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Martedì 27 SETTEMBRE 2022
Cosa cambierà per la sanità privata accreditata?

Ben venga un privato concorrenziale sul piano della qualità erogativa e del co-investimento, da spendere anche sulla ricerca pura ed applicata, ma non assolutamente progressivamente sostitutivo del sistema dell’assistenza assicurata dal pubblico. Alcuni campanelli di allarme si sentono tuttavia suonare nel senso dell’alternatività assoluta

L’accreditamento e i contratti con gli erogatori privati cominciano ad avere nuove regole, ancorché non propriamente dirette perché rispettivamente subordinate a leggi di dettaglio regionale, ad atti regolamentari ministeriali e provvedimenti emanati dalle Regioni.

Prescindendo dal poco che dicono in tema di immediata attuazione, sono dimostrative della volontà del legislatore nazionale di volere cambiare registro. L’attuale disordine dettato dalla mancata programmazione sanitaria nazionale - oramai assente dal 2006 e perché impropriamente sostituita dalle intese in sede di Conferenza Stato-Regioni a causa di quella disciplina che  sta rovinando il rapporto di servizio del Paese verso la Nazione più povera, cui dovere rimediare con l’istituzione di un Senato delle Regioni e degli enti locali – sta infatti generando da due decenni una confusione sistemica dell’assistenza sociosanitaria.

La riforma della sanità non può essere affrontata a rate
La tutela della salute nel suo complesso deve essere sottoposta ad una cura legislativa seria. Essa necessita di una grande riforma strutturale: (lo dico da 10 anni) una riforma quater, che non sia affatto il restauro effettuato in continuità con quella che è l’attuale disciplina ma un nuovo progetto. Lo pretendono: le tristi esperienze, vissute durante il Covid, con migliaia di morti al seguito; i disagi cronici assistenziali, sopportati da chi non riesce a guadagnarsi un posto letto ovvero un medico di famiglia con il telefono che squilla non invano; le impossibilità di godere dei Lea da parte di chi non vive le città, sulle quali è stato tarato il modello attuale di erogazione delle prestazioni, non supportato dalla rete di servizi pubblici di trasporto che colleghino le angosciate periferie con le realtà urbane ove c’è l’ammucchiata di strutture pubbliche e private accreditate. Dire il contrario equivale a mentire spudoratamente!

Si diceva delle nuove parziali regole introdotte dalla legge del 5 agosto 2022 n. 218, all’art. 15, in tema di accreditamento istituzionale e contratti con gli erogatori privati accreditati, rispettivamente, implementative degli art. 8 quater e quinquies del vigente d.lgs. 502/1992. Lo si diceva mettendolo in relazione con la mancata programmazione sociosanitaria nazionale e con quella regionale, relativamente alla debolezza causata dalla mancata rilevazione dei fabbisogni epidemiologici e dei rischi epidemici dei relativi territori. Il tutto messo in stretto riferimento con la mancata determinazione degli indici di deprivazione socio-economica e culturale che dovrebbero essere segnatamente condizionanti dei Piani della salute triennali, della ripartizione del fabbisogno standard nazionale e, a valle, di quelli regionali, della pianificazione degli interventi attuativi delle Regioni e, conseguentemente, delle azioni di tutela della salute delle aziende sanitarie.

Dunque, tra gli altri, due gli ambiti fondamentali per l’erogazione dei LEA sui quali è intervenuto il legislatore annuo (2021) della concorrenza, riservandosi con questo, implicitamente, di continuare il percorso cominciato per cristallizzare il regime del rapporto pubblico/privato nella sanità. Un tema che richiederebbe un diverso più organico impegno legislativo, destinato a ridisegnare il welfare assistenziale nella sua complessità, ove la concorrenza amministrata, generativa di un accreditamento equidistante, è stata insinuata nell’ordinamento per assicurare una qualità a rialzo delle prestazioni sociosanitarie da garantire diffusamente sul territorio.

L’accreditamento da (ri)disciplinare radicalmente  
Tra le anzidette due novità introdotte, la prima riguarda la sostituzione del comma 7 dell’art. 8 quater del vigente d.lgs. 502/92, recante i principi fondamentali della regolazione in tema di accreditamento istituzionale. Con esso si rinvia nello specifico ad una scansione recata da un decreto ministeriale (salute), da adottare previa intesa da perfezionare in Conferenza Stato-Regioni, entro il prossimo 25 novembre.

Quanto ai principi indicati, gli stessi francamente appaiono essere messi lì in modo del tutto scoordinato, atteso che le specificità avrebbero dovuto riguardare, e in modo ben distinto, le due diverse tipologie di richiedenti: nuove strutture autorizzate ovvero l’avvio di attività in strutture preesistenti, dando per scontato che per queste ultime si intendessero erogatori privati già accreditati per branche, ovviamente diverse da quelle pretese.

