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Lunedì 11 LUGLIO 2022
A Roma fino a tre anni di vita in meno se nasci in certi quartieri

Lo rileva uno studio condotto dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio che descrive la speranza di vita alla nascita e i differenziali socioeconomici di questo indicatore, evidenziando che ci sono fino a tre anni di differenza di speranza di vita alla nascita per gli uomini e due anni per le donne a seconda del Municipio di Roma in cui si risiede

È ormai evidente una forte relazione causale tra posizione socioeconomica e stato di salute. In linea con questa aspettativa, i primi registri della mortalità indicavano infatti l'esistenza di una associazione inversa tra status socioeconomico e mortalità: più elevato era lo status sociale, maggiore l’aspettativa di vita. Negli ultimi decenni, tuttavia, si sono verificati molti cambiamenti importanti che avrebbero dovuto ridurre drasticamente, se non eliminare, i differenziali socioeconomici nella salute. In primo luogo, le malattie infettive – che colpivano soprattutto i bambini - sono diminuite come fattore principale di mortalità, e poi la maggior parte delle famiglie ha potuto disporre di condizioni igieniche, sanitarie, alimentari nettamente migliori rispetto al passato.

La speranza di vita alla nascita, infatti, rispetto al secolo scorso è aumentata di circa 40 anni, un dato impressionante che ha anche determinato una forte transizione demografica e una transizione epidemiologica, passando attualmente a una prevalenza di mortalità per cause croniche nella popolazione anziana (se escludiamo la parentesi Covid che ha sparigliato un po’ tutto).

Tuttavia, nonostante questi sviluppi, le disparità socioeconomiche nella morbilità e nella mortalità persistono, e questo legame è davvero allarmante. Più ci si trova in alto in questa scala, insomma, migliore è la condizione di salute; sebbene sia fondamentale rivolgere l’attenzione non solo alla povertà ma più ampiamente alle disuguaglianze, a quello che Michael Marmot definisce come il gradiente sociale di salute.

Lo status socioeconomico inoltre è strettamente collegato al luogo in cui si vive, e come in molti paesi d’Europa, anche in Italia riscontriamo differenze geografiche in tal senso, osservate sia a livello regionale che locale, soprattutto nelle grandi città.
Il Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio (DEP Lazio) ha infatti condotto uno studio, pubblicato su Epidemiologia & Prevenzione, che descrive la speranza di vita alla nascita e i differenziali socioeconomici di questo indicatore, evidenziando che ci sono fino a tre anni di differenza di speranza di vita alla nascita per gli uomini e due anni per le donne a seconda del Municipio di Roma in cui si risiede. Se andassimo a vedere le analisi per quartiere e se usassimo le 155 zone urbanistiche della capitale questi differenziali aumenterebbero ancora.

Di tutto questo si è dibattuto in un nuovo seminario promosso dalla Biblioteca Alessandro Liberati e dal DEP Lazio, svoltosi il 15 giugno presso lo Spazio Scena a Roma.

Come spiegare quindi questi differenziali?
Chiaramente dare una risposta univoca a questa domanda è pressoché impossibile, e vista la complessità del fenomeno, i differenziali sono attribuibili a tantissimi fattori.
Quello che è emerso dal dibattito tuttavia è che siamo coscienti del fatto che in tema di salute, la distribuzione delle patologie croniche nella popolazione è ciò che determina la sua vulnerabilità. È il principale determinante, il modificatore d’effetto delle esposizioni ambientali, delle temperature, delle cure, dell’inquinamento atmosferico e altro ancora.

In relazione al tema dei differenziali in base alla distribuzione territoriale, Carla Ancona – epidemiologa ambientale del DEP Lazio - sottolinea correttamente come “non c’è da stupirsi del fatto che a Roma l’infarto acuto del miocardio, che molto ha a che fare con l’inquinamento atmosferico, sia ben più alto nel Municipio VI, mentre nel II, dove c’è più verde urbano l’accesso al ricovero è assai più basso. L’importante è che questa forbice non aumenti quando si passa dall’incidenza alla mortalità, perché è quest’ultima a rappresentare un buon indicatore della qualità cure erogate”.

