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Lunedì 31 OTTOBRE 2022
Il nodo dei medici di medicina generale resta irrisolto
Gentile Direttore,
perché dopo tanti anni siamo ancora fermi nel dibattito sull’assistenza sanitaria pubblica con mille considerazioni sul tema e altrettante proposte di riforma del servizio, non arrivando a nulla se non alla progressiva avanzata di un sistema di cure di tipo privato?
Già l’entità del dibattito, la durata più che decennale e la molteplicità delle soluzioni proposte, la dicono lunga sulla complessità del problema ma ogni qualvolta la disputa diventa così accesa, quasi sempre c’è un pregiudizio di tipo ideologico.
Il primo ostacolo è la mancata ideazione sull’importanza della medicina del territorio nel servizio pubblico: nessun governo ha mai realizzato che tutta la gestione sanitaria ha il suo perno nelle cure primarie sul territorio: il medico di base governa la spesa farmaceutica, la medicina specialistica, i ricoveri ospedalieri, la prevenzione degli screening, gran parte della certificazione pubblica e privata.
Siamo comunque figli di quella condotta medica che tanta storia e ruolo ha avuto nel passato ma non si è mai evoluta in una dimensione di ruolo pubblico riconosciuto dallo Stato, siamo rimasti liberi professionisti, pagati a prestazione, dopo la condotta, siamo passati alle mutue e nel 1978 siamo diventati “medici di medicina generale” con un ruolo parastatale, mai subordinato e mai dipendente da una struttura. Per questo, gli assistiti, non sono mai diventati tali, ma sono rimasti clienti come nella condotta medica, clienti con il coltello dalla parte del manico, perché fino a quando lo stipendio del medico dipenderà da una quota capitaria per assistito, questi sarà sempre ricattabile per ogni richiesta indebita e impropria: “altrimenti cambio medico”.
Altro pregiudizio che pesa tanto, contrattualmente, è la percezione che si ha del medico di medicina generale: un medico di serie B che non ha credito verso i veri medici ospedalieri: da qui il ruolo svalutato da parte dei clienti che preferiscono la blasonata specialistica spesso privata e il sottile disprezzo della azienda sanitaria che non ha mai rivalutato questa plebe sanitaria in camice bianco, gestendola più come un male necessario che una risorsa importantissima. Più vicino al fastidio che strumento fondamentale.
Il terzo intoppo nella evoluzione della medicina del territorio verso una organizzazione moderna e al passo con un ruolo più istituzionale, è la assoluta convenienza per lo Stato mantenere la convenzione, perché da liberi professionisti con partita IVA, incassa un 43% di Irpef, un gettito fiscale che si ridurrebbe drasticamente con il rapporto di dipendenza. Tra l’altro, lo Stato dovrebbe farsi carico di tutte le spese di conduzione accessorie per la gestione degli ambulatori. Parliamo di denaro, il più autorevole interlocutore per ogni questione. E sempre di denaro si tratta, quando l’Enpam, non molla l’osso.
Da liberi professionisti teniamo su il carrozzone con i nostri contributi. Da dipendenti pubblici, il tutto passerebbe nelle mani dell’Inps e addio carrozzone. I maggiori centri di potere: lo Stato, l’Enpam e il maggior sindacato dei mmg, la Fimmg, non hanno interesse alcuno a cambiare il nostro ruolo. Per tutte queste ragioni siamo da quasi mezzo secolo perdenti e continueremo ad esserlo se a partire da noi stessi, la base medica, non cambieremo paradigma, abbandonando le inutili discussioni intramoenia sul sesso degli angeli e, per una buona volta, si cerchi di stabilire innanzitutto il nostro ruolo, partendo dal principio che il Ssn deve avere come perno non un mercenario ma un medico di medicina generale dirigente medico pubblico riconosciuto a tutti i livelli. Solo così avremo prestazioni ottimali, giuste, proporzionate ed efficienti. Si smetta di rincorrere gli algoritmi digitali da Matrix o la logica dei poliambulatori di stampo ospedaliero.
La medicina del territorio è ancora condotta medica, con strumenti moderni ma con una logica di vicinanza alla gente e capillarità sul territorio che è la sua specificità e non potrà mai essere altro e non certo la cattiva copia della medicina ospedaliera, è dalla nostra specificità di ruolo che dobbiamo ripartire. Che lo capiscano, al Ministero, una volta per tutte, ma dobbiamo capirlo noi medici, soprattutto.
Enzo Bozza
Medico di base a Vodo e Borca di Cadore
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