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Lunedì 11 MARZO 2013
Continua la “rivoluzione” degli anticorpi monoclonali

L’arrivo degli anticorpi monoclonali, i più importanti fra i cosiddetti farmaci biologici, nei primi anni Novanta ha significato moltissimo per la cura dei linfomi, tanto da poter affermare che queste innovative molecole costruite con l’ingegneria genetica hanno rivoluzionato l’approccio terapeutico con cui fino a quel momento veniva trattato questo tipo di malattia. Giuseppe Rossi, Direttore Struttura Complessa di Ematologia e Dipartimento Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera Spedali Civili – Brescia, ci illustra le principali novità per il trattamento del linfoma con gli anticorpi monoclonali.
 
L’anticorpo monoclonale più noto e più usato soprattutto nei linfomi non Hodgkin (LNH)originati dalla linea B cellulare è senz’altro rituximab, autorizzato al momento per somministrazione endovenosa, che ha la capacità di legarsi all’antigene CD20 presente sulla membrana di tutte le cellule B, normali e linfomatose, inducendo la morte cellulare di queste ma risparmiando le altre cellule proliferanti normali che sono invece danneggiate quando si usa la chemioterapia. “Tuttavia, sono in fase avanzata gli studi clinici su nuove modalità di somministrazione degli anticorpi monoclonali”, ha chiarito Rossi. “In particolare si studia la possibilità di somministrare rituximab per via sottocutanea. I risultati iniziali indicano indubbi vantaggi: maggiore accettazione della terapia meno invasiva e più rapida, a fronte delle 5-6 ore di infusione endovenosa sono sufficienti dieci minuti, risparmio di tempo per il paziente, minore ospedalizzazione e costi ridotti per il Centro. Al tempo stesso proseguono gli studi su altri anticorpi monoclonali, quali il nuovo anticorpo anti-CD20 GA101, che si spera possa risultare ancora più efficace di rituximab, o brentuximab-vedotin, che si lega a un altro recettore di membrana, il CD30, e porta direttamente dentro la cellula tumorale la sostanza tossica. Al momento le indicazioni d’uso clinico sono limitate ai linfomi di Hodgkin e al linfoma anaplastico che non rispondono alle terapie standard (chemio e trapianto). In fase iniziale di sperimentazione sono le cosiddette “small molecules” (ibrutinib, CAL-101), piccole molecole somministrate per via orale che spengono il segnale intracellulare di attivazione di cui hanno bisogno i linfociti B per funzionare e che è costantemente “acceso” in alcuni linfomi”.
 
Ma quali sono i benefici che queste novità potranno comportare per i pazienti?“Siamo prossimi ad una svolta importante: il passaggio dall’èra della chemioterapia che distrugge tutto a quella di farmaci altamente selettivi che oltre a risparmiare le cellule sane assicurano una migliore qualità di vita al paziente”, ha spiegato. “Questo non significa che non useremo più la chemioterapia, ma che avremo maggiori opportunità terapeutiche sempre più mirate al difetto molecolare o genetico del singolo linfoma. Naturalmente così come è avvenuto per rituximab, anticorpo monoclonale del quale oggi conosciamo molto bene il funzionamento, l’efficacia e i possibili effetti indesiderati, dovranno trascorrere diversi anni per comprendere appieno le potenzialità e i possibili effetti collaterali dei farmaci in arrivo”.

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