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Martedì 24 LUGLIO 2012
Un nuovo studio sulle "cardiosfere", le cellule in grado di riparare il cuore malato

Quando l’organo cardiaco subisce un infarto alcune delle sue cellule muoiono, lasciando ripercussioni a lungo termine sul suo funzionamento. Uno studio tutto italiano torna ad esplorare le possibilità terapeutiche e le tecniche per usare le cardiosfere, serbatoio di cellule staminali capaci di ricostruire l’organo.

Il dibattito sulla possibilità di riparare organi danneggiati con le cellule staminali va avanti ormai da anni e sempre più risultati si stanno ottenendo in questo campo della ricerca medica. Oggi un nuovo traguardo è stato superato, e dunque una possibilità in più per i malati arriva dai ricercatori dell’Università Sapienza di Roma: in particolare l’organo di cui questi ricercatori italiani si sono occupati è il cuore, e la possibilità osservata dagli scienziati per curare un cuore danneggiato è quella di avvalersi delle cardiosfere, aggregati cellulari tridimensionali che fungono da serbatoio di cellule staminali da introdurre nei pazienti affinché ricostruiscano un organo sano. Lo studio che ne parla è stato pubblicato su Stem Cells and Develpment.
 
La ricerca, finanziata tra gli altri dall’Istituto Pasteur - Fondazione Cenci Bolognetti, svela infatti i meccanismi base di formazione di questi preziosi strumenti terapeutici, fornendo informazioni essenziali per capire come aumentarne il potenziale rigenerativo. Il risultato è frutto anche della collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e il Burnham Medical Research Institute (Usa).
Non è la prima volta che si sente parlare di cardiosfere, in medicina rigenerativa: le cellule staminali cardiache/progenitrici endogene, che si possono isolare ed espandere a partire da campioni prelevati dai tessuti dei pazienti, crescono proprio sottoforma di questi aggregati multicellulari. Da qualche anno sono studiati i loro utilizzi, di cui quello riportato nel lavoro italiano è solo l'ultimo in ordine temporale.  
 
Le strutture tridimensionali in fase di sperimentazione si formano in vitro a partire da cellule isolate, mediante biopsia, dal cuore di pazienti. Se reintrodotte nell’organismo, le cardiosfere non comportano alcun rischio di rigetto, sono bensì pronte a fornire le cellule staminali in grado di generare i diversi tipi cellulari che compongono il tessuto cardiaco, rappresentando così uno strumento ideale per rimpiazzare i “pezzi” di cuore lesi in caso di infarto: le patologie cardiovascolari sono infatti caratterizzate dalla morte delle cellule del cuore, alla quale segue la formazione di tessuto cicatriziale che, incapace di contrarsi, finisce per compromettere il normale funzionamento del muscolo cardiaco. 
La ricerca appena pubblicata descrive nello specifico come si forma e funziona questo strumento a disposizione della medicina rigenerativa: il lavoro analizza in che modo queste cardiosfere ‘mimino’ i processi alla base dello sviluppo del cuore, in particolare a seguito della somministrazione di fattore di crescita trasformante beta(TGFβ), una proteina che gioca un ruolo fondamentale nella differenziazione cellulare. “Nell’embrione il muscolo cardiaco è formato a partire da cellule che subiscono una trasformazione morfogenetica: dallo stato ‘epiteliale’ (piatto e ancorato al substrato) passano allo stato ‘mesenchimale’ (tondeggiante e capace di muoversi). Questo cambiamento di forma e funzione cellulare, essenziale per modellale il tessuto cardiaco, è indotto dalla proteina TGFβ e si verifica anche nell’adulto in diverse condizioni fisiopatologiche, per esempio come tentativo di riparo nel caso di danno causato da infarto”, ha chiarito Alessandro Giacomello, co-autore dello studio. “Abbiamo osservato che durante la formazione delle cardiosfere in vitro si attivano gli stessi geni che regolano la transizione epitelio-mesenchimale nell’embrione. La capacità di subire il cambiamento morfogenetico è infatti alla base della maturazione degli aggregati cellulari e, anche in questo caso, dipende da TGFβ. La somministrazione di TGFβ alle cellule isolate dai pazienti aumenta l’efficienza di formazione delle cardiosfere che, al contrario, risulta limitata quando si adoperano molecole volte a inibire l’attività di questa proteina”.
Sono proprio questi risultati – precisano gli autori – a suggerire un metodo per aumentare il potenziale rigenerativo delle cellule staminali da utilizzare nella “ricostruzione” di un cuore sano.

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