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Venerdì 07 OTTOBRE 2011
Quale sanità?/1. Mingardi (Bruno Leoni): "Riforme liberali? Magari, ma questa classe politica non le farà mai"

Intervista ad Alberto Mingardi direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, think tank liberista, unico nel panorama nazionale e tra i più accreditati a livello internazionale.

Dott. Mingardi, a fronte di una crisi economica finanziaria pesante e duratura, in cui le manovre di aggiustamento sembrano non bastare,  pare si stia facendo strada, nel Governo ma non solo, l’ipotesi di uno “Stato leggero” che preveda la dismissione di beni e funzioni pubbliche, tra cui anche la sanità.
Lei è ottimista se crede questo.
 
Lei non ci crede?
La classe politica italiana ha un tale livello di sbandamento e una totale assenza di elaborazione intellettuale che pensare una cosa complicata come la riforma del sistema sanitario secondo me è ben oltre le loro possibilità. Il debito pubblico è un problema con cui l’Italia convive da anni cagionato da una spesa pubblica che non si riesce a comprimere. In un Paese diverso nel quale la classe politica avesse un po’ più di capacità di elaborazione probabilmente si sarebbe già cominciato a pensare da tempo a quali strategie porre in essere per alleggerire da una parte il peso dello Stato e dall’altra trovare il modo per sopperire alle stesse domande sociali attraverso meccanismi di mercato o attraverso un ricorso più ampio alla capacità di autorganizzazione della società. In Italia invece di queste cose si è deciso di non parlarne, da alcuni anni si è deciso di smetterla di chiederci quanto Stato vogliamo, si è detto che questi erano temi da lasciare a pochi teorici della politica per la discussione in convegni o in Aule universitarie e mi sembra improbabile che adesso in un momento come questo si possa riaprire la grande discussione che servirebbe per riformare in profondità il sistema sanitario.
 
Eppure il ministro Sacconi non ha mai fatto mistero del suo disegno di welfare che prevede una sanità ad universalismo selettivo con un doppio sistema assistenziale basato su due pilastri, uno pubblico pagato dalla fiscalità generale e uno privato pagato da contributi integrativi.
Lei ha visto il Governo fare qualsiasi cosa per passare dal libro bianco ad una serie di proposte concrete? Quel tentativo di aprire una discussione pubblica su quei temi è finita con lo spacchettamento del welfare nel ministero della Salute e del Lavoro e noi abbiamo un ministro della Salute che è assolutamente impermeabile a qualsiasi discussione sui sistemi sanitari.
 
Insomma lei chiude a qualunque ipotesi di ragionamento su uno “Stato leggero”?
Ripeto secondo me non se ne parla. Noi usciamo da tre manovre in cui non c’è stata una dismissione, niente tagli ma aumenti a tassi inferiori rispetto a quelli preventivati. La logica a cui lei vorrebbe guardare credo che sia molto migliore in teoria rispetto a qualunque cosa fatta finora ma presupporrebbe un ragionamento diverso cioè che ci si fermasse un secondo e ci si chiedesse come è possibile perseguire determinati scopi da una parte e dall’altra ci si chiedesse quanto Stato vogliamo. Questa cosa qua purtroppo i nostri governanti non l’hanno fatta. E più si scivola verso l’emergenza e più è improbabile che la facciano. Se lei mi chiede è auspicabile? È giusto? Bisognerebbe che questa classe politica cominciasse a pensare a queste riforme? Io le rispondo “si”. Se mi chiede ci stanno pensando? La mia impressione è assolutamente “no”.

E secondo lei a cosa stanno pensando?
Credo che stiano pensando a come sopravvivere i prossimi due mesi e anzi come sopravvivere i prossimi due mesi con il minore impatto possibile. C’è una tale sfiducia delle classi dirigenti italiane sulla possibilità di riformare questo Paese che alla fine le stessi classi dirigenti propongono una patrimoniale, ovvero semplificando, rubare altri quattrini ai cittadini italiani per comprare altro tempo per dare quindi una bottarella al debito ed evitare di affrontare quei problemi che lei giustamente solleva.
 
