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Lunedì 10 GENNAIO 2022
Il medico e il nuovo Codice. Partiamo dalle competenze



Gentile Direttore,
di seguito alcune riflessioni suscitate dalla notizia della prossima revisione del codice di deontologia medica annunciata dalla Fnomceo. L’auspicio è quello di arrivare a definire una Medicina (ed un medico) senza fraintendimenti. Tra Medicina “amministrata”, “difensiva”, “privatizzata” , “basata sulle evidenze”, “di precisione”, “alternativa” (e molto altro ancora ) c’è solo da sperare che gli sforzi per la revisione del Codice deontologico portino almeno alla riduzione del numero degli aggettivi qualificativi.
 

Un’iniziativa importante che potrebbe contribuire a meglio definire le gravi problematiche di una categoria professionale ormai schiacciata tra l’insignificanza decisionale, l’esclusione dalle politiche organizzative, la progressiva cessione di competenze professionali.
 
Tuttavia, mentre i primi due punti sono stati trattati e discussi (pur restando irrisolti) in numerosi interventi riguardante quella che viene definita “questione medica”, forse una riflessione anche sul terzo punto potrebbe stimolare una discussione in grado di contribuire alla nuova stesura del codice professionale.
 
L’ambito medico sembra infatti del tutto indifferente alla competizione, dal momento che assistiamo ad una spontanea cessione degli spazi ed al progressivo ritiro dei medici in un bozzolo che sta diventando sempre più piccolo.  
 
Ritirarsi senza che nessuno lo chieda e senza affrontare la normale competizione, sembra la parola d’ordine dei medici (e  soprattutto dei loro rappresentanti) negli ultimi decenni. 
 
Quando, molti anni orsono ed in occasione di una visita medica come paziente mi trovai davanti ad un’ infermiera che raccoglieva annoiata la mia anamnesi, pensai a Federspil ed alla sua affermazione che la sensibilità diagnostica dell’anamnesi arriva almeno al 50%. Ne parlai con l’allora Primario, solo per sentirmi rispondere che il medico aveva cose ben più importanti da fare. Quali fossero rimase per me un  mistero.
 
Oggi, con l’esperienza di molti anni, continuo a ritenere incomprensibile che un medico deleghi ad altri uno strumento diagnostico così importante, ma aggiungo che la pessima abitudine  di evitare importanti atti medici e  la volontaria  e progressiva cessione di competenze  mediche è certamente alla base della realtà odierna, quella che parte dal comma 566 e arriva al task shifting: si tratta di un normale processo sostitutivo che però non ha nulla di darwiniano, privo com’è di alcuna competizione ma anzi favorito e condiviso da parte di troppi medici. 
 
Così come la comunicazione della diagnosi, affidata oggi a ciarlieri cultori di discipline dall’incerto contorno e dall’assenza di verifica, è  certo che non resterà senza conseguenze. 
Ritengo, magari sbagliando, che stiamo del tutto perdendo di vista il concetto fondamentale che in Medicina “l’effettiva cura del paziente è basata sulla costruzione di una relazione credibile tra medico e paziente” (Harrison’s Principles of Internal Medicine) e che l’abbaglio della tecnologia, a partire da Laennec per arrivare all’NGS ed alla CRISPR/cas9, questa relazione  l’abbia fatta quasi del tutto dimenticare. 
 
Non sarà un caso se chi pratica medicine non convenzionali e dall’incerta efficacia ma con un solido rapporto antropologico è apparentemente immune dalla necessità di difendersi da pazienti incattiviti,  mentre invece la medicina basata sull’evidenza scientifica (EBM) è spesso associata alla necessità di atteggiamenti  estremamente difensivi.
Certamente il problema della crisi della figura del medico e è assai più complesso della cessione spontanea di competenze e tra le cause dell’attuale momento di crisi identitaria della professione non vanno dimenticate le scelte politiche basate sulla necessità di contenimento della spesa sanitaria, a loro volta determinanti nella proliferazione di altre figure professionali  che hanno ormai occupato tutti gli spazi disponibili ed ai quali i medici ed i loro Rappresentanti hanno imparato ad obbedire senza fiatare.
 
C’è solo da sperare che le prossime iniziative della FNOMCeO abbiano ben chiaro il problema della “questione medica”, definibile come la progressiva marginalizzazione del ruolo del medico e la sua ininfluenza nei processi organizzativi,  in un contesto sanitario che sembra spostarsi ineluttabilmente verso la privatizzazione. 
 
Le premesse tuttavia non sembrano le migliori: il presidente Anelli afferma tra l’altro che (il medico) “Non potrà, nella sua attività, fare a meno delle macchine: robot, calcolatori, frutto anche delle scoperte della fisica quantistica. Dovrà saper ben usare l’intelligenza artificiale per assicurare l’efficacia del suo esercizio professionale, condizionare la ricerca e lo sviluppo di una medicina orientata sempre più verso quella di precisione”.  
 
Stiamo parlando di strumenti diagnostici, accidenti, non del ruolo del medico. Altrimenti  anche ai tempi di Laennec e del suo stetoscopio sarebbe stato necessario riformulare il codice medico, così come dopo la scoperta di Einthoven della  elettrocardiografia. E cosa dire della necessità di riscrivere le norme deontologiche dopo la scoperta dei raggi X? Cambiano gli strumenti, non la professione. 
 
Sulla medicina di precisione infine sarebbe opportuno che qualcuno riflettesse sull’incremento e sulla sostenibilità dei costi ad essa associati: qui davvero si rischia di far saltare il banco e, se davvero  l’indubbia efficacia delle target theraphies  determinasse un’ulteriore stretta economica (con le conseguenze già viste), sarebbe auspicabile una riflessione meno superficiale di quella prospettata finora. 
 
Molte sono le sfide da raccogliere per la revisione dell’attuale Codice deontologico e tutte da far tremare i polsi. Stupisce quindi l’assenza di dibattito preliminare e davvero non si vorrebbe che l’attuale condizione di grave disagio nell’esercizio della professione medica dovesse conoscere momenti peggiori degli attuali. Pensiamoci bene, qualche volta il rammendo è peggio del buco. 
 
Pietro Cavalli
Medico

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