Ma pur non stupendoci, quel dato è ugualmente preoccupante.
Diremmo un’ovvietà affermando che gli spazi verdi favoriscono le attività fisiche e sociali, entrambe associate a una miriade di benefici, ma è chiaro che non tutti gli abitanti delle città debbano, o possano trasferirsi fuori da queste. Lo stesso Lorenzo Paglione - Medico di Sanità Pubblica della UOC Servizio di Igiene e Sanità Pubblica della ASL Roma 1 -, sempre durante il BAL Talk, evidenzia come in una città come Roma “gli abitanti spesso non possono scegliere dove vivere”, per diversi fattori.

Quello che si dovrebbe attuare è quindi cercare di porre chi vive in città, e soprattutto in determinati municipi, nelle condizioni migliori e più sicure per farlo. Il progetto Climactions, di cui abbiamo parlato recentemente proprio su Quotidiano Sanità, è un passo importante in questa direzione, soprattutto quando ragioniamo sulla maggiore vivibilità nel contesto urbano, ma quello che forse non viene sottolineato abbastanza è l’importanza della partecipazione attiva dei cittadini, perché al di là dell’ovvio auspicio di un sistema sempre più efficiente ed equo, non va sottovalutato, in tema ambiente e salute, l’environmental worries, che peggiora sensibilmente la qualità della vita, fino a portare anche allo sviluppo di patologie.

È fondamentale una piena consapevolezza dei cittadini, ma è al contempo necessario far progredire la comprensione teorica della relazione tra stratificazione sociale e stato di salute, affinché possa illuminarci ulteriormente sulle cause e sulle conseguenze delle persistenti differenze socioeconomiche nella salute. O ancora illustrare come le condizioni strutturali più ampie impattino sui gruppi con un basso livello di istruzione e ne modellino le esperienze di vita. Altrettanto importante, tali informazioni possono avere un enorme significato pratico, in quanto possono informare le iniziative politiche volte a raggiungere una maggiore uguaglianza nella società, in ambito sanitario e non solo.

Il sistema sanitario dal canto suo continua a proporre la logica dell’offerta, ma questa non è la risposta all’esigenza di cambiamento. Andrebbe modificata la logica del rapporto del sistema con i cittadini e, per citare Walter Tocci, quello che occorre in tal senso è “una sanità che definisca le sue priorità in base ai bisogni, prima che in base alla domanda di prestazioni, che misuri la sua qualità e la sua efficacia sui risultati di salute e non sulla sua capacità produttiva”.
Questa possibilità, sostiene il dottor Carlo Saitto, “oggi c’è, è di fronte a noi, tuttavia questo approccio a livello di gestione sanitaria viene spesso scartato”.

In quest’ottica allora, tornando al tema dei differenziali in base alla distribuzione territoriale, avvicinare centro e periferia è importante, ma se parliamo di decentramento dobbiamo tenere presente anche altri fattori. Come sottolinea Barbara Pizzo - Docente di Urbanistica alla Sapienza, Università di Roma, e Presidente di Roma Ricerca Roma -, infatti “non possiamo sottovalutare il fatto che anche la distribuzione del personale medico-sanitario e delle posizioni organizzative tendono a seguire la stessa distribuzione residenziale della popolazione”; per cui se non si considera questo aspetto è molto difficile possa avvenire un sostanziale cambiamento.

La parità di accesso al sistema sanitario resta un obiettivo legittimo e auspicabile, finanche fondamentale, ma è probabile che svolga solo un ruolo limitato nell'eliminazione delle disuguaglianze nello stato di salute, e queste non saranno eliminate se permangono quelle strutturali che continuano ad allargare la forbice dei differenziali socioeconomici.

Ci si dovrebbe concentrare su tanti aspetti, dall'educazione sanitaria alle strategie di promozione della salute, alla fornitura e al coordinamento dei servizi sanitari e allo sviluppo delle professioni sanitarie, associando ad essi una giusta e corretta informazione, con il coinvolgimento attivo dei cittadini.
Quel che è certo, è che dovremmo agire e farlo ora, perché ridurre questi differenziali è una missione difficile ma certo non impossibile.
“L’ingiustizia del sistema sanitario – per citare di nuovo Tocci - è una debolezza strutturale nelle sue fondamenta, un errore progettuale che rende l’edificio più instabile, insieme più costoso e meno sicuro”. E per correggere questa debolezza non bastano iniezioni di cemento e denaro ma serve un nuovo progetto.

Tiziano Costantini
Dipartimento di Epidemiologia SSR Lazio

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