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Mercoledì 02 NOVEMBRE 2022
Distretti. Il nuovo Medico delle cure primarie che vorremmo

L’attività dei Mmg (che in futuro si auspica sia chiamato Medico di Cure Primarie) si deve svolgere con modalità di lavoro d’equipe multidisciplinare, dentro e non “a latere” del Distretto, rispondendo, sul piano organizzativo e funzionale, al Direttore di un Distretto “forte” che non sarà più “controparte” o “controllore” ma “casa per buone pratiche”. Un Distretto in cui il Mmg è parte integrante fondamentale di tutto il sistema territoriale,

Durante la mia lunga carriera di Direttore di Distretto, molte volte mi sono posto la questione su come poter integrare compiutamente i MMG (ed anche i PLS e gli specialisti ambulatoriali) nelle attività del distretto, superando quella impostazione cristallizzata (sostenuta da alcune parti Sindacali di categoria) di un rapporto fra “controparti”: da un lato i MMG, nel loro status di liberi professionisti parasubordinati, e dall’altro il soggetto “pagatore”, l’Azienda Sanitaria.

Questa questione oggi è divenuta ineludibile, alla luce del PNRR, missione 6 e del correlato DM 77/2022, in cui la modalità di lavoro in team multiprofessionale, con operatività interdisciplinare, rappresenta l’espressione della Primary Health Care (PHC), cuore e anima dell’attività del distretto sociosanitario. Questo in controtendenza rispetto ai modelli formativi ed operativi attuali fondati su logiche di lavoro individuale e per categoria

Per realizzare la PHC occorre partire dalla considerazione che il General Pratictioner, da noi per lungo tempo indicato come “medico di base” ed oggi variabilmente come Medico di famiglia, Medico di Medicina Generale o Medico delle Cure Primarie, nella PHC ricopre un ruolo determinante all’interno dell’equipe multiprofessionale, detenendo la potestà di diagnosi e terapia (anche ammettendo oggi qualche spazio ad altre professioni sanitarie limitatamente a specifiche e qualificate competenze).

Le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) dei MMG al loro esordio avevano acceso la speranza di una stagione in cui si andava oltre alla mera attuazione contrattuale, ma tali attese non si sono confermate, salvo l’allineamento di alcuni comportamenti prescrittivi, qualche buon risultato di appropriatezza e di contenimento degli sprechi, frutto di un confronto fra pari, senza incidere sostanzialmente sulla modalità di lavoro, rimasto legato al tradizionale cliché. Né hanno sortito migliori risultati le forme di aggregazione per gruppo, integrato o strutturato, con la collocazione in un unico edificio e/o l’utilizzo di piattaforme informatiche ad uso comune. Pertanto, occorre trovare altre vie.

Come si può dunque superare questa impasse? Le recenti discussioni su una possibile riforma della Medicina Generale si sono arenate sulla contrapposizione fra il passaggio al rapporto di dipendenza e il mantenimento di un contratto collettivo nazionale (la cosiddetta convenzione). Principale argomento di contrasto al “passaggio” verso la dipendenza diretta, è stato quello della salvaguardia del rapporto fiduciario fra medico e cittadino, fondato sulla libera scelta di quest’ultimo.

Il primato di tali principi è però oggi già tradito, nei fatti, dalla difficoltà per molti cittadini non solo di scegliere, ma perfino di trovare un medico disponibile ad acquisire la scelta, per due cause concorrenti. La prima è rappresentata dalla modifica di calcolo del cosiddetto “rapporto ottimale”: non più di 1 medico ogni mille abitanti, necessario per individuare i “posti” disponibili per l’inserimento dei nuovi medici (le cosiddette “zone carenti”), poi elevato a 1 su 1.300, che ha finito per limitare i margini di scelta dei cittadini. La seconda, più recente, è costituita dal fenomeno drastico e incalzante, del medical shortage, con insufficiente ricambio dei medici in pensionamento. Il risultato finale è che i cittadini di molte zone possono già ritenersi fortunati se riescono a iscriversi con un medico attivo nell’area di residenza, quando c’è.

