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Giovedì 24 MARZO 2011
Antitrust: nessuna differenza tra biosimilari e biotech originatore

Cambiare le disposizioni del Ddl 1875 (Modifiche all'articolo 7 del decreto-legge18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, recanti nuove disposizioni in materia di farmaci biosimilari) all’esame del Senato, così da favorire “laddove possibile e nei limiti imposti dalla tutela della salute pubblica, la concorrenza tra farmaci biologici e biosimilari attraverso gare a lotto unico basate sul criterio della sovrapponibilità terapeutica al fine di aumentare la diffusione dei farmaci biosimilari e, conseguentemente, rendere più apprezzabili i risparmi di spesa pubblica, in particolare nella parte di spesa farmaceutica a carico del SSN, ottenibili dalla competizione di prezzo tra i medicinali biosimilari le specialità biologiche di riferimento”. Questo l’auspicio contenuto nella recentissima Segnalazione al Parlamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Che ha voluto segnalare la probabile “distorsione” delle regole concorrenziali che discenderebbe dalla futura applicazione delle norme del Ddl citato. Queste infatti, si ricorda nel testo della segnalazione, all’interno delle gare d’acquisto di farmaci nelle strutture sanitarie, escludono il principio di equivalenza terapeutica tra i farmaci biosimilari e gli originali, finendo col limitare  la proposizione di bandi di gara “ispirati al principio della sovrapponibilità terapeutica” nei quali medicinali biotecnologici e specialità biosimilari possano concorrere  ad armi pari.
Si tratta di una limitazione che, a detta dell’Antitrust appare “sproporzionata” rispetto all’obiettivo di garantire la tutela della salute pubblica. E al tempo stesso capace di produrre una restrizione ingiustificata della concorrenza che, alla fine, priverebbe il sistema sanitario pubblico della possibilità di realizzare “ingenti risparmi di spesa”.
In realtà la disposizione contenuta nel disegno di legge sembra non tener conto della copiosa quantità di documentazione disponibile sia internazionale (tra le fonti soprattutto l’Ema, l’Agenzia dei farmaci europea), sia italiana (l’Aifa si è più volte spesa a favore dell’equivalenza tra i farmaci biotech “similari” e gli originatori). “Un farmaco biosimilare non può rappresentare una “copia esatta” del prodotto biotecnologico di riferimento” si legge nel testo della Segnalazione Antitrust, ma va piuttosto considerato come “un farmaco simile – ma non identico – di un prodotto originatore, rispetto alla quale è stata dimostrata la sostanziale equivalenza in termini di efficacia, sicurezza e qualità del biosimilare”.  Da qui a dire che “il biosimilare sia un farmaco inferiore rispetto all’originatore” ce ne corre. E lo dimostra – rileva ancora l’Antitrust – la complessa procedura necessaria per ottenere l’autorizzazione, condotta esclusivamente dall’Ema in via centralizzata: il medicinale biosimilare al contrario del generico “richiede la dimostrazione dei profili di efficacia e di sicurezza del farmaco attraverso lo svolgimento di un “esercizio di comparabilità” basato su appositi test preclinici e clinici”. Lo scopo è quello di garantire “la sostanziale equivalenza in termini di qualità, sicurezza ed efficacia di un farmaco biosimilare con il prodotto di riferimento”.
Non va poi dimenticato che il biosimilare, prodotto anni dopo l’originatore, grazie ai progressi scientifici e tecnologici, può anche possedere “profili di efficacia e di sicurezza persino più elevati di quelli del medicinale originatore”. Insomma, non una semplice copia, ma piuttosto un farmaco innovativo (si parla, in questi casi, di prodotti “bio-better”).
In sostanza l’esclusione assoluta di un’equivalenza tra farmaci biotecnologici commercializzati per le medesime indicazioni terapeutiche prevista dal Ddl 1875 appare difficile da sostenere, anche alla luce delle molte pronunce dei magistrati amministrativi (Tar e Consiglio di Stato) che considerano sullo stesso piano i due medicinali biotech.
 

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