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Mercoledì 07 AGOSTO 2019
Radiazioni a radiofrequenze e tumori: la sintesi delle evidenze scientifiche

Gli sviluppi nelle telecomunicazioni hanno reso ubiquitaria l’esposizione alle radiofrequenze (RF). Quanto siamo esposti? Cosa sappiamo dei rischi per la salute a questi livelli di esposizione? La IARC nel 2011 ha classificato le RF nel gruppo 2B (possibili cancerogeni). La ricerca più recente rafforza o indebolisce il sospetto che l’uso del telefono cellulare aumenti il rischio di alcuni tumori cerebrali? Il rapporto ISTISAN 19/11 risponde a queste domande in modo puntuale e aggiornato. Il documento, curato da un gruppo multidisciplinare di esperti di diverse agenzie italiane (Susanna Lagorio, ISS; Laura Anglesio e Giovanni d’Amore, ARPA-Piemonte; Carmela Marino, ENEA; Maria Rosaria Scarfì, CNRIREA), è indirizzato agli operatori del Servizio Sanitario Nazionale e ai tecnici del Sistema Nazionale di Protezione, per essere utilizzato in interventi di aggiornamento professionale.
 
Dati di contesto. Vengono affrontati tutti gli aspetti rilevanti della tematica, a partire da informazioni di base sull’agente fisico d’interesse, sul Progetto Internazionale Campi Elettromagnetici dell’OMS, sul processo di elaborazione dei limiti di esposizione scientificamente fondati e sulla regolamentazione dell’esposizione in Italia e nel mondo.
 
Caratteristiche dell’esposizione. La seconda sezione illustra le caratteristiche e i livelli di emissione delle sorgenti di RF più rilevanti per la popolazione (antenne radiotelevisive, stazioni radio base, WiFi, telefoni cellulari). L’esposizione personale a RF dipende dai livelli di campo nei luoghi in cui si svolge la vita quotidiana, dal tempo trascorso nei diversi ambienti e dalle emissioni dei dispositivi utilizzati a stretto contatto. Gli impianti per telecomunicazione sono aumentati nel tempo ma l’intensità dei segnali trasmessi è diminuita con il passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali. La distanza da sorgenti fisse ambientali non è un buon indicatore del livello di RF all’interno di un’abitazione perché molte antenne sono direzionali e le RF sono schermate dalla struttura degli edifici e da altri ostacoli naturali.
 
Gli impianti WiFi hanno basse potenze e cicli di lavoro intermittenti cosicché, nelle case e nelle scuole in cui sono presenti, danno luogo a livelli di RF molto inferiori ai limiti ambientali vigenti. La maggior parte della dose quotidiana di energia a RF deriva dall’uso del cellulare. L’efficienza della rete condiziona l’esposizione degli utenti perché la potenza di emissione del telefonino durante l’uso è tanto minore quanto migliore è la copertura fornita dalla stazione radio base più vicina. Inoltre, la potenza media per chiamata di un cellulare connesso ad una rete 3G o 4G (UMTS o LTE) è 100-500 volte inferiore a quella di un dispositivo collegato ad una rete 2G (GSM 900-1800 MHz).
 
Ulteriori drastiche riduzioni dell’esposizione si ottengono con l’uso di auricolari o viva-voce. In modalità stand-by, il telefonino emette segnali di brevissima durata ad intervalli di ore, con un contributo trascurabile all’esposizione personale. Per quanto riguarda le future reti 5G, al momento non è possibile prevedere i livelli ambientali di RF associati allo sviluppo dell’Internet delle Cose (IOT); le emittenti aumenteranno, ma avranno potenze medie inferiori a quelle degli impianti attuali e la rapida variazione temporale dei segnali dovuta all’irradiazione indirizzabile verso l’utente (beam-forming) comporterà un’ulteriore riduzione dei livelli medi di campo nelle aree circostanti.
 
Volume della ricerca sui rischi per la salute. La letteratura scientifica sugli effetti acuti o cronici dell’esposizione a radiofrequenze conta migliaia di studi sperimentali e centinaia di studi epidemiologici. Le sezioni successive illustrano le evidenze scientifiche sull’eventuale cancerogenicità delle RF derivanti dagli studi su popolazioni umane e dagli studi sperimentali in animali da laboratorio e in sistemi biologici isolati.
 
Evidenze epidemiologiche sul rischio di tumori La relazione tra uso del cellulare e incidenza di tumori nell’area della testa è stata analizzata in numerosi studi epidemiologici pubblicati nel periodo 1999-2017. La meta-analisi di questi studi non rileva alcun incremento del rischio di neoplasie maligne (glioma) o benigne (meningiomi, neuromi acustici, tumori dell’ipofisi o delle ghiandole salivari) in relazione all’uso prolungato (≥10 anni) del cellulare. I risultati relativi al glioma e al neuroma acustico sono eterogenei. Alcuni studi caso-controllo riportano notevoli incrementi di rischio anche per modeste durate e intensità cumulative d’uso. Queste osservazioni, tuttavia, non sono coerenti con l’andamento temporale dei tassi d’incidenza dei tumori cerebrali che non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione.
 