Ebbene per entrambi si fa riferimento confuso a prescrizioni che generano qualche perplessità, anche in relazione all’assenza della fissazione di un termine uniforme di validità dell’accreditamento, oggi discriminato su base regionale (da 3 a 5 anni).

Infatti, anziché avere riguardo alla capienza del programmato fabbisogno assistenziale e al relativo ricorso all’accreditamento di erogatori privati, si indica che quest’ultimo «può essere concesso in base alla qualità e ai volumi dei servizi da erogare», una condizione francamente difficile da decifrare sia per le strutture debuttanti che per le altre. Per queste ultime, invece, sembra valere la seconda prescrizione ovverosia basata sui «risultati dell’attività eventualmente già svolta», comprensibile solo parzialmente perché non se ne comprende l’utilità, dal momento che la richiesta è ove mai a valere sulle nuove attività, ove la qualità del pregresso inciderebbe ben poco o nulla.

Quanto al resto - ovverosia che nella pratica di istruttoria dovrebbe essere analizzato per entrambe le tipologie di richiedenti, certamente meglio di come si fa oggi, il peso dei requisiti strutturali e tecnologici innovativi ci si è soffermati all’aspettativa generica di riferirsi a «obiettivi di sicurezza delle prestazioni sanitarie e degli esiti dell’attività di controllo, vigilanza e monitoraggio per la valutazione delle attività erogate in termini di qualità, sicurezza ed appropriatezza» - si ben comprende il desiderato impegno legislativo a volere regolare la materia salvo però perdersi in una confusione letterale tale da rendere quasi incomprensibile il neo disposto.

Ciò è accaduto forse per le difficoltà di chiudere in fretta il provvedimento ai fini degli obblighi assunti con l’UE con tanta tensione dietro, soprattutto causata dalla revisione della disciplina regolatrice dell’esercizio dei taxi e dell’assegnazione delle concessioni balneari. Sarà compito, quindi, del nuovo Governo ritornare sul tema, meglio se in modo più coordinato.  

… la programmazione? Si preferisce l’attribuzione a mano libera
A monte di tutto questo, ovviamente, dovrebbe tuttavia esserci (che però non c’è ovunque: in alcune regioni appena accennato; in altre un illustre sconosciuto!) un impegnativo lavoro di rilevazione preventiva del fabbisogno epidemiologico e del rischio epidemico in base ai quali programmare l’offerta assistenziale occorrente per determinare il relativo soddisfacimento. Il tutto, messo in relazione con l’offerta di assistenza pubblica presente sul territorio per determinare, per differenza incrementata di una percentuale (di solito il 10%) occorrente a salvaguardia di intervenute medio tempore cessazioni di attività determinate da rinuncia ovvero revoca, quella complessiva da assicurare alla collettività mediante il rilascio di accreditamento istituzionale ad erogatori privati. Ciò per ogni branca e tipologia di somministrazione delle prestazioni essenziali, sia di tipo ambulatoriale che di ricovero, anche diurno. Un lavoro, questo, disatteso in quasi tutto il Paese con la conseguenza di un assurdo proliferarsi di accreditamenti non propriamente necessari a soddisfare la domanda e a legittimare una concorrenza spesso sleale generatasi anche a causa di cointeressenze, concretizzate attraverso partecipazioni societarie solitamente indirette, di personale pubblico, anche a tempo pieno.

Il rapporto con gli erogatori privati non può essere diversamente trattato dalla disciplina ordinaria
Più chiara invece la modifica introdotta a sistema con il comma 1 bis all’art. 8 quinquies del vigente d. lgs. 502/1992, dal titolo Accordi contrattuali. Qui il legislatore è stato più esplicito, rinviando alle Regioni il compito di disciplinare nel dettaglio sulla introduzione di procedura agonistica per la selezione dei soggetti accreditati da contrattualizzare a cura delle aziende sanitarie.

Ha imposto procedure trasparenti, eque e non discriminatorie rimesse alla determinazione di criteri oggettivi da parte delle Regioni, le quali sino ad ora hanno fatto orecchio da mercante. Ciò senza tenere conto che le aziende sanitarie tenute alla stipulazione dei contratti erogativi sono obbligate, prescindendo dalle novità introdotte, a riconoscere in capo all’erogatore privato selezionato per la contrattualizzazione indiscutibili qualità erogative delle prestazioni sociosanitarie da acquistare.

