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Martedì 04 OTTOBRE 2022
Orgogliosa e grata di aver lavorato in ISS a servizio delle persone con malattie rare

Abitare il mondo delle malattie rare è stata una lezione di vita innanzitutto, l’incontro con persone straordinarie che in oltre vent’anni hanno aiutato la comunità scientifica a creare conoscenza, invocando insieme identità e diritti, quando di queste patologie, spesso impronunciabili, nessuno si occupava e che oggi sono sui tavoli di lavoro scientifici e sanitari

Ho lavorato nel più grande ente pubblico di ricerca del nostro Paese, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ponendo il lavoro scientifico a servizio di persone con malattie rare, le più forti e le più fragili che io abbia mai conosciuto. E il sentimento più profondo oggi è l’orgoglio e la gratitudine per tutto questo. Perché poter andare a lavorare la mattina con l’identica passione dal primo all’ultimo giorno è un privilegio di cui io ho goduto. È stata la legge a ricordarmi quanto tempo fosse passato e che è giunto il momento della pensione, poiché mai, finora, c’è stato il tempo di fermarsi a guardare orologi o calendari.

Una sfida dopo l’altra, dalla realizzazione della Rete Nazionale delle Malattie Rare a quella del Registro Nazionale, attraverso tante battaglie non solo nazionali, ma anche europee ed internazionali: tappe successive di un cammino lungo il quale si è svolta la mia vita lavorativa, e non solo. Un percorso professionale entusiasmante fatto di studio, ricerca, attese, difficoltà, e soprattutto numerosi successi che sono state forti emozioni anche private, personali, da portare a casa, in vacanza, nella vita quotidiana. Perché c’è qualcosa di speciale in questo angolo della medicina e sono le persone con patologie rare, una risorsa unica: persone che reagiscono alle tante difficoltà anche con la volontà di raccontare e condividere le loro storie di vita, oltre la malattia. Insieme abbiamo imparato che il cambiamento verso il miglioramento dei sistemi di cura coinvolge il paziente e tutto il team di cura e passa anche attraverso l’ascolto, la partecipazione attiva dei pazienti e la trasformazione del tempo di relazione in tempo di cura.

Dunque ritorna il concetto che la medicina non si deve limitare ad individuare segni, sintomi ed effettuare diagnosi e terapie, ovviamente necessarie ma non sufficienti. Nel corso di questi anni ho dedicato molte energie alla ricerca scientifica, a numerose azioni nazionali di sanità pubblica (es. prevenzione, piani nazionali), alle strategie europee ed internazionali ma, ad un certo punto, ho ravvisato la necessità di aprire altre strade.

Ascoltando il vissuto delle persone, durante i numerosi incontri con i pazienti e le loro associazioni, ricchi di fiducia reciproca e di empatia, avvertivo la necessità di dare loro “voce”, anche non verbale. E così sono trascorsi circa quindici anni da quando ho lanciato l’idea del Concorso artistico, letterario, musicale “Il Volo di Pegaso”, unico in Italia, il cui nome è una metafora in onore proprio allo slancio vitale e alla capacità di svincolarsi dal peso degli affanni quotidiani di queste persone per vivere e gioire, superando ostacoli e isolamento. Una grande soddisfazione l’ho avuta nel 2012 quando il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, mi ha conferito la Medaglia di rappresentanza per il Concorso, giunto quest’anno alla XIV edizione.

I pazienti e i loro bisogni inevasi sono stati sempre al centro della mia attività e con la loro alleanza abbiamo fatto sentire la nostra voce anche in Europa e nel mondo. Ricerca, ascolto e narrazione sono andati di pari passo. Insieme abbiamo imparato come si riscrive un dolore, come si fa a non ripiegarsi su sé stessi, a continuare a lottare anche quando nessuno riesce a dare un nome alla tua malattia o a quella di tuo figlio e a resistere per esistere. Abitare il mondo delle malattie rare è stata una lezione di vita innanzitutto, l’incontro con persone straordinarie che in oltre vent’anni hanno aiutato la comunità scientifica a creare conoscenza, invocando insieme identità e diritti, quando di queste patologie, spesso impronunciabili, nessuno si occupava e che oggi sono sui tavoli di lavoro scientifici e sanitari.

Persone “speciali” con la forza di superare i limiti della propria malattia e della frammentazione delle 8mila diverse patologie rare, con l’entusiasmo di condividere buone pratiche, di andare oltre i confini dei propri Paesi e formare comunità internazionali, fino a giungere alla recente approvazione da parte di 193 Paesi della Risoluzione dell’ONU che riconosce i diritti delle persone con malattia rara e delle loro famiglie.