Rispetto alle evidenze disponibili al momento della valutazione della IARC, le stime di rischio per l’uso prolungato del cellulare considerate in questa meta-analisi sono più numerose e più precise, perché basate su un maggior numero di casi esposti. Inoltre, le analisi più recenti dei trend d’incidenza dei tumori cerebrali coprono un periodo di quasi 30 anni dall’introduzione dei telefoni mobili. La validità dei risultati degli studi epidemiologici su cellulari e tumori rimane incerta. Un intero capitolo del rapporto è dedicato alle sorgenti di distorsione più rilevanti e al loro impatto sui risultati.
 
In generale, gli studi di coorte sono immuni dai bias di partecipazione e del ricordo tipici degli studi caso-controllo e perciò nelle valutazioni di rischio viene loro assegnato un valore informativo superiore. I dati attuali non consentono valutazioni accurate del rischio dei tumori intracranici a più lenta crescita e mancano dati sugli effetti a lungo termine dell’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia.
 
Gli studi in corso (Cosmos, MobiKids, GERoNiMo) contribuiranno a chiarire le residue incertezze. L’ipotesi di un’associazione tra RF emesse da antenne radiotelevisive e incidenza di leucemia infantile, suggerita da alcune analisi di correlazione geografica, non appare confermata dagli studi epidemiologici con dati individuali e stime di esposizione basate su modelli geospaziali di propagazione.
 
Evidenze sperimentali di cancerogenicità I numerosi studi effettuati su diversi modelli animali, nell’insieme, non mostrano evidenza di effetti cancerogeni dell’esposizione a RF, né effetti di promozione della cancerogenesi da agenti chimici o fisici. Due studi di co-esposizione a RF e ENU (n-etilnitrosourea) hanno osservato un aumento del rischio di tumore polmonare in un particolare ceppo di topi femmine (B6C3F1) che richiede ulteriori approfondimenti.
 
Un recente studio del National Toxicology Program (NTP) ha rilevato un incremento del rischio di tumori maligni delle guaine nervose nel cuore (schwannomi cardiaci) tra i ratti maschi (Sprague-Dawley) alla dose più elevata (6 W/kg), ma non nei ratti femmina o nei topi (B6C3F1/N). Anche lo studio dell’Istituto Ramazzini ha osservato un aumento dello stesso tumore nei ratti maschi con l’esposizione più elevata (50 V/m, equivalenti a 0.1 W/kg), ma non tra le femmine. In entrambi gli studi, i livelli di esposizione ai quali si osservano effetti sono molto più elevati di quelli rilevabili in ambiente nonché dei limiti stabiliti dalla normativa nazionale.
 
Queste osservazioni meritano comunque un approfondimento e si segnala che un gruppo coreano-giapponese ha avviato una replica dello studio NTP. Per quanto riguarda gli studi sperimentali su sistemi biologici isolati, la maggioranza degli studi disponibili non evidenzia danni al DNA a seguito dell’esposizione a RF. In particolare, nella maggior parte degli studi non si osservano associazioni tra esposizione a RF e frequenza di aberrazioni cromosomiche o micronuclei (indicatori di danno permanente al DNA), mentre alcune indagini hanno riscontrato alterazioni della migrazione del DNA, anomalie del fuso mitotico e della formazione di foci (tutti indicatori di danno genetico transitorio e riparabile).
 
La maggior parte delle indagini che hanno esaminato endpoint non correlati alla genotossicità non ha evidenziato effetti dell’esposizione a RF, ad eccezione di alcuni studi che hanno osservato effetti prevalentemente reversibili. Il numero di studi sulle co-esposizioni a RF e ad agenti chimici o fisici è limitato, i risultati sono variabili e non direttamente estrapolabili all’uomo. Le valutazioni di rischio Nel 2011 le RF sono state classificate dalla IARC tra gli agenti possibilmente cancerogeni in base a limitata evidenza nell’uomo, limitata evidenza negli animali e debole supporto fornito dagli studi sui meccanismi. Il significato di questa classificazione non è intuitivo. Pertanto, la IARC ha ritenuto utile ribadire che le RF sono classificate nel gruppo 2B perché c’è un’evidenza tutt’altro che conclusiva che l’esposizione possa causare il cancro negli esseri umani o negli animali.
 
Valutazioni successive concordano nel ritenere che le evidenze relative alla possibile associazione tra esposizione a RF e rischio di tumori si siano indebolite e non richiedano modifiche all’impostazione degli standard di protezione correnti. L’OMS sta attualmente preparando un aggiornamento della valutazione di tutti i rischi per la salute da esposizione a radiofrequenze. In attesa di questa monografia, gli sviluppi della ricerca sono costantemente monitorati da panel nazionali e internazionali di esperti.

A cura di Susanna Lagorio e Mauro Biffoni

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