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Venerdì 08 LUGLIO 2022
Forum Aborto. Dopo la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti: cosa cambia per la medicina e la società. Corrado Melega: “Le ‘rughe’ della 194”

Credo che dopo più di 40 anni la nostra legge sull'aborto, che pure è stata ed è ancora una legge di grande valore civile, mostri qualche ruga e sia giusto ripensarla in alcune sue parti, con raziocinio, cercando quel consenso sociale che permise la vittoria nel referendum

Nel 1973 la sentenza Roe vs Wade stabilì che Jane Roe, pseudonimo di Norma Mc Corvey, poteva abortire volontariamente sulla base del “diritto alla privacy”, descritto come libertà di fare “scelte intime e personali” che sono “centrali per la dignità e l’autonomia”. Sentenza fondamentale perchè per la prima volta si è affermò la possibilità di interrompere la gravidanza in virtù del diritto all’autodeterminazione.

L’aspetto innovativo sta nell’aver giustificato la liceità dell’aborto a livello costituzionale.

Infatti nella sentenza si legge che nella Costituzione americana:

- La parola persona non include il -non nato-

- Il 14° emendamento (circa il diritto alla privacy) riguarda tutte le decisioni che possono essere considerate “fondamentali”, quindi è implicito che tale diritto si estende anche alle “attività relative al matrimonio”, compresa la “decisione di interrompere una gravidanza”.

La Roe vs Wade ha certamente cambiato la forma di vita familiare, ha modificato la pratica medica, è intervenuta in maniera significativa sulla sessualità e sugli stili di vita, aprendo la discussione su quello che, almeno negli Stati Uniti, fino a quel momento era un tabù: l’aborto.

La contraccezione ormonale alla portata di tutte e la procreazione medicalmente assistita completarono in quegli anni ‘70 la rivoluzione sessuale, che dava alla donna la possibilità di separare le scelte sessuali da quelle riproduttive. La Roe vs Wade fu certamente una grande conquista; bisogna però sottolinearne la intrinseca debolezza, messa in luce dalla sentenza della Corte Suprema del 24 giugno 2022, che ha la ribaltata, annullandola e lasciando ai singoli stati la libertà di legiferare in materia di aborto volontario.

Affermando che i Padri Fondatori non avevano mai parlato di aborto (la cosiddetta posizione originalista), è stato affossato anche il significato del 14° emendamento.

Purtroppo di originale c’è solo la poca preveggenza dei legislatori di allora, che non fecero seguire alla sentenza una legge federale. Ci si è fidati della sacralità della Corte Suprema e del suo preteso essere super partes, senza pensare che nell’esasperazione della lotta politica, scatenata da Trump, anche i giudici avrebbero deliberato seguendo le singole ideologie piuttosto che il vantaggio dei cittadini.

Vero che la sentenza del 24 giugno non ha cambiato la prima premessa (il non nato non è persona) quindi, dato che non si tratta di omicidio, la sentenza potrà a sua volta essere ribaltata; intanto però tutto è nelle mani dei vari stati o del “popolo”, come hanno specificato i giudici, e gli effetti si cominciano già a vedere: 26 stati hanno già promulgato o annunciato leggi restrittive e circolano anche notizie di richieste di informazioni ai social per individuare le gravidanze onde poi seguirne l’esito e punire possibili o presunte interruzioni. Alcuni stati hanno annunciato che perseguiranno anche le donne che per abortire si recheranno in quelli con legislazioni meno restrittive. Si tratta di una vera catastrofe sanitaria e sociale, visto che molte donne delle classi sociali più svantaggiate saranno costrette a portare avanti gravidanze indesiderate o ad affidarsi ad operatori con pochi scrupoli e scarsa o nulla professionalità.

Prima di valutare quali ripercussioni possa avere nel nostro paese la sentenza del 24 giugno, vorrei ricordare il percorso di modernizzazione ed democratizzazione degli anni ’70, che riguardò in particolare la condizione femminile.

Fu abrogato l’articolo di legge del codice penale fascista che vietava la pubblicità e la vendita dei contraccettivi, furono istituiti i consultori familiari, furono promulgate leggi per le lavoratrici madri (congedo per la gravidanza, congedi parentali ecc), nacque il nuovo diritto di famiglia, un referendum confermò il diritto a divorziare.

Infine, una sentenza della Corte Costituzionale del 1975 stabilì che: “l’art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, e fra questi “non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito “, ma anche che “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”. Sulla base di questa sentenza, a differenza degli USA, l’Italia si diede una legge, la n.194 del 22 maggio 1978.

