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Mercoledì 22 GIUGNO 2022
Psoriasi e gravidanza. Per le donne del Lazio c’è il progetto PSO-Mother

Il progetto si concentra essenzialmente sulla psoriasi in gravidanza, poiché questa condizione cronica si interseca molto spesso con l’età fertile della donna, e studia la sicurezza di nuovi e vecchi trattamenti farmacologici utilizzati nelle donne affette da questa condizione e la valutazione dell’impatto sulla salute di madre e bambino

I dati delle survey, di statistiche routinarie o dati ambulatoriali, indicano che in Italia un 15-20% di donne in gravidanza ha problematiche legate a patologie croniche, e questi numeri aumentano ulteriormente se consideriamo pure l’obesità, che ha un forte impatto sugli esiti della gravidanza. L’incremento della frequenza delle cronicità in gravidanza è legata anche all’aumento dell’età al parto, che da decenni è lineare e costante (in Italia è di circa un mese per anno), ma soprattutto ad altri fattori come il miglioramento nelle opzioni terapeutiche, il miglioramento diagnostico, e il miglioramento e l’aumento delle tecniche di fecondazione assistita. Chiaramente una condizione di cronicità in gravidanza aumenta però anche le conseguenze e le criticità negli esiti materni e fetali neonatali.

Possiamo identificare tre momenti nevralgici quando parliamo di cronicità in gravidanza: un momento pre-concezionale, la necessità di ottimizzare la terapia, e la necessità di mettere in relazione l’assistenza di ginecologi e ostetrici con gli specialisti delle varie condizioni, ovvero la multidisciplinarietà, che è il driver per ottenere la migliore assistenza e la possibilità di migliori esiti nella gravidanza.

Se questo quindi è il quadro epidemiologico di riferimento, cosa possiamo fare per migliorare la situazione? Dal punto di vista della paziente è fondamentale pianificare - per quanto possibile - il concepimento, ma è ancor prima necessario disporre di tutti gli strumenti per una piena consapevolezza, perché la mancata informazione spesso trasforma quello dovrebbe essere un periodo di felicità e di attesa in un periodo in cui si susseguono paure e reticenze, come quella di peggiorare i sintomi della propria malattia, di trasmetterla al bambino, il timore stesso della pianificazione dei trattamenti e la paura per la propria sicurezza prima e durante la gravidanza, o ancora della possibilità di allattare il futuro figlia o la futura figlia. Per alcune patologie, come la sindrome da anticorpi antifosfolipidi primaria, si arriva ad una percentuale di influenza nella pianificazione di una gravidanza che tocca il 45% dei casi, e il 25% delle donne di questa popolazione hanno deciso di non avere figli.

Non è raro infatti che questi timori causino nelle donne affette da cronicità un sostanziale ritardo nella pianificazione di una gravidanza, quando oltretutto sappiamo che prolungare i tempi, in un periodo storico in cui l’età media del concepimento si è allungata ulteriormente rispetto a qualche anno fa, comporta rischi addizionali come l’aumento del rischio di infertilità.

Nel rapporto regionale sulle differenze di genere nella salute e nell'assistenza sanitaria la gravidanza ha un capitolo a sé, perché occorre riconoscere l’importanza di un momento così esclusivo della vita di una donna, mentre la ricerca tende invece a escludere queste pazienti dai trial. È quindi solo la Real World Evidence, la capacità della ricerca epidemiologica di utilizzare al meglio i dati dei sistemi informativi correnti a fornire risposte certe e affidabili, ed è per questo che il progetto PSO-Mother, finanziato da Ministero della Salute e coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia del Lazio (DEP Lazio) e da Regione Lazio, costituisce un esempio virtuoso, i cui risultati sono stati presentati in un evento svoltosi il 16 giugno al Palazzo delle Esposizioni a Roma (è possibile rivederlo a fondo pagina).

Il progetto si concentra essenzialmente sulla psoriasi in gravidanza, poiché questa condizione cronica si interseca molto spesso con l’età fertile della donna, e studia la sicurezza di nuovi e vecchi trattamenti farmacologici utilizzati nelle donne affette da questa condizione e la valutazione dell’impatto sulla salute di madre e bambino.

