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Lunedì 07 FEBBRAIO 2022
La terra dei cachi



Gentile Direttore,
c’è sempre un corollario nascosto che vive all’ombra di un fenomeno più visibile e in vista: all’ombra del Covid c’è la profonda crisi della medicina pubblica. Quando si vuole giocare sporco con l’informazione, si mette sotto i riflettori l’emergenza Covid e sotto il tappeto la ben più grave crisi sanitaria, perché anche il Covid avrebbe avuto dimensioni diverse se avessimo combattuto con una sanità più attrezzata.
 
Sbatti il mostro in prima pagina per non far capire alla gente che i mostri sono altri e altrove. Vecchia storia, è l’informazione che non cerca la verità ma insegue il gossip, il sensazionalismo che fa tiratura.
 
In questi giorni la protesta dei camici bianchi e verdi, medici e infermieri, sta arrivando alle barricate, scende in strada il malcontento di chi non ce la fa più, non solo per questi due anni di impegno pandemico, ma per le ristrettezze di almeno dieci anni di incuria verso il servizio sanitario pubblico, in soldoni: più di 30 miliardi di euro in meno alla sanità.
 
Come chiedere al mulo governato a calci nel sedere di portare altri cento chili in più. Il mulo non ci sta e si è accasciato per terra. Qualcuno ne parla? Ovviamente, no. La star è il Covid. Da secoli il punto di riferimento della gente è il medico di base, una volta condotto e dipendente comunale, oggi funzionario non dipendente dalle Asl ma sempre in prima linea per la salute della gente.
 
La presenza capillare sul territorio è stato solo un pretesto per lo Stato per trasformarlo in uno sportello di servizi dalla caratteristica demenzialità burocratica. Certificati, piani terapeutici, invalidità, malattia, richieste di pannoloni, green pass, gestione dei dati di guarigione che spetterebbero agli uffici Igiene, provvedimenti di quarantena, informazioni ai cittadini nel marasma burocratico del covid e tante altre strampalate idiozie di sistema che passano attraverso il telefono e il computer dei medici di base.
 
E il tempo per le cure, dove è finito? Ammucchiato in un angolo in attesa di tempi migliori che non arriveranno mai se lo Stato si ostina a fare dei medici del territorio piccoli notai e commercialisti della salute sommersi da quintalate di certificati di esistenza in vita o di sana e robusta costituzione fisica. La peculiarità dell’assistenza primaria che è tutta nell’ascolto e nella relazione intima e continua con il paziente, è saltata per mancanza di tempo, spodestata dalle carte e dalle note amministrative, quella che era una medicina umana e di primo livello è diventata telematica distanza da chiunque, solo computer, telefono e fretta di avere un pezzo di carta per qualsiasi cosa: ricette e impegnative a fiumi.
 
Qualità dell’assistenza pari ad un ufficio postale, grado di soddisfazione della gente vicino al rifiuto e amore per la professione degli operatori vicina a gettare la spugna e dedicarsi all’agognata pensione. Si poteva affrontare la sfida di un virus con questi strumenti? Si può affrontare la domanda di salute fatta di assistenza, vicinanza ad una popolazione sempre più vecchia e cronica con un computer e venti chili di carte al giorno?
 
Domande retoriche e inutili perché il nostro è un paese che per ogni problema mette su un emergenza e un commissario straordinario. Come sia possibile trasformare in emergenza un problema di almeno dieci anni è nel DNA borbonico dei nostri amministratori, per i quali i problemi diventano tali solo se imbracciano i forconi davanti ad un ministero. Se non vedi il problema, sei tu il problema…
 
Dott. Enzo Bozza
Medico di base a Vodo e Borca di Cadore


 

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