Parlare oggi di tutela della libera scelta del cittadino, rappresenta quindi una sorta di alibi per non cambiare. Si ricorda che in alcuni Paese europei, ad esempio Spagna e Portogallo, il MMG è a dipendenza diretta ed è mantenuto il rapporto di fiducia tra medico e pazienti, con forte propensione al lavoro multidisciplinare 1)), sostenuto sia dai medici che dai Sindacati.

Certo alcune caratteristiche delle modalità attuali restano valide e nobili per molti MMG: il desiderio di esprimersi professionalmente senza vincoli di gerarchia e di centralità decisionale frenante lo spirito imprenditoriale (molti MMG hanno curato la loro organizzazione di studio e la sua qualità ambientale) e la continuità del rapporto di cura, creando vere opportunità di mantenersi vicini ai propri pazienti (valore della “Prossimità” certamente ben espresso in molte realtà) nel proprio territorio distrettuale. Bisogna che questi aspetti positivi non si disperdano nel cambiamento ed anzi si rafforzino.

Per trovare una soluzione originale, è necessario uscire dagli schemi usuali, pur all’interno di un Accordo Collettivo Nazionale per la Medicina Generale.

Aspetti focali per una convenzione che permetta una reale evoluzione della medicina generale.

Per esigenze di spazio, qui mi limiterò a trattare i primi due, rimandando gli altri ad una successiva nota.

Modalità di compenso.
Fin dall’esordio, la convenzione per la medicina generale, e poi anche quella per la Pediatria di Libera Scelta, ha adottato il compenso a “quota capitaria”: un quantum monetario per ogni iscritto, pesato per età. Questa modalità, finalizzata a superare il pagamento “a notula” di mutualistica memoria, che si prestava alla moltiplicazione delle prestazioni, faceva in modo che la spesa per medico venisse standardizzata e resa prevedibile (PPI a parte), ma ebbe come immediata conseguenza la netta riduzione delle ore di ambulatorio e, in generale, la scomparsa o quasi nelle aree urbane, delle visite a domicilio. Verosimilmente mirava anche a facilitare un sistema di concorrenza fra professionisti, per incoraggiare la crescita della performance, nell’aspettativa che le scelte dei cittadini confluissero verso il professionista “migliore”. Questa prospettiva trovava il suo limite nell’imposizione del “massimale” di iscritti a 1.500 per ciascun medico, che esita in una logica protezionistica nei confronti dei medici già inseriti nei territori (ambiti di scelta). Risultato finale: i gradi di libertà di scelta del cittadino nella zona di residenza sono ridotti al minimo, ora quasi annullate dal fenomeno sopra ricordato del medical shortage, costringendo i cittadini di alcuni territori a dover ricorre a MMG operanti in zone limitrofe, raggiungibili con propri mezzi e con grande difficoltà quindi per le persone anziane, disabili, fragili, povere.

Infine, la “concorrenza” fra i medici di un ambito sortisce un effetto disincentivante verso la costituzione di qualunque forma associativa, rafforzando invece la tendenza al lavoro isolato del medico che vede inevitabilmente nel collega un competitore economico. Questo aspetto è stato ancora più marcato nei confronti dei nuovi inseriti, in genere giovani medici, visti come una minaccia piuttosto che una fonte di rinnovamento e stimolo anche per i più anziani.

È quindi forse più che mai questo il momento di adottare modalità di remunerazione che favoriscano il lavoro associato dei professionisti. Una possibilità è data da una remunerazione sull’insieme della popolazione assistita dal gruppo, commisurata al “peso” della casistica (gravità di polipatologie), alla dimensione della popolazione del territorio ed al grado di disponibilità oraria nella zona carente o “micro area” (mutuando l’esperienza di Trieste per popolazioni di qualche migliaio di assistibili e proposta dai medici del “libro azzurro” 2)) e integrata con una quota variabile rapportata al raggiungimento di obiettivi misurati da indicatori concordati livello di Azienda/distretto, secondo protocolli formali dettati dal livello contrattuale regionale (pay for performance), comprensiva anche di una quota almeno del 10% dell’orario settimanale, da dedicarsi alla presa in carico domiciliare degli assistiti fragili/vulnerabili. L’assistenza nei luoghi di vita delle persone (domicilio e residenze) rappresenta infatti un altro punto cardinale della missione 6 del PNRR e prospettiva da sempre al centro delle iniziative CARD, ribadito in diversi documenti e proposte pubblicate dalla nostra società Scientifica (3,4,5).
Il compenso, così dimensionato, andrebbe poi suddiviso fra i medici componenti dell’equipe operante in quell’area. In tale prospettiva il gruppo dei medici dovrebbe assumere personalità giuridica e il contratto di ingaggio dovrebbe avvenire fra l’Azienda e il gruppo, non con il singolo componente dello stesso.

