quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Lunedì 11 APRILE 2022
Liste d′attesa senza equità?



Gentile Direttore,
si è recentemente sviluppata, in Toscana, un’ampia discussione sui criteri di accesso alle prestazioni sanitarie non urgenti e, in particolare, se queste siano da pianificare tenendo conto della provenienza dei pazienti e della appropriatezza.

Tutto ciò si inserisce, inevitabilmente, nel generale tema della gestione delle liste di attesa, problematica all’attenzione dell’opinione pubblica, come ci confermano due recenti rapporti che riportano quali sono gli aspetti di principale insoddisfazione. Nel Rapporto CREA Sanità 2021 i principali elementi d’insoddisfazione riferiti dai cittadini sono le liste d’attesa e la difficoltà nel prendere appuntamenti al telefono; più recentemente il 1^ rapporto annuale JANSSEN – CENSIS sulla sanità italiana evidenzia che il 96,6% degli intervistati per una sanità migliore vorrebbe interlocutori precisi sul territorio e il 95,7 semplificare l’accesso alle cure.

Se dunque il problema non è nuovo, indubbiamente la pandemia lo ha aggravato attraverso due meccanismi convergenti:
- la riduzione delle attività consuete in seguito al Covid, con un allungamento di molteplici procedure all’interno degli ospedali (vestizione, disinfezione, diversificazione dei percorsi ecc.) dedicando inoltre attività, ambienti,  e personale ai pazienti infetti;

- il notevole incremento di richieste in alcuni settori (ad esempio la cardiologia con un aumento di circa il 30% della domanda in Toscana) per gli effetti dei postumi (Long Covid).

Alcune Aziende ospedaliere toscane hanno messo da tempo in atto (Pisa fin dal 2016) un sistema denominato Open Access al fine di assicurare in tempi rapidi le prime visite per le quali il Presidio ospedaliero è di riferimento per le attività di base.

Come ha fatto presente Massimo Angeletti, coordinatore dei medici di famiglia di Livorno, in una recente intervista (Il Tirreno, 6 Aprile 2022), tale percorso riguarda solo alcune branche più comuni, che possono essere gestite anche in altre sedi, mentre per una prestazione specialistica l’accesso è rivolto a tutta la popolazione.

Tale sistema, come ampiamente illustrato nel libro di Carlo Rinaldo Tomassini “Liste di attesa in sanità. La soluzione dell’Open Access”, persegue l’obiettivo di definire un’offerta di prestazioni adeguata alla domanda ed è stato costruito studiando appunto la richiesta (prima vista specialistica o esame diagnostico) da parte dei medici di base dell’area di riferimento, al fine di definire conseguentemente un’offerta calibrata, senza però entrare – se non in fase di identificazione della domanda, e quindi in termini assai generali - nel merito dell’appropriatezza della prestazione.

La finalità è quella non solo di ottimizzare l’uso delle risorse (personale e attrezzature) ma, in primo luogo, di eliminare le liste di attesa che sono ridotti a tre giorni. Qualora dopo tali accertamenti sia necessaria un’ulteriore prestazione o una visita di controllo, questa viene prenotata direttamente dal professionista che ha effettuato la visita, con la tempistica ritenuta appropriata.

Nelle scorse settimane tale approccio ha suscitato una serie di interventi sulla stampa (in parte critici) da parte di sindaci e anche del segretario della Lega Matteo Salvini.

Il sindaco di Prato e presidente dell’ANCI toscana, Matteo Biffoni, intervenendo in merito, ha dichiarato che “I cittadini sono tutti uguali”. Giusta affermazione, forse da precisare perché, per quanto riguarda la salute, in base all’articolo 32 della Costituzioni non sono uguali tutti i cittadini, ma tutte le persone. Persone per le quali, come scriveva Florence Nightingale, fondatrice delle scienze infermieristiche: “Apprensione, incertezza, attesa, aspettative, paura delle novità, fanno a un paziente più male di ogni fatica”. Il problema che abbiamo di fronte pertanto è come si superano queste attese e come si gestiscono queste aspettative.

Altra interessante esperienza toscana è quella realizzata nella zona del Mugello per la gestione delle richieste cardiologiche. Un approccio che affronta la lista di attesa come un “indicatore di sistema” e si sviluppa avendo come obiettivo trainante la ricerca della qualità delle relazioni fra tutti i nodi del sistema e la loro inclusione: cittadini, infrastrutture di prenotazione (CUP) medici di famiglia, specialistica territoriale, specialistica ospedaliera di secondo e terzo livello.

I suoi cardini di funzionamento sono: presa in carico completa (la programmazione dell'iter clinico  è a carico di ogni livello di cura), risposta per priorità clinica (nasce il fast track nel 2009), deframmentazione dell'intervento clinico, contatto, consulto e feedback diretti fra i professionisti, ricerca ed attenzione alla appropriatezza in arrivo  (richiesta dei medici di famiglia) e in uscita (indicazioni specialistiche), follow up strutturati, interventi di empowerment dei cittadini, disponibilità dedicata ai residenti. Quando è stato applicato si è passati da 6 mesi di attesa per prima visita cardiologica a 25-35 giorni.

Esistono quindi approcci possibili che possono essere costruiti partendo dalle caratteristiche delle singole comunità e dalla propensione alla cooperazione tra i professionisti sanitari.

Vi sono, ad esempio, differenze territoriali strutturali quali la distanza della propria abitazione da un ospedale come da altri servizi pubblici che vanno superate o quanto meno attenuate. Ciò è possibile con una corretta programmazione delle prestazioni così dette “di primo livello” nel territorio, una rete delle strutture sanitarie disegnata sui bisogni reali e una maggiore comunicazione/collaborazione tra richiedente e specialista. Se una persona che vive in un comune dell’appennino toscano ha, ad esempio, necessità di visita cardiologia, elettrocardiogramma, esame radiologico ecc. non deve recarsi all’Azienda ospedaliera universitaria di Firenze (Careggi) ma gli deve essere offerta in prossimità; peraltro ormai è possibile ricorrere in molti casi ad un consulto o ad una lettura differita di immagini e tracciati.

Una adeguata programmazione sanitaria - attività ormai desueta - effettuata attraverso il confronto con i professionisti e le istituzioni locali, deve pianificare le risorse e affidare al “secondo livello” e, in particolare, alle Aziende ospedaliere, le prestazioni più complesse che necessitano, per assicurare standard qualitativi appropriati, adeguati volumi di attività.

Un accesso indifferenziato e non pianificato è destinato a fallire, amplificando le diseguaglianze costringendo o provocando onerosi e non necessari spostamenti (e quelli interregionali e dal Sud al Centro Nord ne sono l’esempio più evidente).

La pianificazione delle attività sanitarie (cosa indubbiamente complessa che ha bisogno di continui adeguamenti e revisione dei criteri di accesso alle prestazioni) non deve essere abbandonata. Acquisire un esame diagnostico o una visita non è come comprare un prodotto in un supermercato e l’assenza di regole condivise e di diversificate funzioni fra le strutture sanitarie amplificherebbe le liste di attesa comportando conseguentemente un ricorso alle prestazioni intramoenia non per scegliere il professionista ma per superare le lunghe attese.

Marco Geddes da Filicaia
Medico epidemiologo

Riccardo Tartaglia
Clinical risk manager

Andrea Vannucci
Medico direzione sanitaria

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA