, non essendo mai stati approvati i nuovi.
Inoltre i numeri parlano chiaro:la spesa pubblica per la sanità a consuntivo nel 2010 è stata pari a 113miliardi e 457 milioni di euro e la spesa sanitaria privata è stata pari a 29miliardi e 564milioni di euro. Dunque una spesa sanitaria totale di oltre 143 miliardi di euro pari al 9,5% di incidenza sul PIL con un trend in crescita che si evidenzia da come evolvono questi primi 6 mesi dell’anno in corso. Qui la prima scorrettezza istituzionale.

Ha ragione Errani, un Governo responsabile non tradisce i patti, chiama le regioni e dati alla mano si confronta e costruisce una strada condivisa, oltre i criteri già stabiliti per l’efficientamento del sistema e i parametri concordati nel patto della salute fino al 2012, per vedere come non aumentare l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL , quali misure mettere in campo per contenerla e come onorare gli impegni verso le risorse umane del sistema. Niente di tutto ciò, ma questo non vale solo per la sanità, è il metodo del prendere o lasciare, delle infinite fiducie su ogni provvedimento parlamentare, sul considerare la concertazione un disturbo che intralcia il decisionismo parolaio di cui si connota questa compagine governativa. La strada più facile è stata inseguita, sottodimensionamento delle risorse, tickets,blocco del personale e i conti tornano. Ma ha sempre ragione Errani, i conti non solo non tornano, ma i tagli sono talmente pesanti e indiscriminati che metteranno tutte le Regioni, non solo quelle oggi sottoposte a Piano di rientro,  nelle condizioni di non poter più rispettare gli impegni e gli equilibri di bilancio. E così anche le Regioni considerate “virtuose” faranno una brutta fine in barba al tanto proclamato federalismo e ai tanti vaniloqui sui costi standard.

Di fronte a questo scenario, noi che abbiamo il sistema basato sulla tassazione generale, gravida di evasione, paghiamo la sanità anche per quelli che evadono, abbiamo una incidenza sul PIL, che sta nella media europea, siamo impegnati in una lotta senza quartiere contro sprechi e inefficienze al limite del razionamento e della qualità delle cure, con il mondo tutto, degli operatori della sanità, stremato da operazioni di contenimento, blocchi del turn over, medicina difensiva, errori medici e di malfunzionamento delle strutture, che facciamo? Rispolveriamo arnesi vecchi che non portano da nessuna parte se non al rischio per il cittadino di non veder tutelata la propria salute. Chi scrive, da oltre 30 anni impegnata sul terreno delle politiche sanitarie, anche con responsabilità istituzionali oltrechè come studiosa, non può non rimarcare che farmaci e tickets sono le operazioni che si sono più usate in questo paese per far fronte ai problemi della spesa sanitaria, che la voce beni e servizi sulla quale ho predicato per anni,come Cassandra sul muro di Troia, si poteva e si può risparmiare di più, avendo il coraggio di fare anche una bella lotta all’illegalità, che spesso si annida nelle gare d’appalto, è stata trascurata o volutamente trascurata a livello centrale e solo alcune regioni 11 su 20 dal 2006 al 2009 con le centrali d’acquisto regionali in sanità hanno potuto abbattere i costi di beni e servizi dal 5 al 20%. Ed oggi finalmente si dice nella manovra che si può risparmiare, ma riaccentrando dinuovo a CONSIP. No, si deve andare avanti sulla messa a sistema in tutte le regioni, che meglio sul territorio possono valutare il rapporto qualità prezzo delle imprese fornitrici, controllare tutta la catena di comando amministrativa delle procedure, favorire attraverso l’albo dei fornitori ed il  costo qualità del prodotto la massima trasparenza possibile.

