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Giovedì 14 MARZO 2013
Il racconto dell’esperto: ecco qual è il problema risolto da Oncotype DX

“Una delle domande che faccio spesso ai miei studenti quando vengono alle mie lezioni è questa: se avessi un tumore maligno, dati i noti effetti collaterali della chemioterapia, quanto dovrebbe esserti di beneficio per decidere di sottoporti al trattamento?”, con questa domanda Simon Holt, docente e medico al Prince Phillip Hospital in Gran Bretagna, ha cominciato il suo intervento alla Genomic Health European Media Conference, tenutasi a Zurigo in occasione della 13esima St. Gallen International Breast Cancer Conference. La domanda può sembrare semplice, ma non lo è. “Se si pensa a tumori come quello testicolare metastatico o al linfoma, per i quali la chemioterapia può dare delle chance reali di guarigione, o anche se si pensa a carcinomi meno ‘curabili’, ma per i quali il trattamento fornisce con una certa probabilità un significativo prolungamento dell’aspettativa di vita. Ma quando si parla di tumore alla mammella, la risposta alla domanda non affatto scontata”, ha spiegato.
 
“Le pazienti a cui viene proposta la chemioterapia in buona parte dei casi sono già state sottoposte a interventi che hanno rimosso il tumore. In un certo senso, dunque, sono già state curate. Per queste donne la domanda non è tanto quale sia il “livello di beneficio” necessario a convincerle a sottoporsi a chemioterapia, quanto più quale sia il livello di rischio che il carcinoma si ripresenti, stavolta in fase metastatica”, ha detto presentando il problema che si pone a medici e pazienti che devono decidere se e come adottare una chemioterapia adiuvante, che riduca il rischio di recidiva nelle pazienti già operate. “Sappiamo infatti da numerosi studi, che quando il tumore si ripresenta in fase metastatica, nelle pazienti che hanno già sconfitto una volta il cancro, la chemioterapia è ormai quasi inutile; mentre se il trattamento viene iniziato subito dopo l’operazione, anche se ci sono ancora cellule tumorali nell’organismo, riusciamo a prevenire per una parte di queste pazienti che il cancro ritorni. Eppure, la decisione non è comunque semplice quanto forse potrebbe sembrare. Gli effetti collaterali della chemioterapia incidono fortemente sulla qualità della vita delle pazienti: le rendono deboli e danno forti nausee e dolori, che possono essere tenute sotto controllo con farmaci, ma che non sono comunque piacevoli; fanno loro perdere i capelli, cosa che colpisce in maniera profonda molte di queste donne; possono portare allo sviluppo di infezioni, a causa dell’immunodepressione che inducono; senza contare che c’è l’1% di possibilità che questa terapia, che vorrebbe curare, in realtà uccida. Ecco perché ci serve un test che ci faccia capire subito e con sicurezza il livello di rischio di recidiva per ogni donna. Questo è quello che fa Oncotype”.
 
In questo modo, si risparmiano i soldi e il dolore provocati da chemioterapie non necessarie. “Oltre ad essere di beneficio alle pazienti, uno strumento del genere diventa utile anche per fare risparmiare soldi al sistema sanitario nazionale”, ha spiegato Holt. “Per un test del genere il rapporto tra costo ed efficacia è sicuramente buono, e anche se potrebbe non sembrare – visti i costi iniziali alti dell’analisi – questo ha anche un impatto non negativo sul budget, perché come conseguenza della sua adozione si risparmiano subito i soldi del un grande numero di trattamenti che si dimostrano inutili. È per questo che il Nice (National Institute for Health and Clinical Excellence) inglese – che non è certo noto per rimborsare molti trattamenti sanitari – dopo un attenta ricerca ha invece deciso di rimborsare Oncotype”.

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