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Giovedì 22 SETTEMBRE 2022
Verso le elezioni. Parlano i responsabili sanità dei partiti. Gemmato (FdI): “Più risorse per il personale e sul territorio puntare su medici di famiglia e farmacie”. Poi lo stop agli alleati: “No al regionalismo differenziato in sanità”

"Non dobbiamo fare ciò che è previsto dal Pnrr, con i soldi spesi quasi esclusivamente in strutture o apparecchiature. Noi vogliamo invece investire in professionisti della sanità, è questa la vera urgenza". Bocciate anche le Case della Comunità: "Resterebbe una sanità a macchia di leopardo, il nostro intento è invece quello di investire sulla rete già esistente e funzionante di studi dei medici di medicina generale e farmacie". Quanto al Covid si punta a sensibilizzare le persone più a rischio alla vaccinazione ma "no" a nuovi obblighi.

Rivedere il Pnrr puntando ad investire sul personale sanitario, rivedere la riforma della sanità territoriale puntando sulle farmacie e gli studi dei medici di medicina generale e bloccare ogni deriva regionalista in sanità. Questi i tre principali aspetti attorno ai quali gira il programma realizzato da Fratelli d'Italia in vista delle elezioni politiche del 25 settembre e illustrato in questa intervista dal responsabile sanità Marcello Gemmato.

Onorevole Gemmato, come riassumerebbe in poche righe le principali proposte di FdI per la sanità contenute nel vostro programma?Innanzitutto noi partiamo da un’analisi di contesto per non incappare nell’errore di continuare a vivere di ‘presentiamo’ rincorrendo la contingenza. Se infatti ci fa caso, dopo aver parlato per mesi di sanità legata alla pandemia, da tempo il tema sanità è scomparso dal dibattito pubblico. Dovremo quindi fare una fotografia dell’attuale situazione per capire cosa ha portato l’Italia a essere la prima nazione al mondo per mortalità e la terza per letalità legate al Covid.

Si è già fatto un’idea nel merito?
Credo la causa sia stata l’assenza di una forte sanità territoriale ben ramificata sull’intero territorio nazionale. E questo elemento è dovuto a tre fattori: 1) nei 10 anni antecedenti covid sono stati sottratti 37 miliardi alla sanità pubblica come certificato dalla Fondazione Gimbe; 2) il DM 70 del 2015 ha portato ad una razionalizzazione delle strutture ospedaliere con la chiusura di pronto soccorso, punti di primo soccorso e interi ospedali non compensate però da un adeguato potenziamento della sanità territoriale; 3) la riforma del Titolo V della Costituzione che ha portato un regionalismo sanitario con una sempre più marcata sperequazione tra la sanità del Nord e quella del Sud. Questo lo si è visto bene anche durante l’emergenza Covid con governatori che volevano da soli acquistare vaccini o decidere se chiudere piuttosto che aprire i loro territori. Aggiungo che ho elencato sono tre provvedimenti che provengono da governi di centrosinistra a guida PD. E lo dico per porre fine al luogo comune di un Centrodestra che vuole minare la sanità pubblica.

Mi perdoni ma, oltre ad una parte del PD, a spingere sul regionalismo differenziato sono i vostri alleati di governo in Lombardia e Veneto.
È vero, esistono alcune differenze interne alla coalizione. Noi su questo abbiamo una la visione di uno Stato più presente e riteniamo che prima di parlare di regionalismo differenziato si debba affrontare il tema del presidenzialismo. Riteniamo che in sanità c’è bisogno di una maggiore regia a carattere nazionale, di contro in altri ambiti il regionalismo può anche rappresentare un valore aggiunto.

Come sa, era in procinto di essere presentato in Consiglio dei Ministri un provvedimento ormai già pronto proprio sul regionalismo differenziato, pensa che verrà ripreso dal prossimo governo?
Non penso che Meloni accetti pappe pronte, anche sul regionalismo differenziato un eventuale provvedimento dovrà prima essere ‘contaminato’ dalla nostra visione sul tema.

Prima citava la sanità territoriale, cosa proponete su questo?
Non dobbiamo fare ciò che è previsto dal Pnrr, con i soldi spesi quasi esclusivamente in strutture o apparecchiature. Noi vogliamo invece investire in professionisti della sanità, è questa la vera urgenza. 