Modalità di reclutamento.
Una remunerazione assegnata al gruppo dei medici piuttosto che al singolo professionista, e suddivisa fra i suoi componenti anche in base all’impegno prestato in attività ambulatoriale, medicina di iniziativa per patologie croniche, assistenza in ospedale di Comunità, assistenza nelle residenze per anziani e disabili, servizio di continuità festivo, prefestivo e notturno, medicina penitenziaria, ecc. rende necessario pensare anche ad una nuova forma di reclutamento, che andrebbe definita secondo parametri tali da garantire la massima trasparenza, ma anche adatta a favorire una selezione basata su competenze e attitudini. Le soluzioni possibili si dovrebbero ricercare in forme che uniscono le modalità del concorso pubblico per titoli e colloquio e l’autonoma selezione con colloquio effettuata dai medici del gruppo (“datori di lavoro”) tra candidabili già inseriti in elenchi regionali.

Quali soluzioni?
Queste ed altre sono ovviamente di difficile attuazione, mai pronte all’uso. Sono necessari approfondimenti anche oltre quelli qui accennati. Lo scopo dei ragionamenti fin qui condotti è di portare stimoli per l’apertura di un confronto aperto, qualificato e costruttivo, fra tutti gli attori dell’assistenza territoriale, in particolare della scena della PHC, non solo con chi rappresenta la componente tecnica, ma anche con i portatori di interesse della comunità, che possono (devono?) poter contribuire attivamente alla costruzione di un sistema pubblico di tutela della salute in linea con i principi richiamati all’inizio, della PHC: un sistema accessibile, prossimo, continuativo, comprensivo e partecipato.
Non è più opportuno lasciare tutto questo confinato alla sola dialettica fra organizzazioni sindacali di categoria e le Istituzioni pubbliche di governo incaricare di redigere le contrattazioni.

In conclusione, per me e per tutta la CARD è ormai chiaro che l’attività dei MMG si deve svolgere con modalità di lavoro d’equipe multidisciplinare, dentro e non “a latere” del Distretto, rispondendo, sul piano organizzativo e funzionale, al Direttore di un Distretto “forte” anche in questo ambito, vera Struttura Operativa che non sarà più “controparte” o “controllore” ma “casa per buone pratiche”, che difficilmente si attuano se svolte in modo autonomo-autarchico dai singoli professionisti.

Un Distretto che è strumento e luogo di governo e governance del Servizio di PHC di cui il MMG (che in futuro si auspica sia chiamato Medico di Cure Primarie) è parte integrante fondamentale di tutto il sistema territoriale, e in cui sa di poter meglio esprimere competenza e qualità professionale, libertà di perseguire maggiore qualità e sicurezza delle cure.

Note bibliografiche

  1. https://www.saluteinternazionale.info/2020/11/medicina-di-famiglia-in-portogallo/).
  2. https://sites.google.com/view/il-libro-azzurro-della-phc/home?authuser=0
  3. http://www.carditalia.com/wp-content/uploads/2020/05/2015-manifesto-cure-dom-rev-.pdf “ <> il manifesto c. a. r. d. delle cure domiciliari: revisione 2015”
  4. http://www.carditalia.com/wp-content/uploads/2020/05/2020-PER-IL-DISTRETTO-luoghicura.pdf “Domiciliarità: richiedere più fondi non basta. Serve un Distretto forte per nuove idee, programmi innovativi, risposte coerenti con i bisogni”
  5. https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato2481282.pdf “La Carta di Siena 2021 per il progresso nella residenzialità”

Luciano Pletti
Vicepresidente CARD Italia

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