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Giovedì 17 FEBBRAIO 2022
Aifa, il paziente al centro... ma non troppo

AIFA si è inventata Open Aifa, che personalmente ho sempre interpretato come un luogo dove le associazioni si sfogavano e i dirigenti ascoltavano, e non è dato sapere quanto questo mezzo abbia generato cambiamento. La vera rivoluzione sarebbe vivere il know-how delle associazioni di pazienti come un valore irrinunciabile nei processi decisivi riguardo a quale farmaco mettere a disposizione dei malati e sulla verifica dell’effettivo accesso

È stata pubblicata lo scorso 9 febbraio l’interrogazione a firma Romeo, Fregolent, Cantù, Bagnai che sollecita il ministro Speranza a una maggiore partecipazione delle associazioni di pazienti nelle politiche pubbliche sanitarie, e nello specifico si fa riferimento all’ipocrito coinvolgimento delle stesse da parte di AIFA.
 
A livello internazionale esistono molti modelli che distinguono nettamente i cittadini dai pazienti: FDA e EMA, rispettivamente agenzia americana ed europea della registrazione dei farmaci, da tempo hanno avviato il coinvolgimento dei pazienti in ruoli e commissioni che ne garantiscono la dignità partecipativa.
 
In Italia AIFA si è inventata Open Aifa, che personalmente ho sempre interpretato come un luogo dove le associazioni si sfogavano e i dirigenti ascoltavano, e non è dato sapere quanto questo mezzo abbia generato cambiamento. La vera rivoluzione sarebbe vivere il know-how delle associazioni di pazienti come un valore irrinunciabile nei processi decisivi riguardo a quale farmaco mettere a disposizione dei malati e sulla verifica dell’effettivo accesso, azioni che Aifa che non ha mai esercitato perché non ha mai voluto entrare nella verifica territoriale lasciata alla compagine politica, e che è però alla base delle diseguaglianze di accesso ai farmaci sul territorio nazionale dove capita che un cittadino calabrese o un cittadino veneto accedano a un determinato farmaco anche con un anno di ritardo rispetto a un cittadino lombardo che ne ha accesso immediato.
 
Ci sono almeno due ragioni del perché la nostra Agenzia italiana del farmaco non intende coinvolgere realmente le associazioni dei pazienti. La prima è che è faticoso, visto che occorre avviare un modello di selezione di verifica dei requisiti di partecipazione - ed è evidente che non è pensabile che tutte le associazioni abbiano la formazione e la competenza necessarie per essere membri delle commissioni istituite in AIFA, ovvero CPR, Comitato Prezzi e Rimborso, e CTS, Commissione Tecnico-Scientifica -. La seconda è di tipo culturale, poiché le associazioni vengono viste come un prezzo da pagare al quale molti rinuncerebbero: vengono incontrate con supponenza e arroganza, vengono vissute quasi con fastidio e trattate come portatrici d’interesse spinte dall’industria del farmaco e quindi senza una propria personalità, il che rende il tutto perfino umiliante.
 
Sul conflitto d’interesse poi si dovrebbe aprire ad una sana e positiva discussione: alcuni componenti delle due Commissioni sono segnalati dalle regioni, altri sono medici e professionisti e a voler vedere bene sono tutti portatori d’interesse e quindi con possibili conflitti. Credo però che si possa concordare tutti sul fatto che non basti un conflitto d’interesse, se questo è dichiarato, per non accedere a queste commissioni, perché se così fosse avremmo pensionati eccellenti ma fuori da studi scientifici, e funzionari in pensione che forse farebbero altro. Il conflitto d’interesse sarebbe facilmente gestibile se ce ne fosse la volontà.
 
Lo scoglio culturale fa sì che si voglia mettere al centro il paziente ma non troppo, o almeno non così tanto da riconoscergli la dignità che merita. Facendo così però il Paese rinuncia a un grande contributo e si pone in controtendenza con quanto avviene fuori dai confini: bene quindi per l’interrogazione, ma stiamo attenti alla risposta, se mai ci sarà.
 
Rosaria Iardino
Presidente Fondazione The Bridge

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