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Lunedì 16 GENNAIO 2023
Salute mentale. Perché parlare solo di risorse è sbagliato



Gentile Direttore,n
el giro di due giorni sono comparsi su Quotidiano Sanità due importanti interventi sulla salute mentale, concettualmente molto diversi fra loro. Da una parte l’appello dei 91 direttori di Dsm indirizzato, come le domande di grazia, al Presidente della Repubblica, dove solo la disperazione può far chiedere due miliardi per la salute mentale in un quadro in cui tutta la sanità pubblica é in una sofferenza tale da minacciarne la stessa sopravvivenza (come sottolineato dagli Assessori alla Sanità delle Regioni), ed in attesa di una stagione di ulteriori tagli lineari.

Dall'altra la analisi con cui Starace lascia immaginare una stagione di assunzioni grazie ai nuovi standard promossi dalla Intesa in Conferenza dello Stato e delle Regioni Autonome. I primi chiedono per l'ennesima volta il 5%, sempre promesso da oltre 20 anni e mai dato; il documento della Intesa ci mostra invece come i nuovi standard ne siano la pietra tombale.

Entrambi i documenti sembrano pensare che la quantità di risorse sia il problema essenziale, anche se hanno una idea molto diversa di quante ne servono. Nessuno dei due invece si domanda se ci sia un problema relativo al modello per cui queste risorse andrebbero impiegate e che la mancata chiarezza ed accordo su questi aspetti è una parte non piccola dei problemi attuali della salute mentale. Che sono poi i problemi su cui puntualmente si sofferma Cavicchi.

Peraltro la lettura attenta del documento Agenas solleva, a mio parere, più problemi e meno speranze di quanto faccia pensare la interpretazione di Starace.

Il primo problema riguarda gli Spdc per 300.000 abitanti dove la incertezza di come interpretarne i posti letto offre due soluzioni entrambe preoccupanti, anche perché nella eventuale incertezza saranno arbitre le singole Regioni. La prima é di avere reparti di 30 p.l. aprendo una strada che porta a ricostituire grandi reparti in deroga al senso ed alla lettera alla Legge 180/78 così come recepita nella Legge 833/78. La seconda é un dimezzamento dei posti disponibili, aprendo ulteriori importanti spazi al privato, che, agendo in quasi tutte le regioni in maniera indipendente dai DSM e dalle logiche di integrazione con il territorio, di fatto costituisce un binario operativo completamente separato da quanto indicato dalla Legge 180/78.

In realtà, a mio parere, la matematica purtroppo è suggestiva della prima ipotesi: agli attuali 329 SPDC per un totale di 4039 posti letto ordinari e e 294 in day hospital, si sostituirebbero in modo comparabile 166 SPDC con 30 posti per un totale di 4980 p.l.

Quello che emerge dallo sfondo è un aspetto su cui nessun apologeta della Legge 180, nessuno strenuo difensore dei suoi contenuti e della logica per cui i problemi derivano dalla sua incomprensibile scarsa applicazione, si sofferma: che la Legge 180 è stata riformata già numerose volte, nelle varie riforme sanitarie che si sono succedute, nei tanti decreti per il riordino del SSN e del contenimento della spesa, e negli infiniti provvedimenti regionali; e che questo è solo l’ennesima tappa che rosicchia qualcosa all’impianto originario, ormai ridotto ad una lisca irriconoscibile, valida solo per slogan altisonanti.

Il dubbio rende evanescenti i calcoli su personale. 5 medici (di cui 3 per il previsto servizio di guardia) forse possono essere sufficienti per un SPDC di 16 posti letto ma diventano ridicoli per uno di 30. Ed apprezziamo l’ottimismo di considerare il valore mediano di hub per il tempo di assistenza del personale del comparto, anche se nulla impedirà alle Aziende di utilizzare quello minimo: che significa che invece dei 6086 operatori previsti da Starace, ce ne saranno 4678. E “comparto” non significa necessariamente infermieri, un problema che non si può tralasciare data la facilità con cui alcune Regioni li sostituiscono con OSS, certo importanti, ma solo parzialmente in un reparto per acuti.

Anche i calcoli relativi ai CSM ci lasciano dubbiosi, perché il documento dice con decisa chiarezza che il personale non è solo per i CSM ma anche per le case di Comunità (ben 2 per CSM), secondo una programmazione che dovranno definire le Regioni; e con minore chiarezza che probabilmente dovrà fornire anche la specialistica penitenziaria. I calcoli di Starace offrono il risultato di passare dagli attuali 29.785 operatori a 33.423, con un aumento di risorse modesto, ma con un ampliamento invece imponente dei compiti richiesti.

Ma soprattutto questi calcoli non risolvono due problemi strettamente connessi, che hanno sempre accompagnato determinazioni e provvedimenti sulla salute mentale: la mancata applicazione e la discrezionalità delle Regioni. Non a caso viene fatto riferimento, per i CSM ogni 80.000 abitanti. ad una normativa del 1999 che, a distanza di 24 anni, risulta ampiamente inapplicata.

Certo, se leggiamo il rapporto SISM 2021, risulta un numero di strutture in linea con questa indicazione, ma, se vediamo le realtà effettive, scopriamo che una ampia parte di queste strutture non siano Centri di Salute Mentale ma semplici ambulatori con aperture rarefatte e gli stessi CSM abbiano solo in modesta parte (nel Veneto il 19%) gli orari indicati dalle norme.

Sono cioè CSM solo nella targa, ma non certo in quello che era l’intendimento del 1999.

Quello che non si comprende è perché mai questa normativa dovrebbe ora avere un valore più cogente delle precedenti, puntualmente disattese, specie considerando l’ampia discrezionalità che le modifiche del Titolo V danno alle Regioni in materia di programmazione, che aumenterebbe poi a dismisura con la autonomia differenziata.

Non mi pare che l’incremento di qualche anguria migliori il destino dei Dodo e li salvi dalla estinzione.

Il rischio molto concreto è che, alla fine di tutto questo, rimanga solo la costruzione dei grandi reparti e lo sviluppo di una qualche psichiatria di base nelle Case di Comunità - con tutti i problemi che creerà un qualcosa che dovrà costantemente ricordarsi di essere articolazione dei CSM, con le costose risorse che comportano queste integrazioni - senza che di fatto ci siano effettivi adeguamenti del personale.

Quello che rimane, di fronte all’appello dei Direttori ed al documento della Conferenza dello Stato e delle Regioni Autonome, è il problema che ha percorso il Forum sulla Salute Mentale che Quotidiano Sanità ha ospitato: pensiamo davvero che questa dimenticanza di fatto della salute mentale si risolva semplicemente con un incremento di risorse, che per giunta a questo punto è chiaro che non arriverà mai?

Non sarebbe il caso di domandarsi se c’è qualcosa alla base di questo modello che ha permesso a governanti e cittadini di scordarsi di questa realtà, togliendo a questi pazienti ed a chi se ne occupa qualunque potere contrattuale?

Andrea Angelozzi
Psichiatra

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