Analizzando i risultati di questo studio notiamo come, tra le donne con psoriasi, la gravidanza sembra avere un’influenza significativa sui pattern descrittivi dei diversi trattamenti farmacologici, poiché l’abbandono dei farmaci raggiunge circa il 40% nel terzo trimestre di gravidanza nel caso di farmaci topici, ma è comunque molto alto anche per i sistemici e i biologici. Un fenomeno presente, pur se con un tasso di abbandono più contenuto, in una condizione cronica con terapie farmacologiche simili, ovvero l’artrite reumatoide. Risultati che evidenziano senza dubbio la necessità di studiare l’impatto di questo abbandono su eventuali esiti sanitari per la madre e il bambino e di migliorare la presa in carico delle donne con patologie autoimmuni.

Ma quando si parla di psoriasi (e di cronicità in generale), bisognerebbe partire da un concetto a monte, ovvero da una corretta informazione sui fattori di rischio per la malattia, come il fumo, l’alcol e l’obesità, che peraltro incidono anche sulla fertilità e in generale sui fattori di comorbilità. Questo però non sembra essere un elemento che influenzi l’approccio dei dermatologi alla gestione della psoriasi, almeno secondo una survey condotta nel Regno Unito. Non abbiamo dati italiani a riprova, tuttavia il fatto che – secondo questa indagine - i medici, pur riconoscendo l'importanza dei comportamenti legati allo stile di vita nella gestione della psoriasi, non ritengono che il loro ruolo sia anche quello di supportarli è un serio punto su cui riflettere. Di certo limitate conoscenze e competenze per implementare i principi e le tecniche dei comportamenti legati allo stile di vita sono alla base delle loro convinzioni, ma bisognerebbe fare in modo che i medici siano correttamente formati in tal senso e, soprattutto, che si crei una maggiore interazione tra le varie figure professionali in campo medico-sanitario, dal medico di base, al ginecologo, al dermatologo, sia per accertarsi che i pazienti abbiano accesso a trattamenti corretti, sia per evitare i pregiudizi di cui sopra, che portano spesso all’abbandono dei farmaci per la psoriasi o per altre malattie croniche o in generale a una gestione sbagliata dei trattamenti.

Oltretutto, se guardiamo i dati sull’andamento della psoriasi in gravidanza, questi ci dicono che 2/3 delle pazienti migliorano la loro condizione o comunque non presentano peggioramenti, per cui la paura e i pregiudizi non possono essere un mero fattore per decidere di evitare la gravidanza o ritardarla, tantomeno di sospendere deliberatamente i farmaci.

Questo vale ovviamente tanto per la psoriasi quanto per altre patologie croniche.
Diversi studi, ad esempio, hanno valutato la sicurezza degli antidepressivi in gravidanza, incluso lo sviluppo neurologico e cognitivo del bambino, eppure c’è una conoscenza davvero scarsa sull’efficacia di questi farmaci durante il periodo perinatale, e questo ha creato naturalmente reticenze nelle donne, che abbandonano frettolosamente il farmaco senza nemmeno fare il cosiddetto tapering, per diminuire la dose.

In linea generale, molti aspetti legati alla gravidanza, come l'impatto della stessa su terapie croniche preesistenti, l'appropriatezza dell'uso dei farmaci e l’aderenza alle linee guida cliniche sono ancora poco indagati, ma negli ultimi anni sono state create diverse iniziative internazionali multi-database per garantire la sorveglianza dell'uso di farmaci in gravidanza, con lo scopo primario di indagarne il profilo di sicurezza.

La rete Mom-Net, promossa da AIFA, ad esempio getta le basi per poter effettuare collaborazioni future sul tema della gravidanza, non solo riguardo efficacia e sicurezza dei farmaci ma anche valutando l’impatto della gravidanza sulle terapie croniche preesistenti, aderenze alle linee guida e molto altro. Questo può essere senz’altro un ulteriore punto da cui partire per modificare pratiche cliniche inappropriate e migliorare l’assistenza sanitaria, attraverso interventi informativi.

Tiziano Costantini

Dipartimento di Epidemiologia SSR Lazio

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