Qualora la classe politica ponesse in agenda questo tipo di riforma i cittadini la capirebbero? In fondo l’italiano è abituato da 35 anni ad avere un Ssn e ad uno Stato che elargisce servizi e soprattutto l’Italia è un paese che non ha cultura liberale.
Io non credo che ci sia un problema di carattere culturale. Ci sarebbero delle contestazioni però se ci si ponesse in un orizzonte per cui l’idea è di garantire l’universalità dell’accesso cercando di veicolare il finanziamento pubblico attraverso strumenti più efficienti la riforma verrebbe accettata. Credo anche che l’Italia sia un Paese che dal punto di vista della sanità ha delle grandi eccellenze ma nonostante tutto una certa attitudine alla spesa privata e diretta è rimasta e siamo consapevoli che se mi faccio anche un’assicurazione privata a margine male non mi fa.
Sicuramente una riforma ben pensata prenderebbe tempo e dovrebbe essere preparata sul piano della comunicazione, spiegata, essere oggetto di un dibattito pubblico.
Questo è il classico genere di riforma che ha bisogno di leadership, di intelligenza, di capacità di comunicare, di visione e di tempo. Tutto quello che a noi manca.
 
Che tipo di modello vedrebbe per l’Italia?
In Europa c’è l’esempio del sistema sanitario olandese ad accesso universale nel quale lo Stato garantisce un minimo di accesso alle cure a tutti ma il pagamento delle prestazioni è intermediato da assicurazioni private in concorrenza tra loro che a loro volta vanno a comprare le prestazioni o da ospedali privati o da ospedali a carattere scientifico in massima parte pubblici. Quello è un sistema che garantisce l’obiettivo sociale che il Ssn dice di porsi cioè l’universalità dell’accesso e che nello stesso tempo usa le assicurazioni private, cioè attori di mercato auto-interessati che hanno la possibilità di beneficiare di quello straordinario fattore di disciplina che è la ricerca del profitto per fare la cosa che al nostro sistema sanitario evidentemente non riesce ovvero: ridurre gli sprechi, tenere in ordine i costi, forzare le strutture alla massima trasparenza. Tutto questo all’interno di un sistema universalistico che non adotta ipotesi di una sanità “Cadillac” per alcuni e una sanità “Fiat” per altri. Il passaggio da un sistema più pubblicistico a uno che ha un ruolo del privato importante necessita di tante strategie per la transizione. Una cosa che gli olandesi hanno fatto è stata quella di sviluppare un’autorità semi-indipendente che per quanto sia tassata e finanziata dal ministero della sanità ha ampia autonomia decisionale e il compito di questa autorità è quello di portare la transizione da tariffe a prezzi e lo stanno facendo con grande intelligenza andando di tipologia di prestazione in tipologia di prestazione. A me sembra un modello di grande intelligenza. Ma probabilmente ce ne sono anche altri.
Questa sarebbe, se interpretata correttamente, la classica riforma in grado di mobilitare risorse private, creare mercati laddove non ce ne sono, attirare investitori esteri, contribuire nel lungo periodo al miglioramento della qualità della vita perchè sarebbe un sistema più portato all’innovazione e quindi a farci vivere meglio.
 
Ma per fare queste riforme servirebbe una leadership con una visione
Questa è la classica riforma che si potrebbe intestare un leader che volesse avere un grande futuro davanti a se e che volesse mobilitare il Paese su di un progetto. Il problema è che leader politici che vogliono fare questo non ne abbiamo. La sanità è il classico tema in cui uno non può pensare di giocare sempre all’interno di una cornice data. A volte quella cornice è necessario romperla per fare qualcosa di nuovo e questa sarebbe una straordinaria occasione.
 
Stefano Simoni

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