Insomma, con questo vengono introdotte sensate procedure selettive per la individuazione dei soggetti accreditati da contrattualizzare annualmente, caratterizzate da più qualificate procedure di tipo comparativo e di concorso pubblico, garanti della migliore scelta sia economica che di qualità erogativa. Prioritariamente, è la preventiva determinazione dei criteri oggettivi finalizzati a pervenire ad una selezione di soggetti accreditati che valorizzi la qualità delle prestazioni specifiche da rendere esigibili all’utenza.

Essi dovranno essere individuati (si suppone che il periodicamente coincida con annualmente, per essere in obiettiva linea con il soddisfacimento attualizzato del fabbisogno salutare) dalle singole Regioni con un apposito avviso pubblico, funzionale a rendere trasparenti le procedure, eque e non affatto discriminatorie. Obiettivi, questi, che dovranno essere espressione concreta della programmazione sanitaria regionale e frutto delle verifiche delle esigenze di razionalizzazione della rete della medicina di prossimità, tenuto conto anche dell’attività svolta negli anni precedenti dai titolari di contratto con le aziende sanitarie di riferimento.

Arriverà l’agonismo produttivo e la co-imprenditorialità pubblico/privata
Interpretando la ratio legislativa, ma soprattutto individuando la tipologia dello strumento normativo prescelto che regola, per l’appunto, il mercato e la concorrenza (l. 118/2022), non è difficile desumere un obiettivo di più vasta portata innovativa sino ad arrivare alla definizione del soggetto accreditato da contrattualizzare ad esito di una procedura di evidenza pubblica.

Ci dovrà essere anche altro: il ricorso ad una sperimentazione gestionale, fondata il più possibile in regime di associazione in partecipazione ovvero sulla costituzione di società di scopo a partecipazione pubblica; la frequenza di innovazioni gestionali magari affidate ad apposite fondazioni ad hoc; sino ad arrivare ad un più consolidato rapporto di partnership da concretizzare nelle diverse formule giuridico-economiche oramai di casa nell’ordinamento, tra le quali il project financing ovvero ricorrendo a configurazioni contrattuali del tipo build-operate.

Il tutto, incentivato dall’influenza dei più frequentati strumenti giuridico-economici generativi di partenariati pubblico/privato (PPP). Prioritariamente, di quelli che incidano favorevolmente sul sistema infrastrutturale, rappresentativo di un altrimenti insolito ingente capitale fisso e di servizio, strumentale a favorire il successo economico ed erogativo dell’anzidette iniziative miste, così come contribuirà in tal senso anche il PNRR, con il finanziamento delle nuove strutture di assistenza sanitaria territoriale (Cot, case e ospedali di comunità).

Al riguardo di questi ultimi, colmando a proposito la mancata previsione dell’obbligo di accreditamento istituzionale delle suddette strutture, dovrebbe individuarsi una forma, alternativa a quella esclusivamente pubblica, di innovazione gestionale pubblico-privata, attesa la difficoltà del conto economico dei diversi sistemi sanitari regionali di farsi carico di tutto il personale occorrente per renderle funzionanti ai livelli desiderati.

Su queste ed altre ipotesi è facile arguire che gli uffici di Strategia&Sviluppo delle associazioni imprenditoriali di categoria, operanti nell’ambito sociosanitario, staranno scaldando da tempo i motori per far sì che tali progetti diventino una futura realtà godibile, sia sul piano imprenditoriale che di utilità collettiva.

Un pericolo che si deve assolutamente evitare
Ben venga un privato concorrenziale sul piano della qualità erogativa e del co-investimento, da spendere anche sulla ricerca pura ed applicata, ma non assolutamente progressivamente sostitutivo del sistema dell’assistenza assicurata dal pubblico.

Alcuni campanelli di allarme si sentono tuttavia suonare nel senso dell’alternatività assoluta: l’assenza dolosa di un fabbisogno assistenziale diffuso, completamente disatteso sul tema delle costosissime diagnosi per immagini di ultima generazione, indispensabile per programmare l’offerta bilanciata; la manica larga (larghissima in alcune Regioni, sino a confinare con il reato) nel rilascio delle autorizzazioni e accreditamenti; la frequenza del mancato funzionamento della tecnologia diagnostica pubblica a tutto vantaggio di un privato divenuto segnatamente aggressivo sul mercato.

Il PNRR ha investito tanto sull’assistenza territoriale e sulle tecnologie. In attesa che tutto inizi ad essere goduto occorre una grande attenzione a che le burocrazie non facciano diventare quanto programmato l’alternativa al privato piuttosto che realizzare quella sana concorrenza amministrativa alla pari, ma che veda sempre protagonista l’offerta pubblica.

Ettore Jorio
Università della Calabria

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