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Mercoledì 11 GIUGNO 2014
LA SENTENZA PUNTO PER PUNTO. L'analisi di Gianni Baldini, avvocato di una delle coppie ricorrenti

Con il deposito delle motivazioni la Consulta nella pronuncia n. 162/14 ha accolto integralmente le ragioni e gli argomenti esposti dai ricorrenti fugando i timori della vigilia di un possibile revirement, componendo una parte motiva di esemplare equilibrio secondo un percorso ermeneutico ineccepibile.

Infatti il Giudice delle leggi dopo aver rilevato che il divieto di PMA eterologa incide su beni costituzionali estremamente rilevanti (tutelati ex artt 2,3,13,29, 31 Cost per quanto attiene la libertà di autodeterminarsi  su aspetti di assoluta rilevanza personale che attengono la sfera fisica, morale e familiare; art. 32 Cost relativamente alla tutela della salute nell'accezione più ampia), precisa come ciò “non sia sufficiente a farlo ritenere illegittimo, occorrendo a questo scopo accertare se l’assolutezza che lo connota sia l’unico mezzo per garantire la tutela di altri valori costituzionali coinvolti dalla tecnica in esame”.
L’esito cui tale accertamento perviene comporta una grave censura di tale divieto assoluto che contrasta con fondamentali principi sanciti dalla Carta risultando inoltre affetto da una insanabile irragionevolezza.

Ma procediamo per ordine.

PREMESSE
Preliminarmente la Consulta afferma come “la PMA di tipo eterologo mira a favorire la vita e pone problematiche (semmai) riferibili eminentemente al tempo successivo alla nascita...dovendosi in radice escludere finalità illegittime o eugenetiche”. Inoltre viene utilmente precisato che “la procreazione medicalmente assistita coinvolge «plurime esigenze costituzionali» (sentenza n. 347 del 1998) e, conseguentemente, la legge n. 40 del 2004 incide su una molteplicità di interessi di tale rango. Questi, nel loro complesso, richiedono «un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa» ad ognuno (sentenza n. 45 del 2005), avendo, infatti, questa Corte già affermato che la stessa «tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione» (sentenza n. 151 del 2009)”.
Trattandosi di temi  eticamente sensibili, “l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio delle contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene «primariamente alla valutazione del legislatore» (sentenza n. 347 del 1998), ma resta ferma la sindacabilità della stessa, al fine di verificare se sia stato realizzato un non irragionevole bilanciamento di quelle esigenze e dei valori ai quali si ispirano”.
Verificato poi che il divieto assoluto non trova fondamento in nessun obbligo  derivanti da norme di rango internazionale la Corte ritiene che il medesimo sia ‘privo di adeguato fondamento costituzionale”
Infine chiarito che si tratta di una fattispecie diversa dalla Surrogazione di maternità (che rimane vietata nel nostro paese ), la Corte ricorda come tale pratica era fino al 2004 consentita con una disciplina di tipo regolamentare corroborata da una normativa tecnica di dettaglio (di cui deve peraltro escludere la possibilità di reviviscenza).

