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Martedì 18 GENNAIO 2022
Se il Welfare State è “muto”

Il nostro welfare, una volta approvati i diversi provvedimenti, fa ben poco perché essi siano compresi non solo nelle sue regole ma nella sua portata culturale di cambiamento a partire da come si pensano le azioni per la salute. In sostanza è “muto”. Una prassi che si sta ripetendo oggi con Case e Ospedli di comunità per i quali è del tutto assente il confronto e il dibattito con la componente professionale e i cittadini/utenti

Premessa
Il welfare italiano e parimenti quello sanitario si connota per una costante e continua manutenzione; in un processo di periodica rivisitazione delle normative portanti del sistema delle politiche pubbliche, etichettati da taluni, nei termini di “epidemia di riforme”.
 
Lo è stato con la 833/78 modificata a partire dagli anni ’90 con la trasformazione delle USSL in Aziende (D.lgs 502/92) e poi la revisione del Titolo V della Costituzione a cui hanno fatto seguito via via i diversi aggiustamenti che ogni Regione ha introdotto.
 
Se questo modo di procedere è utile perché di fatto cerca di allineare i diversi sistemi alle esigenze che si presentano e alle trasformazioni sociali ed economiche in atto, lo è meno per la comprensione di quello che sta succedendo per un cittadino e spesso per gli stessi attori sociali che in quel campo istituzionale operano.
 
In altri termini il nostro welfare (sostanzialmente “muto” in termini di capacità di comunicare la sua mission), una volta approvati i diversi provvedimenti, fa ben poco perché essi siano compresi non solo nelle sue regole ma nella sua portata culturale di cambiamento a partire da come si pensano le azioni per la salute.
 
Per passare da un modello ambulatoriale ad un modello territoriale non basta cambiare il cartello di ingresso della nuova struttura, serve un cambio di paradigma, specialmente se il nuovo si insedia nei vecchi locali di un ambulatorio usato per decenni dai cittadini come mero ambulatorio. Vedremo infatti le reazioni dei milanesi alla creazione della “prima casa della comunità” lombarda ubicata nel vecchio e ampiamente utilizzato per decenni ex ambulatorio mutualistico di Via Rugabella. La stessa argomentazione si può applicare agli attori sociali a cui spesso sfugge la portata di certe norme e i meccanismi di occultamento che inevitabilmente si creano per “conservare” un modello gestionale che resiste a ogni cambiamento.
 
Il ruolo della Health literacy
In questo articolo, proprio in riferimento all'Azienda sanitaria e ai suoi trenta anni di compleanno, anche se di essa abbiamo già parlato in un precedente articolo, intendiamo evidenziare come la Health literacy sia una questione centrale anche se molto ampia, e come sia fondamentale accompagnare ogni cambiamento ed ogni novità con un’attività di sensibilizzazione e di informazione dei cambiamenti introdotti e di ciò che ci si attende da queste innovazioni, sia sul piano operativo che culturale.
 
In altri termini molte delle decisioni assunte nell’ambito del nostro SSN sono state disattese anche per una cattiva comprensione e/o interpretazione da parte dei decisori pubblici, dei politici e dei cittadini di ciò che si stava mettendo in atto e di ciò che accadeva.
 
Un ripensamento o una manutenzione del servizio sanitario nazionale e regionale a nostro avviso necessità di un grande sforzo di semplificazione anche comunicativa oltre che di un accompagnamento alla comprensione dei cambiamenti in atto nella loro sostanza e nel loro declinarsi.
 
Strutture come AGENAS, ma la stessa Conferenza Stato Regioni e a scendere le singole Regioni possono costituire un presidio in tal senso.
 
Due aspetti disattesi
Nei numerosi processi di riforma del nostro Welfare State di fatto gli aspetti strutturali dei nuovi asset organizzativi hanno finito per imporsi nel campo istituzionale in un modello di governance tipicamente top down.
 
Nel ruolo di stakeholder, la burocrazia e il decisore politico e in ruolo del tutto subordinato, la componente professionale e i cittadini/utenti.
 
Dei primi abbiamo già parlato diverse volte denunciando i limiti di un sistema incapace di valorizzare il general intellect rappresentato dalla componente cognitiva, dei secondi vorremmo ora evidenziare alcuni aspetti, rimarcando la frattura intervenuta a partire dagli anni ’90; anni in cui, adottando come pretesto il disavanzo sanitario, fuprofondamente modificata la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, la 833/1978 attraverso provvedimenti legislativi che, mentre non riuscirono a risanare i bilanci e a efficientare il sistema (motivo iniziale della loro ideazione), in cambio, desertificarono il campo della partecipazione.
 
Quel che colpisce della stagione in cui fu approvata la legge 833/78 è il livello di partecipazione che accompagnò il varo di quel provvedimento; un coinvolgimento dei cittadini/utenti che aveva trovato il suo rodaggio alcuni anni prima con la istituzione del Consultori (legge 405/1975) e che era orientato a fornire quella cassetta degli attrezzi indispensabile per fare uscire il “cittadino chiunque” dalla stagione delle mutue e farlo entrare in modo informato in quella del nascente servizio sanitario nazionale universalistico, partecipato e preventivo.
 
