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Martedì 28 GIUGNO 2022
Non ci sono “scaricatori” in sanità



Gentile Direttore,
spesso questa rubrica è diventata terreno di dibattito, anche di scontro tra modi di vedere, interpretare, prevedere le dinamiche della sanità Italiana. A fronte di tale legittimo ed importante brainstorming a volte però si perdono di vista elementi che dovrebbero costituire il necessario ed irrinunciabile background culturale particolare di tutti noi (gruppo che – con il favore anche di chi scrive – si prepara a diventare formalmente ancora più ampio) che a vario titolo ci occupiamo di sanità.

Senza alcuna velleità di spiegare a cosa ci si debba riferire quando parliamo di futuro in sanità, vorrei fornire una lettura più laica, e forse più “aspra” dell’art. 32 della nostra Costituzione: potrebbe forse tornare utile in ordine a comprendere che l’interesse dello Stato alla tutela della salute «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» deve essere letto – anche dopo le numerose lezioni del covid-19 – in una chiave di obbligatoria priorità; ovverosia è prioritario l’interesse di una collettività che, in buona salute e soprattutto operosa, consente ad uno Stato fondato su basi Universalitiche non soltanto di funzionare correttamente, ma di consentire un livello economico adeguato a realizzare quelle tutele che giungono anche al singolo, anche sotto il profilo di diritti quali quello dell’istruzione in primis, come anche quello sanitario.

Pertanto, sempre concordemente ai principi costituzionali (c.2 art. 4), all’interno di detta collettività ognuno concorre, secondo il proprio ruolo, a costruire il «progresso materiale o spirituale della società».

Una distinzione che evita una indebita commistione tra ciò che costituisce il minimo irrinunciabile – quei famosi “livelli essenziali” – da ciò che pure può costituire un importantissimo valore aggiunto: quella componente umana – ossia deontologica per la precisione – che dovrebbe fare la differenza tra spersonalizzati sistemi aziendali quasi di stampo industriale e nobili sistemi civili.

Anche in questa cooperazione “umana” ognuno concorre secondo il proprio ruolo.

Ma immancabilmente c’è sempre qualcuno cui queste considerazioni non devono proprio piacere; c’è sempre qualcuno che tenta di avocare a sé ed a sé soltanto prerogative di unicità (nello specifico essere «in grado di garantire salute all’umanità») che tenderebbero a rendere sia la tecnica che l’umanizzazione delle cure una questione “di casta”, per cui poi pretendere una negoziazione esclusiva, d’elite ed ovviamente separata da chi svolga mansioni comunque ritenute “inferiori”, per cui anche le invocate guarentigie di «condizioni dignitose di lavoro, rispetto di quanto pattuito, giusta retribuzione» assumono un tenore assai sardonico, visto che il differenziale resta quello di un «percorso di studio decennale».

Per l’ennesima volta – quindi – senza cavillare su riferimenti storiografici e normativi, corre l’obbligo di ricordare, a chi solo pochi anni fa nel merito del comma 566 della l. n. 190/2014 parlava di “Assalto alla diligenza”, che:

- Lo Stato Italiano riconosce attualmente 30 professioni sanitarie per l’esercizio delle quali è obbligatoria l'iscrizione ai rispettivi Ordini professionali. Si tratta di circa 1.200.000 professionisti;

- Per quanto riguardi i percorsi di studio – tutti a carattere Universitario – le caratteristiche di ogni professionista sono determinate dai titoli di base e post-base che possono condurre a percorsi di studio ultra-decennali per tutte le su citate professionalità;

- Per quanto riguardi i livelli di responsabilità, sia civile che penale, anch’essi sono uniformemente condivisi da tutte le su citate professionalità.

Tali considerazioni ovviamente esulano da eventuali concomitanze di contingenza socio-politica, che certamente possono complicare anche enormemente le dinamiche in sanità, soprattutto in termini amministrativi, ma che altrettanto sicuramente non devono altresì essere prese indebitamente in prestito per appesantire le proprie deduzioni di parte.

Non ci sono “scaricatori” in sanità, e nemmeno gentleman & ladies da servire e riverire: anche in sanità ognuno concorre secondo il proprio ruolo: ciò che forse andrebbe riconfigurato sarebbe proprio quel computo di «condizioni dignitose di lavoro, rispetto di quanto pattuito, giusta retribuzione», che dovrebbe stabilire un al momento assente gradiente remunerativo e la decisa linearizzazione degli stipendi; questione che costituisce il miglior tasto dolente di un sistema che non può guadare esclusivamente a «quelli che aprono le pance, i cervelli, i cuori, che fanno respirare o più semplicemente regalano qualche mese in più di vita dignitosa», ma che deve ricompensare tutti quelli che – sempre secondo il proprio ruolo – rendono possibili quelle stesse attività.

In reiterata sintesi, preoccuparsi di un presunto declassamento della intellettualità (il sapere ha lo stesso valore delle banconote: è pagabile a vista al portatore … quindi studiare paga) è un processo privo di significato; così come diventa contraddittorio ed incoerente invocare giuramenti etici e civici (anch’essi ormai condivisi) verso lo stato, i cittadini ed «i più deboli», soltanto per poi operare talune discriminazioni ed intolleranze per il proprio esclusivo tornaconto.

Se quindi vogliamo intenderci su cosa riferirci quando parliamo di futuro della sanità di una società che voglia tornare ad essere davvero più civile, ove siamo tutti d’accordo che non ci debbano essere qualsivoglia soggetti «più asserviti, meno pretenziosi, disposti a lavorare sempre giorno e notte, gentili, disponibili, competenti e gratis», dovremmo arrenderci ad una sola evidenza: tutti i professionisti in essa impegnati devono godere di riconoscimenti adeguati e non esorbitanti rispetto alle proprie competenze, in uno scenario nel quale però le opportunità (congruità degli stipendi, esercizio libero professionale e opportunità di carriera) debbano essere – giusto caso – proletarizzate, ossia uguali per tutti.

Se alle brutture del presente dobbiamo ripresentare anche quelle del passato (ad es. nepotismi e baronaggi), allora sì ci sarà davvero poco di tutto, ed assai ironicamente … solo per chi se lo potrà permettere.

Dott. Calogero Spada
TSRM – Dottore Magistrale

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