LA VIOLAZIONE DEI PRECETTI DI CUI AGLI ART. 2,3,13,29,31,32 COST
Secondo la Consulta “la scelta della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare” Ne discende come la scelta di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, “concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, qualora non vulneri altri valori costituzionali, non può che essere incoercibile, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera”. In tal senso va ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato come la legge n. 40 del 2004 sia appunto preordinata alla “tutela delle esigenze di procreazione», da contemperare con ulteriori valori costituzionali, senza peraltro che sia stata riconosciuta a nessuno di essi una tutela assoluta, imponendosi un ragionevole bilanciamento tra gli stessi (sentenza n. 151 del 2009)”..
Sotto altro profilo è indubbio come la Carta costituzionale tuteli la famiglia e le esigenze connesse alla sua realizzazione. Da ciò discende che “anche indipendentemente dal dato genetico, la costituzione della famiglia è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione”.
Perciò che attiene l’incidenza del divieto sul diritto alla salute, nell’accezione fatta propria dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale «Il possesso del migliore stato di sanità possibile (sul piano, fisico, psichico e sociale) costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano» (Atto di costituzione dell’OMS, firmato a New York il 22 luglio 1946), l’impossibilità di  formare una famiglia  con figli  insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, incide “ negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia, nell’accezione che al relativo diritto deve essere data, secondo quanto sopra esposto”.
In tal senso nei casi  di patologie produttive di una disabilità (come è quello per il quale si ricorre alla PMA eterologa), “la discrezionalità spettante al legislatore ordinario nell’individuare le misure a tutela di quanti ne sono affetti incontra, inoltre, il limite del «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» (sentenze n. 80 del 2010, n. 251 del 2008)” Ne discende che “Un intervento sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non può nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, ma deve tenere conto anche degli indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi a ciò deputati (sentenza n. 8 del 2011), anche in riferimento all’accertamento dell’esistenza di una lesione del diritto alla salute psichica ed alla idoneità e strumentalità  di una determinata tecnica a garantirne la tutela nei termini nei quali essa si impone alla luce della nozione sopra posta”
Dunque ribadendo una costante giurisprudenza la Corte ricorda come , «in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali» (sentenza n. 151 del 2009).

LA QUESTIONE DEL VUOTO NORMATIVO
La Consulta, nel respingere le obiezioni avanzate dall’Avvocatura dello Stato circa un presunto rischio psicologico correlato ad una genitorialità non naturale, sia della violazione del diritto a conoscere la propria identità genetica, aspetti attinenti «una questione di politica e di tecnica legislativa di competenza del conditor iuris», che porrebbe esclusivamente «scelte di opportunità», riconducibili alla discrezionalità riservata al legislatore ordinario, evidenzia poi  che con la presente pronuncia non si determina alcun “vuoto normativo”.
Infatti nel ricordare come la legge 40/04 costituisca una legge  «costituzionalmente necessaria» (sentenza n. 45 del 2005) ma, nondimeno, in parte qua, non  presenti un contenuto costituzionalmente vincolato, significativamente qualifica la PMA eterologa come una species rientrante nel genus PMA cui  risulteranno applicabili tutte le norme della legge 40/04 non modificate /abrogate dalla pronuncia della Corte. Ciò comporta che “l’illegittimità del divieto in esame, opera esclusivamente in riferimento al caso in cui sia stata accertata l’esistenza di una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute” con la conseguenza che la pratica deve ritenersi consentita solo “qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere» le cause di sterilità o infertilità e sia stato accertato il carattere assoluto delle stesse, dovendo siffatte circostanze essere documentate da atto medico”.  Il ricorso a questa tecnica, “non diversamente da quella di tipo omologo, dovrà  inoltre, osservare i principi di gradualità e del consenso informato stabiliti dal citato art. 4, comma 2”.
L’assenza di vuoto normativo evocato da più parti risulta evidente nella misura in cui alla metodica eterologa risulti omunque  applicabile la vigente disciplina in ordine a:
-requisiti di accesso soggettivi;
-norme sul consenso informato;
-modalità tecniche di svolgimento della PMA;
-applicabilità delle Linee Guida ex art 7 L. 40/04;
-individuazione delle strutture autorizzate a praticare la procreazione medicalmente assistita e di documentazione dei relativi interventi ex artt  10 ed 11 L. 40/04; ,
-divieto di  commercializzazione di gameti ed embrioni e di surrogazione di maternità;
-rapporti tra genitori e figli che prevedono che i nati da PMA eterologa hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime;
-inammissibilità delle cc.dd. azioni di stato verso il nato da parte dei genitori;
-esclusione di qualsiasi  relazione giuridica parentale tra il donatore di gameti ed il nato prevedendosi la prevalenza del diritto all’anonimato rispetto al contrapposto interesse a conoscere le proprie origini genetiche
A scanso di equivoci la Corte precisa poi come “Dalle norme vigenti è, dunque, già desumibile una regolamentazione della PMA di tipo eterologo che, in relazione ai profili ulteriori rispetto a quelli sopra approfonditi, è ricavabile, mediante gli ordinari strumenti interpretativi, dalla disciplina concernente, in linea generale, la donazione di tessuti e cellule umani, in quanto espressiva di principi generali pur nelle diversità delle fattispecie (in ordine, esemplificativamente, alla gratuità e volontarietà della donazione, alle modalità del consenso, all’anonimato del donatore, alle esigenze di tutela sotto il profilo sanitario, oggetto degli artt. 12, 13, comma 1, 14 e 15 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191) “.
La stessa questione del numero di donazioni è, secondo la Corte, risolvibile attraverso un aggiornamento delle Linee guida, eventualmente anche alla luce delle discipline stabilite in altri Paesi europei (quali, ad esempio, la Francia e il Regno Unito), ma tenendo conto dell’esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto.
 La questione del diritto all’identità genetica, tutt’altro che nuova non viene rimessa in discussione rinviandosi alla normativa vigente che individua un ragionevole punto di equilibrio con il contrastante diritto all’anonimato e alla tutela della integrità della famiglia. Il riferimento è innanzitutto all’istituto dell’adozione e in particolare al rinnovato art. 28 l. 184/83 così come modificato dalla sentenza N. 278/13 che ha invitato il legislatore ad introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta compiuta dalla madre naturale e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato

