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Martedì 24 LUGLIO 2012
Spending review. Assobiomedica: “A rischio qualità, ricerca e sviluppo e occupazione”

A lanciare l’allarme insieme alle imprese, le società scientifiche che dicono no ai tagli lineari: “Così si mette a rischio la salute dei pazienti”. Per il presidente Rimondi, dietro le scelte del Governo si nasconde la volontà di spingere la sanità privata, tutta di serie A.

La spending review proprio non va: verrà meno la possibilità per le aziende di investire in ricerca e sviluppo, i prezzi di riferimento minimi potrebbero creare solo monopoli a discapito della qualità dei prodotti. Aumenterà il rischio di delocalizzazione delle imprese con conseguenze devastanti per l’occupazione. Soprattutto si creerà una sanità di serie A tutta declinata verso il privato, per chi potrà permettersela, e una di serie B pubblica per i cittadini meno abbienti.
 
È questo l’allarme lanciato da Assibiomedica e Società scientifiche in una conferenza stampa congiunta organizzata oggi nella Capitale.
 
“La sanità non è considerata da questo Governo una priorità – ha detto Stefano Rimondi presidente di Assobiomedica –  con questo provvedimento perderemo in ricerca e sviluppo e si creeranno grandi problemi occupazionali. Il taglio indiscriminato del 5% sui contratti è una mazzata per le amministrazioni virtuose, che già hanno i costi sotto controllo, mentre non sposta molto le cose per chi spreca. L'imposizione dei prezzi di riferimento regolati al ribasso farà sì invece che nessuno avrà più interesse a introdurre prodotti innovativi sul mercato, ma cercherà di abbassare le spese. Da anni – ha aggiunto – proponiamo un osservatorio degli acquisti che vada a chiarire l’insieme dei prodotti e servizi per valutarne la congruità. Una proposta sempre ignorata perché probabilmente richiede un grande sforzo lavorativo, mentre è più semplice tagliare. Così come esiste un rischio delocalizzazione: se l’unico modo per stare sul  mercato è abbattere i costi di produzione molto al disotto degli attuali si perde interesse perché vuol dire non fare più ricerca, e così si va a produrre dove il costo del lavoro è nettamente inferiore”.
 
Soprattutto l’effetto combinato di questi elementi porterà ad un inevitabile scadimento della qualità terapeutica: “Ci sarà una sanità pubblica di serie B, con dispositivi obsoleti e di scarsa qualità con un inevitabile abbattimento dei Lea – ha aggiunto Rimondi - e una privata di serie A che però pochi potranno permettersi. Questa è una scelta politica precisa, e non credo sia casuale, e allora lo si dica chiaramente”.
 
Insomma un quadro allarmante condiviso da Marco D'Imporzano, presidente del Collegio Italiano dei Chirurghi: "Le società scientifiche sono sempre state pronte ad indicare dove sono i veri sprechi, e come intervenire - ha affermato - ma non sono mai state ascoltate, e non lo sono neanche ora. Inutilmente abbiamo invocato la costituzione di tavoli tecnici. E ora il sistema è fallito, abbiamo solo provvedimenti a cerotto. Anche il riferimento ai prezzi di riferimento minimo può essere assimilato alla scelta di un orologio di plastica”.
 
Se in generale le cure salvavita non sono a rischio, ha spiegato Luigi Padeletti, presidente dell'associazione italiana di aritmologia, le conseguenze sono comunque gravi: "Non credo che i pazienti non avranno più il pacemaker - ha affermato - però avranno quello di qualità peggiore. Un paese che non puo' offrire la cura più idonea non è un paese civile”.
A pagare saranno anche i giovani medici: “assisteremo ancora di più ad una fuga di cervelli se non c’è la possibilità di fare ricerca. Ed anche i nostri pazienti emigreranno laddove l’innovazione è garantita. Le migliori terapie saranno garantite solo dal censo”.

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