Per i farmaci, si sa che il maggiore costo deriva dalla farmaceutica ospedaliera, ma si deve anche dire che i prodotti più innovativi per le patologie oncologiche  e per i farmaci innovativi sia biotecnologici che da DNA ricombinante sono i più costosi, ma che facciamo ci rinunciamo? oppure pensiamo che chiamando le imprese a farsi carico dello sfondamento del tetto dell’ospedaliera, il problema è risolto, mandando in crisi settori della ricerca e della produzione di farmaci innovativi ad alta intensità di capitale umano? Non si poteva ragionare su come superare i costi della lunga catena distributiva che pesano sul costo del farmaco da decenni e che in realtà non si affrontano a livello di sistema? Ticket e copayments ce li aumentano da subito, ma dentro un sistema sperequato come il nostro tra reddito e patologie, che fatte salve quelle oncologiche, quelle rare, la maternità e le degenerative, dentro quelle croniche non ci sarebbe da lavorarci dentro? Un iperteso a basso e medio reddito  è sullo stesso piano di un iperteso a medio alto reddito? E sulla questione medica si può finire di giocare sull’età di pensionamento, sul prolungamento oltre ogni limite della decenza dell’intramoenia allargata di rinvio in rinvio e ragionare su tempi e metodi precisi dei rinnovi contrattuali, di investimenti certi per poterla praticare dentro le strutture, di governo clinico serio con autonomia e responsabilità reale dei budget, dentro un ospedale davvero orientato all’eccellenza e alla meda ed alta intensità di cura? E il territorio centro delle cure primarie e di continuità assistenziale, ne parliamo da anni abbiamo traguardato anche realtà importanti ma senza investimenti in questa che dovrebbe essere la priorità, non si finisce per fare la retorica della chiusura dei piccolo ospedali, che certo vanno chiusi perché non garantiscono sicurezza e qualità delle cure, ma se non si costruisce in tempi sincroni la realtà territriale di primo intervento è ovvio che le popolazioni si sollevano e intasano i pronto soccorsi di codici bianchi e verdi.

Già paghiamo un bel po’ di ticket nelle diverse realtà regionali, già abbiamo aumenti di irpef regionale e comunale con questi che si aggiungono e con il rispetto del patto di stabilità interno oltreché europeo dove si pensa di arrivare? Ecco perché di tutto ciò si doveva discutere ed affrontare in tempo utile con misure meno inique e non risolutive di queste. Mi sono esercitata in questi giorni a fare un po’ di calcoli produttivi di salute e meno iniqui. Se avessimo portato il costo di un pacchetto di sigarette a 5 euro nelle casse dello stato sarebbero entrati circa 3 miliardi di euro, avremmo avuto un allineamento al costo medio europeo, avremmo sicuramente avuto un effetto dissuasivo sui fumatori, avremmo risparmiato come servizio sanitario nazionale in termini di minori costi sia per patologie fumo correlate che per quelle gravi con esiti tumorali. E se lo stesso avessimo previsto con un aumento del prezzo sui superalcolici e i drink alcolici di 2 euro avremmo guadagnato in salute ed in risorse economiche e non risparmiato sugli operatori della sanità, senza dei quali il SSN non va avanti, anzi rischia la disaffezione o la frustrazione e il non impegno su obiettivi comuni. Perciò razionalizzare si, efficientare al massimo dell’impegno e del risparmio, ma anche investire in un settore dove il contributo alla crescita del paese può essere un volano per la crescita generale, che ci serve come l’ossigeno. Avere in mente un disegno complessivo,  scevri da pregiudiziali ideologiche, che ci facciano rafforzare le basi di sostenibilità del sistema, anche normando l’apporto del secondo pilastro integrativo, affrontando con le regioni un piano straordinario di ammodernamento delle strutture ospedaliere e territoriali del paese, ricorrendo a prestiti a lungo termine presso la BEI supportati da project-financing sul piano nazionale, una strategia che dimostri la validità di un assunto non teorico, ma reale dimostrato in tutti i paesi europei, che l’apporto alla crescita dei PIL che può dare la sanità , se si investe, è pari a circa il 7.5%   in via diretta e all’8% con le attività economiche dell’indotto.
I tempi sono difficilissimi ed esposti a venti ed intemperie, ma se non si intravede con una strategia coraggiosa dove portano i nostri sacrifici per il bene comune, a quali approdi oscuri siamo esposti? Ben vengano mobilitazioni e discussioni, ma un nuovo patto sulla salute si costruisce  insieme a cittadini, istituzioni, operatori della sanità,  perché forse così è più difficile che si compiano i tradimenti.
                                                                
Grazia Labate

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