La sentenza e la successiva legge tennero sicuramente conto delle campagne in favore della possibilità di interrompere volontariamente la gravidanza, promosse dalle riviste L’Espresso e Noi Donne, dal Partito radicale, da associazioni come AIED, CISA e dai movimenti femminili, organizzati o meno.

La legge fu poi confermata con un referendum, dal quale emerse una schiacciante maggioranza favorevole alla legge, che mise a tacere l’accanimento catastrofista degli avversari guidati dalla Chiesa Cattolica.

La spinta di quel periodo si è andata via via affievolendo: abbiamo attraversato il cosiddetto riflusso nel privato, le generazioni più giovani hanno stentato a prendere il testimone pensando che fossero ormai intoccabili i diritti acquisiti, peraltro poco sostenuti o dimenticati da una politica disattenta se non colpevole. Le numerose crisi politiche e le gravi crisi economiche hanno relegato in secondo piano i diritti, perché, come spesso succede, parlare di diritti civili è generalmente bollato come un lusso di pochi intellettuali.

Su queste premesse la sentenza della Corte Suprema ci riguarda: perché rischia di alimentare posizioni che da sempre vogliono limitare il diritto all’aborto sancito dalla 194 con interpretazioni restrittive o addirittura teorizzandone l’abrogazione. Infatti, dopo la sua pubblicazione gli attacchi più o meno violenti si sono moltiplicati: nessun accenno alle decine di migliaia di aborti clandestini, di cui parla la relazione ministeriale, che inevitabilmente si moltiplicheranno, con le conseguenze sulla salute e sulla solitudine delle donne ben note a chi operava prima del 1978.

A questo proposito è interessante la pubblicazione del documento – European Abortion Policies Atlas- pubblicato nel settembre 2021 a cura di EPF-IPPF, che ha analizzato le legislazioni in tema di aborto in 53 paesi europei. I parametri considerati sono la copertura economica da parte dei vari sistemi sanitari nazionali, la facilità all’accesso, la possibilità di informazione completa e facilmente fruibile e la possibilità di accedere alle informazioni on line.

I risultati che qui riporto in breve sono sconcertanti:

- 31 Paesi non includono l’aborto nel finanziamento previsto dal sistema sanitario nazionale, con ovvie ripercussioni sulle classi più povere;

- 19 Paesi costringono le donne che richiedono di abortire a percorsi complicati e inutili;

- 16 Paesi regolano l’aborto nel codice penale o criminale;

- 26 Paesi permettono agli operatori sanitari di rifiutare le cure alle donne che abortiscono sulla base delle loro personali opinioni;

- 18 Paesi non forniscono informazioni corrette e dettagliate alle donne che chiedono di abortire.

In questo panorama, il nostro paese si pone in posizione intermedia, soddisfacendo le condizioni per il 67%.

Il 9 giugno del 2022 il Parlamento Europeo, guardando con allarme al possibile ribaltamento della Roe vs Wade per la possibilità di “incoraggiare il movimento anti abortista nell’Unione”, ha sottolineato che oltre a paesi come Malta, Polonia, Ungheria, Slovacchia e Croazia dove i diritti riproduttivi sono praticamente annullati, “anche in Italia l’accesso all’aborto sta subendo erosioni”.

La stessa relazione ministeriale quantifica il ricorso all’aborto clandestino in misura di 10.000-13.000 casi/anno, numero rimasto invariato tra il 2012 e il 2016. Per questo la valutazione pare pressapochistica, considerando la possibilità di accedere a farmaci che permettono l’aborto medico.

Nel giugno 2022, Chiara Lalli e Sonia Montegiove hanno pubblicato un libro (Mai dati-Dati aperti sulla 194, Fandango 2022), che chiarisce la fallacia della relazione ministeriale disaggregando i numeri che vengono e in sintesi dimostrando come il dettame della legge 194 sia disatteso in molte parti del Paese.

Credo che dopo più di 40 anni questa legge, che pure è stata ed è ancora una legge di grande valore civile, mostri qualche ruga e sia giusto ripensarla in alcune sue parti, con raziocinio, cercando quel consenso sociale che permise la vittoria nel referendum.

Vero che i tempi sono non particolarmente propizi, vista l’atmosfera di restaurazione, intanto però un lavoro importante si potrebbe fare: cercare di rendere completa ed omogenea nel Paese l’applicazione della legge, promuovendo un corretta informazione sull’accesso ai contraccettivi, facilitando l’accesso all’intervento, favorendo il ricorso alla metodologia medica, ripristinando per i consultori il loro primitivo scopo fondante: luogo di informazione, di cultura, di dialogo.  

Corrado Melega
Ginecologo, già direttore del Dipartimento materno infantile ASL Bologna, membro della Consulta di Bioetica onlus

Leggi gli interventi precedenti: Maurizio Mori, Anna Pompili

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