LA VIOLAZIONE DEL CANONE DI RAGIONEVOLEZZA
Infine ma non certo per importanza, la violazione del canone di ragionevolezza quale estrinsecazione del principio di uguaglianza e del divieto di discriminazione. Secondo la Corte : “Il censurato divieto, nella sua assolutezza, è pertanto il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dell’ordinamento, non giustificabile neppure richiamando l’esigenza di intervenire con norme primarie o secondarie per stabilire alcuni profili della disciplina della PMA di tipo eterologo”. Nel caso di specie vi sarebbe un evidente sproporzione tra il mezzo utilizzato (divieto assoluto) rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che si è inteso perseguire, “tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti (sentenza n. 1130 del 1988)”. Ne deriva che “la preclusione assoluta di accesso alla PMA di tipo eterologo introduce un evidente elemento di irrazionalità, poiché la negazione assoluta del diritto a realizzare la genitorialità, alla formazione della famiglia con figli, con incidenza sul diritto alla salute, nei termini sopra esposti, è stabilita in danno delle coppie affette dalle patologie più gravi, in contrasto con la ratio legis”.A ciò deve aggiungersi quale ulteriore elemento di irrazionalità l’ingiustificato, “diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi”.

CONCLUSIONI
Per tutte le ragioni sopra rilevate, secondo la Corte il divieto assoluto oggi espunto dalla legge 40/04 determinava “una lesione della libertà fondamentale della coppia destinataria della legge n. 40 del 2004 di formare una famiglia con dei figli, senza che la sua assolutezza sia giustificata dalle esigenze di tutela del nato, le quali, in virtù di quanto sopra rilevato in ordine ad alcuni dei più importanti profili della situazione giuridica dello stesso, già desumibile dalle norme vigenti, devono ritenersi congruamente garantite”.
Difronte a conclusioni così chiare assunte all’esito di un iter valutatitivo e argomentativo difficilmente criticabile nella forma come nella sostanza, ogni obiezione circa la sussistenza di un presunto vuoto normativo che il Parlamento sarebbe necessariamente chiamato a dover rimediare appare veramente difficile da sostenere . Altrettanto e conseguentemente dicasi con riguardo alla non attuabilità fin da subito della metodica che necessiterebbe di un preventivo intervento normativo , legislativo e/o regolamentare riguardante autorizzazioni, accreditamenti, metodiche e quant’altro.
In sintesi la Consulta ha restituito a migliaia di coppie italiane un diritto illegittimamente negato, indugiare ancora sostenendo che lo stesso sarebbe concretamente non attuabile senza un ulteriore intervento del Legislatore o del Governo centrale oltre che asserzione priva di fondamento giuridico perpetuerebbe quel ‘turismo dei diritti’ che migliaia di coppie italiane hanno dovuto subire per oltre di 10 anni!

Prof. Avv. Gianni Baldini
Prof. Ass. di  Diritto Privato e Biodiritto nell’Università di Firenze  
Legale della coppia ricorrente

 

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