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Giovedì 17 FEBBRAIO 2022
La “geniale” invenzione del “Bonus psicologo”



Gentile Direttore,
la proposta di un “bonus psicologo” e le iniziative di alcune Regioni che ne hanno recepito la logica e le finalità erogando alcuni milioni di Euro per la sua attuazione, ha suscitato un vivace dibattito nel quale sono emerse perlessità, dubbi e, talora, valutazioni decisamente negative.
 
Non c’è dubbio, a mio avviso, che la geniale invenzione di questo “bonus psicologo”, presentato come un salvifico intervento di emergenza, fa parte di quella serie di iniziative strumentali assai parziali spesso anche condizionate da opportunità contingenti e da interessi corporativi o privati, che sfiorano appena le gravi e annose problematiche della sofferenza mentale propriamente detta e della sua presa in cura. Ancora una volta si sceglie una scorciatoia riduzionistica, una misura monovalente ad effetto che dovrebbe far parte invece di un approccio globale ben programmato alla moteplicità degli aspetti della sofferenza mentale: affettivi, di integrazione sociale e lavorativa, psicologici e mentali.
 
Sembrerebbe che anche queste risorse vadano a rafforzare un sistema da tempo prevalentemente dedito alla erogazione di un certo numero di prestazioni tecniche più che alla realizzazione di una presa in carico globale delle persone con sofferenza mentale attraverso progetti e percorsi di inclusione sociale e lavorativa. Purtroppo la perdurante mobilitazione delle Regioni e l’insistente enfasi dei media sulla ingegnosa trovata senza approfondirne la portata e le conseguenze del suo impatto sull’assistenza reale non fanno sperare troppo di buono.
 
Giustamente Peppe Dell’Acqua (Forum salute mentale) puntualizza che i disagi e le sofferenze che hanno colto ciascuno di noi nel corso della pandemia rappresentano in definitiva delle normali reazioni di adattamento a condizioni esistenziali avverse. Altra cosa è il grave disturbo mentale che richiede un intervento assai più complesso: “le conseguenze molto drammatiche del virus sono quelle che colpiscono e aggravano la già stentata vita dentro e fuori le istituzioni delle persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale severo, relazioni complicate, miserie relazionale e delle loro famiglie, degli operatori”…” i malati di mente rischiano con il doppio isolamento una sempre più profonda invisibilità….Nel nostro Paese le peggiori psichiatrie, ma anche le psichiatrie pulite dell’ambulatorio, dei letti, delle cliniche, non hanno perduto l’occasione per avviare pesanti e dolorose regressioni”.
 
Ecco, questo è il vero problema: il problema di fondo di assai preoccupanti dimensioni che stava davanti a noi già prima della pandemia si è ulteriomente aggravato nel corso della pandemia e deve essere ormai affrontato in tutta la sua ampiezza mettendo mano ad una profonda trasformazione funzionale e organizzativa del sistema affinché esca da un processo involutivo durato almeno 20 anni ed assuma i connotati e le attività di una compagine solidale in grado di realizzare i complessi e lunghi percorsi di terapeutico-riabilitativi delle persone con sofferenza mentale: una équipe “tecnica” multidisciplinare affiancata ed integrata con la partecipazione attiva dell’utente e della sua famiglia a stretto contatto con le realtà sociali nelle quali si svolge la vita del paziente (scuola, lavoro, tempo libero, abitare, ecc.).
 
Va sottolineata a questo punto la fondamentale importanza della famiglia, molto spesso esclusa dai percorsi terapeutico-riabilitativi, che, se non abbandonata, ma coinvolta e ben orientata, rappresenta in linea di massima una grande risorsa affettiva, economica e patrimoniale. Per fare tutto ciò non basterà qualche assunzione in più (di cui non si è mai negata la estrema necessità) ma occorrerà un vero e proprio cambio di passo e di cultura che non potrà essere compiuto se non con la partecipazione attiva di tutti gli interessati: operatori, utenti, famigliari e loro rappresentanze organizzate, privato e privato sociale, cittadinanza attiva organizzata, ecc. impegnati in percorsi di collaborazione e co-progettazione coordinati dai Dipartimenti di Salute Mentale. Soltanto un tale impegno collettivo potrà essere in grado di superare le fortissime resistenze di quel groviglio di pregiudizi e di interessi di varia natura che, di fatto, governano la sanità e la salute mentale fra le maglie delle molteplici articolazioni istituzionali, politiche e corporative.
 
Non si può tacere che nella nostra società dei consumi e del profitto le componenti strutturali, economiche ed ambientali condizionano pesantemente la qualità della vita, la genesi e l’evoluzione delle malattie nonché l’organizzazione dei servizi sanitari in funzione dell’assetto economico e, in particolare, degli interessi di coloro che detengono posizioni di potere politico, economico e amministrativo. Come ci ha insegnato Giulio A. Maccacaro, una vera presa in cura non può perciò non prendere in seria considerazione queste componenti per eliminare le cause di malattia ad esse legate e realizzare così, prima di tutto, anche una prevenzione vera, cioè una prevenzione primaria piuttosto che limitarsi alla prevenzione dell’aggravamento della malattia o prevenzione secondaria.
 
Girolamo Digilio
Già Primario e Docente di Clinica Pediatrica, Università La Sapienza, Roma
 
 

 

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