Gli asset culturali che i decisori politici del tempo cercarono di rendere egemonici erano i due momenti della partecipazione e della comprensione. L’obbiettivo, di trasformare quel soggetto passivo che subiva l’assistenza sanitaria in un soggetto attivo che poteva co-decidere e che era pienamente titolare di diritti prima negati, purtroppo, è stato raggiunto solo parzialmente.
 
Questi due momenti intrinsecamente connessi della partecipazione e della comprensione sono progressivamente spariti dall’agenda politica perché inessenziali in quel processo di mercatizzazione della sanità in cui il cittadino è stato trasformato in “cliente”.
 
Un processo di occultamento utilitaristico della realtà che non ha tenuto in nessuna considerazione l’asimmetria informativa esistente tra quel supposto “cliente” e l’erogatore di servizi sanitari e che ha creato la falsa illusione che la libera scelta del cittadino fosse il mezzo migliore per implementare la qualità del sistema.
 
Il deficit di trasparenza/efficacia nel discorso pubblico sulla sanità
Il discorso pubblico in tema di sanità è desolatamente viziato da due “peccati”, il deficit di trasparenza ed efficacia comunicativa che hanno progressivamente allontanato i cittadini dal servizio pubblico ingenerando quella sfiducia che è oggi in parte alla base del rifiuto nei confronti dei vaccini.
 
Un problema, ovviamente non solo italiano, e che tale non poteva restare se ci abituassimo a considerare i problemi istituzionali di ogni singolo paese parte concreta del “sistema mondo” di cui inevitabilmente ogni stato fa parte.
 
Le diverse riforme succedutesi nel tempo dunque non sono state accompagnate da valide azioni che ne spiegassero la portata e ne illustrassero i contenuti nei termini di miglioramento nell’accesso ai servizi ed esigibilità delle prestazioni; men che meno sono stati istituiti percorsi che valorizzassero il ruolo dei cittadini nella co-progettazione dei servizi locali e soprattutto nella valutazione del servizio reso.
 
Il “difetto di trasparenza” ha riguardato soprattutto gli obbiettivi che le riforme si riproponevano perché in mancanza di indicatori di risultato accessibili a tutti non è stato possibile verificare la reale portata del processo di riforma per quanto riguardava efficacia e concreta esigibilità dei livelli delle prestazioni.
 
Gli attori del campo istituzionale e le alleanze tra stakeholder
L’epidemia da Sars COV 2 ancora drammaticamente in corso ha messo in evidenza la fragilità del nostro SSN. Già molto è stato scritto su questo tema, ma qui a noi preme sottolineare come nel campo istituzionale della sanità si sia da tempo consolidata una stretta alleanza tra il decisore politico, la componente manageriale di nomina politica e il complesso sanitario industriale privato; un ruolo marginale hanno invece giocato la componente professionale, sottoposta a un’inaccettabile processo di svalorizzazione e i cittadini che hanno subito l’impoverimento strutturale e culturale a cui è stato sottoposto il nostro SSN negli ultimi 15 anni
 
Urge dunque la necessità di creare un nuovo equilibrio in cui i professionisti della salute e le organizzazioni degli utenti ritrovino quel ruolo di stakeholder che loro compete
 
Conclusioni: la grande sfida del coinvolgimento dei professionisti della salute e degli utenti
Gli importanti finanziamenti per la sanità (anche se ancora insufficienti a coprire l’eccesso di spese sostenute dalle Regioni per la pandemia) e le risorse vincolate alla Missione 6 del PNRR sono un’occasione da non sprecare per rilanciare il nostro SSN.
 
Esistono tuttavia delle condizioni da rispettare affinché il processo di riforma non diventi un’altra incompiuta come lo è stata la legge Balduzzi che pure aveva degli elementi da valorizzare.
 
Un cambiamento epocale richiesto e necessario, le piccole e grandi riorganizzazioni come le Case della Comunità, gli Ospedali di Comunità non sono semplicemente riposizionamenti organizzativi di strutture o ridenominazioni di servizi già in parte sperimentati anche se in pochi casi e non completamente, si pensi alle esperienze delle Case della salute, ma piuttosto una rivoluzione culturale sia sul piano cognitivo che relativamente al ruolo e al coinvolgimento concreto, alla loro responsabilizzazione, sia degli operatori che dei cittadini.
 
Di queste nuove strutture diremo in altra sede anche in considerazione del dibattito in corso e che questo giornale segue con particolare attenzione.
 
Ora più che mai è necessario un ripensamento culturale, un nuovo paradigma, che si fonda sul diverso ruolo del territorio e delle strutture specialistiche, dei cittadini e della comunità a partire del processo di individuazione dei luoghi dove ubicare queste nuove realtà per la salute.
 
Non bastano provvedimenti legislativi e aggiustamenti organizzativi ma è necessario e urgente un forte dibattito politico e tecnico, una puntuale e precisa strategia di informazione e comunicazione, di co-progettazione, di attivazione effettiva delle comunità, nonché una contestuale formazione del personale che dovrà operare secondo logiche differenti e nuove.
 
Si tratta di guardare alla questione della Health literacy come occasione e non come problema per una co-progettazione informata e consapevole di spazi di salute che costituiscono occasione di crescita del benessere e non di mere prestazioni sanitarie.
 
Roberto Polillo, Mara Tognetti

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