In un momento di crisi come quello attuale dove pensate di trovare le risorse necessarie per questi investimenti?
Ricordiamo che è stato già approvato un aumento del Fondo sanitario nazionale per i prossimi anni, queste risorse potrebbero quindi essere orientate su queste urgente. Inoltre si può agire su sprechi di risorse e incapacità gestionali. Pensiamo all’ospedale in Fiera, inizialmente era stato stimato un costo di 8 milioni, da qui si è passati ad una spesa di 25 milioni ed ora è chiuso. Molte opere drenano soldi pubblici e impediscono di investire risorse su altre reali necessità.

Torniamo sulla sanità del territorio.
Non possiamo partire dalle case di comunità. Ricordiamo che ne è prevista una ogni 40mila abitanti. Questo si tradurrebbe nel mantenimento di una sanità a macchia di leopardo con le piccole comunità che resteranno ancora una volta tagliate fuori da questo processo. Il nostro intento è invece quello di investire sulla rete già esistente e funzionante di studi dei medici di medicina generale e sulle farmacie. Due realtà che essendo già presenti in maniera capillare devono diventare la prima interfaccia della sanità sul territorio.

Possiamo quindi parlare di un’ulteriore implementazione della farmacia dei servizi?
La legge sulla farmacie dei servizi è stata implementata durante la fase pandemica. La presenza di questa straordinaria rete è servita allo Stato per segnare la presenza del Ssn sul territorio. E’ stato fondamentale il loro apporto in tema di vaccinazione e soprattutto di tracing. Gli ospedali senza farmacie non sarebbero riusciti a gestire il numero di persone che chiedevano tamponi per diagnosi o per certificare l’avvenuta guarigione. Bene quindi anche la conferma per la possibilità di far somministrare in farmacia i vaccini contro il Covid e l’influenza anche nel periodo ordinario post emergenziale.

La somministrazione delle quarte dosi sta procedendo a rilento, cosa proponete per dare un nuovo slancio alla campagna vaccinale?
Dovrebbero essere sensibilizzate le persone più a rischio per età e patologie, cioè quelle che rischiano maggiormente di contrarre malattia grave o peggio ancora la morte in caso di contagio. Per tutte queste persone sarebbe necessaria un’azione di forte azione di convincimento. Ma a nostro avviso il vaccino non deve essere obbligatorio perché questa misura può produrre effetti negativi. Piuttosto un ruolo importante può essere svolto da medici di famiglia e farmacisti, i professionisti più vicini alle persone e con i quali spesso si instaura un rapporto di fiducia.

Non sono mancate le consuete polemiche sul numero chiuso a medicina, pensate di riformare questo criterio di accesso?
Cominciamo a dire che negli anni la programmazione è stata sbagliata visto che oggi non disponiamo di molte figure sanitarie che servono per curare gli italiani. Come soluzione, oltre ad aumentare i posti disponibili per le facoltà sanitarie, riteniamo che il blocco all’ingresso non debba essere fatto al primo anno per mezzo di test che poco attengono alla preparazione medico-scientifica del candidato. Nel nostro programma lanciamo il modello francese con un libero accesso al primo anno e una selezione spostata al secondo anno in base al numero di esami superati. In questo modo si potrà far andare avanti quelle persone che hanno dimostrato sul campo di valere. 

Ma come si potrà garantire la qualità della formazione con numeri così alti di iscrizioni al primo anno?
Le lezioni del primo anno non sono in laboratorio o in corsia, si potrebbero quindi seguire in parte in presenza e in parte a distanza, come abbiamo già imparato purtroppo a fare durante il periodo dell’emergenza Covid. Parliamo di uno sforzo organizzativo rispetto al quale dovremmo attrezzarci.

Restando in tema di formazione, qual è il suo punto di vista sull'Ecm?
Non abbiamo un’idea particolare rispetto a questo tema. L’Ecm è sacrosanta nella misura in cui anche le nuove patologie necessitano di un aggiornamento puntuale e costante. La medicina è in costante evoluzione, il Covid ci ha impartito una dura lezione su questo, e dunque essere costantemente aggiornati è fondamentale.

Pensa sia possibile un intervento normativo per sanare la questione dei rimborsi per gli ex specializzandi?
Se ci sono stati diritti non riconosciuti, uno Stato etico ha il dovere di riconoscerli. Purtroppo vi sono complicazioni visto che al momento il bilancio dello Stato è quello che è. Non voglio impegnarmi in promesse che non sono sicuro possano essere mantenuti una volta al governo ma di certo confermo il nostro impegno politico per risolvere questa situazione venutasi a creare.

Giovanni Rodriquez

Vedi le altre nostre interviste in vista delle elezioni del 25 settembre: Zampa (PD), Ricciardi (Azione), Castellone (M5S)

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