Non si va in pensione mai da tutto questo. Continuerò a impegnarmi per la ricerca e la sanità pubblica a beneficio dei cittadini, ampliando ulteriormente i miei studi post-universitari e attivando nuovi filoni di ricerca e di indagini innovative.

Un esempio è dato proprio dal progetto di “Scienza partecipata per il miglioramento della qualità di vita delle persone con malattie rare” che abbiamo lanciato da pochi mesi ed è ora in piena realizzazione. Un progetto che ha la forza dirompente della democrazia: la Scienza Partecipata (Citizen science) ha, infatti, il suo fondamento nella partecipazione attiva, secondo criteri solidi e condivisi, dei cittadini e delle cittadine al processo della conoscenza scientifica per la costruzione del bene comune. Un progetto che valorizza la creatività e l’ingegno di persone, anche prive di specifiche competenze tecnico-scientifiche, ma animate dal desiderio di migliorare la vita degli altri. Questa iniziativa ha anche l’ambizione di cambiare quella mentalità definita “dei silos” nella scienza, che spesso limita le ricercatrici e i ricercatori in un determinato settore, laddove, invece, la Scienza in generale e la Scienza partecipata ancor di più richiedono una continua interazione e scambio con altri settori.

Dunque l’impegno di studio e attività continua, in scenari più ampi, non solo nazionali ma soprattutto internazionali: dall’Africa all’America Latina. Certamente manterrò con grande piacere gli impegni scientifici in qualità di membro dell’Accademia delle Scienze di Cordova in Argentina.  Non potrei immaginare nulla di diverso per la mia vita.

Dal 1986 a oggi, da quando ho messo piede in Istituto, ne è passata di storia. Dopo quasi tre anni nell’Università di Yale negli Stati Uniti d’America, dedicati al genoma umano, a studiare come quel misterioso intreccio di catene molecolari determina la nostra vita, quegli studi sono diventati al mio ritorno in Istituto i fondamenti sui quali si è sviluppata la mia passione per la ricerca sulle malattie rare. Così da un piccolo Registro, insieme ai miei collaboratori, abbiamo sviluppato un Centro e siamo riusciti non solo a rappresentare l’Italia in questo settore in numerosi Comitati della Commissione Europea, nell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e nelle Task force internazionali, ma anche ad avere nel panorama internazionale ruoli di Presidenza e di coordinamento, fra gli altri mi preme ricordare il Network Internazionale per le Malattie Senza Diagnosi (UDNI).

Infine, mi piace esprimere una nota di grande soddisfazione per il percorso effettuato che ha dato i suoi frutti: grazie allo sforzo congiunto che ha coinvolto, oltre a me, i vertici dell’ISS, le colleghe e colleghi del Centro Nazionale Malattie Rare, molte altre istituzioni e rappresentanti politici di tutto l’arco costituzionale e soprattutto i pazienti rari, Il Centro è ora punto di riferimento nazionale ed internazionale e un pilastro centrale della legge 175/2021 o Testo Unico sulle malattie rare, già in vigore.

Niente di tutto questo sarebbe accaduto senza le persone che hanno percorso con me questa strada. Se potessi vorrei ricordarle una a una, perché con ognuna di loro, mattone per mattone, abbiamo costruito il Centro Nazionale, laddove venticinque anni fa non c’era né il concetto di “malattie rare”, né un reparto dedicato. Ma non è possibile citare attività o progetti singoli perché sono talmente tanti che farei torto a qualcuno. Il mio gruppo è un gruppo speciale, sono persone belle, appassionate, innamorate della ricerca in sanità pubblica, sono state la mia forza e il mio conforto nei momenti di maggiore difficoltà, quando si faticava ad avere riconoscimenti o quando il lavoro era troppo e noi troppo pochi. E adesso è l’occasione per dir loro grazie per essere arrivati insieme ad un traguardo così importante.

E sono sicura che sapranno affiancare chi avrà l’onore e l’onere di guidare questo Centro su questa strada faticosa ma anche meravigliosa, a servizio delle tante persone “rare”, che dalla medicina sono considerate fragili ma da cui ho ricevuto dosi di straordinaria forza. 

Domenica Taruscio
Già Direttrice del Centro Nazionale Malattie Rare dell’ISS 

 

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