quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Giovedì 20 GENNAIO 2022
Pnrr, convenzione e medicina territoriale, quanta confusione...



Gentile direttore,
fin dal varo del PNRR sono stati segnalati alcuni rischi ed ostacoli per l’attuazione delle case ed ospedali della comunità, vale a dire i punti qualificanti del piano per il rilancio del territorio: la mancanza di definizione di strutture, tecnologiche e norme organizzative per l'assistenza territoriale, normativa nazionale ambigua in materia di assistenza primaria, con conseguente attuazione ineguale a livello regionale, scarsa capacità di coordinare i professionisti, soprattutto quelli con accordi contrattuali, scarsa capacità di coinvolgere il diversi stakeholder, numero e competenza insufficienti del personale dedicato all'attività.
 
Non si trattava di un cahier de doléances frutto di opposizione preconcetta al recovery plan, ma di avvertimenti, da me riassunti, contenuti nelle schede di programma inviate a Bruxelles, dopo l’OK del parlamento italiano, per ottenere il via definitivo ai finanziamenti promessi.
 
Ebbene, all’inizio del 2022 le pessimistiche previsioni paventate nel dossier sono venute alla luce con ritardi e inadempienze di breve e lungo periodo: nei due anni della pandemia si è perso prima il treno dell'ACN triennale 2016-2018, sottoscritto in extremis con altrettanto ritardo, e poi anche il successivo ACN 2019-2021 che ha cessato la sua validità temporale prima ancora di essere negoziato.
 
Se si allarga l’orizzonte temporale ai primi decenni del secolo si registra il ritardo quindicennale nel rinnovo della parte normativa ed organizzativa dell’ ACN, delle deliberazioni sulle case della salute mentre a novembre 2022 cadrà il decennale della riforma Balduzzi, che da allora riposa nei cassetti della maggioranza degli assessorati regionali.
 
AFT e UCCP potevano costituire una rete di protezione per un’efficace gestione della pandemia, le prime addirittura a costo zero; ciononostante sono rimaste sulla carta per il disinteresse dei decisori regionali, a parte alcune eccezioni. Da qui un dubbio legittimo: se in quindici anni riforme, decreti ministeriali, accordi stato-regioni e ACN sono rimasti lettera morta, cosa garantisce che sia portata a termine in un lustro una ristrutturazione epocale come quella del PNNR?
 
La leva per colmare i limiti di un approccio puramente giuridico-formale, come quello che ha ispirato norme rimaste inattuate, doveva venire dalle risorse comunitarie e soprattutto da un cambiamento del metodo di implementazione del PNRR, imposto con il cronoprogramma di riforme dettato da Bruxelles pena la revoca dei finanziamenti.
 
Invece all’inizio dell’anno cruciale per l’avvio del programma di riorganizzazione del territorio siamo ancora alle prese con rinvii, inottemperanze e soprattutto con la riproposizione delle stesse logiche giuridico-formali top down, come l’ipotesi di un rinnovo dell’ACN ope legis, dopo una vacanza contrattuale quinquennale, al pari della rivendicazione del passaggio al rapporto di subordinazione o di un’etichetta specialistica garante del recupero di immagine e ruolo sociale.
 
Per una sorta di coazione a ripetere si reitera la soluzione astratta di norme calate dal centro sui territori, confidando che un atto legislativo emergenziale possa rimediare al tempo perso e indurre ipso fatto cambiamenti sociali complessi che richiedono processi articolati di traduzione pratica, previa negoziazioni e coinvolgimento del sistema socio-tecnico incaricato della messa in atto delle riforme stesse.
 
Senza queste precondizioni anche il più accurato dispositivo normativo rischia nel migliore dei casi l’inefficacia e nel peggiore di sortire effetti perversi o contro-intuitivi, come il rischio di defezioni anticipate dei medici in procinto del pensionamento; potrebbe essere questo l’esito empirico di ACN imposto senza condivisione di obiettivi e strumenti, per via di una “ scarsa capacità di coordinare i professionisti, soprattutto quelli con accordi contrattuali, e coinvolgere i diversi stakeholder”, come ammoniva con preveggenza il dossier sopra citato.
 
In questo contesto risaltano alcuni limiti della bozza di rinnovo dell’ACN divulgato in questi giorni. Accenno solo a due aspetti pratici che mettono in dubbio l’impatto di una convenzione imposta con una forzatura rispetto alle mediazioni sindacali.
1 - Passeranno almeno 2 anni, se tutto va per il verso giusto, prima che siano attive almeno 1/3 delle Case e degli Ospedali di Comunità previsti sulla carta e peraltro già insufficienti per ospitare i medici operanti in un bacino di residenti che varia da 45 a 100mila. Nel frattempo dove verranno espletate le attività previste nelle ore che i MMG sono tenuti a svolgere nelle strutture?
 
2- Nonostatente i propositi del PNRR circa l’assistenza domiciliare occasionale e quella programmata/integrata (il PRR prevede di estenderla al 10% degli ultra 65enni) nella bozza non vi sono dettagli su questa attività, che occupa non meno di 1 ora al giorno ogni MMG in continuità con l’assistenza ambulatoriale. A dire il vero un accenno vi è ma nel segno del paradosso in quanto si prevede che nelle “12 ore settimanali svolte per iniziative definite dal distretto e/o dalla casa della comunità è prevista anche l’ assistenza domiciliare “ potendo “essere svolte presso la casa della comunità (hub e spoke), lo studio del MMG, la sede della AFT, altri locali individuati dalle autorità sanitarie”.
 
E’ difficile immaginare come sia possibile garantire l’assistenza domiciliare in locali diversi da quelli di residenza dell’assistito! Ma tant’è, quest’obbligo potrebbe trovare posto in una norma di legge, al pari di parametri orari rigidi e sottoposti a controllo burocratico, che ignorano la flessibilità dell’impegno professionale sul territorio, sia in studio sia a domicilio del paziente o con il telelavoro da casa, per via di ben note variazioni settimanali e stagionali della domanda.
 
Non si cambia la società per decreto, ammoniva nel secolo scorso il sociologo francese Michel Crozier, figuriamoci quando si tratta di ricostruire e coordinare una complessa rete orizzontale e non gerarchica di servizi socio sanitari ed assistenziali, composta da una pluralità di attori professionali ed organizzativi, pubblici e privati, autonomi e interdipendenti.
 
Dott. Giuseppe Belleri
MMG e animatore SIMG

© RIPRODUZIONE RISERVATA