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Martedì 19 LUGLIO 2022
Obbligo vaccinale per i sanitari guariti: cosa sta succedendo?



Gentile Direttore,
come avrà visto, ha suscitato molto clamore la decisione degli Ordini professionali di considerare i sanitari guariti dal Covid19 esentati dalla vaccinazione per sei mesi, anziché tre mesi. Questo ha gettato confusione tra gli operatori del settore, generando non poche incertezze operative.

Il tema è davvero scottante. Il problema come è noto nasce dalla corretta interpretazione del d.l. 24 marzo 2022, n. 24, che ha previsto, per i sanitari e gli operatori di interesse sanitario sospesi per violazione dell’obbligo vaccinale e che abbiano contratto il virus, “la cessazione temporanea della sospensione, sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione è differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute”.

Certamente, il rinvio ad una circolare da parte della legge non aiuta a garantire la certezza del diritto. Tuttavia, all’alba dell’entrata in vigore del decreto, i principali interpreti si sono unanimemente riferiti alla circolare del Ministero della Salute del 3 marzo 2021 (0008284-03/03/2021-DGPRE-DGPRE-P), che fissava in tre mesi (90 giorni dal primo tampone positivo) la distanza minima tra l’avvenuta infezione e la (prima) vaccinazione.

L’indicazione dei 90 giorni, infatti, non sembrava (e, a parer mio, non sembra nemmeno ora) in contraddizione con la diversa raccomandazione contenuta nella successiva circolare ministeriale del 21 luglio 2021, secondo cui, in caso di infezione da Covid19, è possibile completare il ciclo vaccinale primario con un’unica dose da somministrare preferibilmente entro sei mesi e, comunque, non oltre dodici mesi.

In questo caso, infatti, il Ministero della Salute stava trattando un diverso problema, e cioè quello della possibilità di completare l’intero ciclo vaccinale primario con una sola dose, anziché due.

E d’altronde, la ratio stessa del “differimento” è quella di tutelare la salute del vaccinando, e non quella di assicurargli l’assolvimento dell’obbligo con diverse modalità.

Questa interpretazione, tra l’altro, è stata esplicitamente confermata dal Ministero della Salute.

Con nota del 29 marzo 2022, infatti, il Capo Gabinetto del Dicastero, riprendendo ampi stralci dell’elaborato predisposto ad hoc dall’Ufficio Legislativo, ha chiarito che l’obbligo vaccinale è differito:
- per 90 giorni a partire dalla data del test diagnostico positivo in caso di infezione da SARS-CoV-2 in soggetti mai vaccinati e in caso di soggetti che hanno contratto l’infezione da SARS-Cov-2 entro 14 giorni dalla somministrazione di una dose di vaccino bidose;

- per 120 giorni dalla data del test diagnostico positivo in caso di infezione successiva al completamento di un ciclo primario. 

Peraltro, seppur implicitamente, la stessa interpretazione è stata ulteriormente confermata dal Ministero con la recentissima circolare dell’11 luglio 2022, con cui è stato ribadito – con riferimento alla quarta dose – che la stessa può essere somministrata purché sia trascorso un intervallo minimo di almeno 120 giorni dall’ultima infezione successiva al richiamo (data del test diagnostico positivo).

Molti si sono chiesti, allora, perché una tale presa di posizione da parte degli Ordini professionali.

Il problema, in realtà, era già nell’aria da tempo. Però, il movente è stato offerto dalla Magistratura amministrativa. Il Tar Lombardia (sedi di Milano e di Brescia), infatti, con due ordinanze “gemelle”, ha ritenuto applicabile il termine semestrale di cui alla circolare di luglio 2021, anziché quello trimestrale. Gli Ordini, pertanto, temendo cause risarcitorie, hanno subito preso posizione, uniformandosi all’orientamento espresso da tali pronunce cautelari.

Adesso il futuro è quantomai incerto. Lo stesso Ministero della Salute, infatti, si è rivolto al Consiglio Superiore della Sanità al fine di acquisire un parere. Al momento, siamo quindi in attesa di tale responso sanitario, che potrebbe avere un impatto significativo sulle strutture.

Sinora, infatti, le consultazioni istituzionali su tale argomento si sono svolte solo tra Ministero ed Ordini professionali, senza mai coinvolgere le associazioni di categoria della sanità. L’ARIS (ma anche l’AIOP), nei mesi scorsi ha interpellato il Ministero, al fine di avere risposte, senza tuttavia ricevere alcun riscontro.

Il problema è che, se all’esito di tale percorso il Consiglio Superiore della Sanità darà ragione ai Tar Lombardia, le strutture sanitarie si troveranno sommerse di ricorsi da parte di lavoratori sospesi al termine del periodo trimestrale indicato dal Dicastero competente. E ciò solo per essersi rese adempienti rispetto ad un obbligo di legge, la cui finalità peraltro è quella di tutelare la salute e la sicurezza dei pazienti e degli stessi lavoratori coinvolti. Devo, quindi, sperare che, in tale ipotesi (per il momento, solo eventuale), lo Stato metta a disposizione adeguati ristori.

Giovanni Costantino
Avvocato, giuslavorista esperto del settore sanitario

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