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Lunedì 20 MARZO 2023
Per la riforma della sanità servono proposte concrete, praticabili e coraggiose

Serve dunque una rivoluzione copernicana basata su proposte concrete e su modelli alternativi di funzionalità dei servizi. Una rivoluzione che non necessita di un nuovo e inutile vocabolario, ma di modestia, di determinazione, di spirito costruttivo, di elaborazione collettiva e di una buona dose di coerenza personale

La discorsività inconcludente
Sulla sanità si possono scrivere fiumi di parole, riempire risme di carta ed esercitarsi negli stili più variegati.

Si può essere argomentativi, evocativi, intransigenti come pubblici ministeri che inchiodano alle loro responsabilità avversari rei di tutto il male possibile o melliflui adulatori del nuovo arrivato di peso, fingendosi disinteressati intellettuali pronti ad offrire gratis i preziosi frutti del proprio pensiero.

Si può dire tutto e il contrario di tutto, arricchendo il proprio lessico con neologismi che rompano le catene di un linguaggio aimè incapace di dare forma a un pensiero troppo dirompente per essere annunciato con l’obsoleto ragionar della lingua di Dante e di Manzoni.

Si può ovviamente fare parte di una identica scuola e amplificare il pensiero del proprio leader, facendone la puntigliosa ermeneutica degli scritti e l’epistemologia dei fondamenti alla base del suo sapere, senza mai riuscire a spiegare in cosa consista la novità.

Si può fare dunque sfoggio di quello che si è o si crede di essere senza dire nulla che possa veramente servire per modificare lo stato pietoso in cui versa il nostro SSN.

Il paziente lavoro politico per cambiare la sanità
Per cambiare la sanità ci vuole coraggio, indipendenza di giudizio e non avere tenuto troppo alla propria carriera personale come quegli ardenti rivoluzionari che, nella splendida canzone di Fausto Amodei leggono “Sartre, Musil, Queneau e Montale”, tengono il Capitale di Marx come “livre de chevet” ma vestono abiti alla Balenciaga.

Ci vuole soprattutto avere avuto dei maestri da cui avere appreso come sia difficile cambiare lo stato delle cose senza cadere nella demagogia spiccia e di come i processi decisionali nella pubblica amministrazione richiedano un paziente “lavoro politico” come si diceva in alti tempi.

Una “razionalità incrementale” in cui la chiarezza delle idee deve poi essere calata nel contesto reale, tenendo presente le molteplici e contradditorie esigenze degli attori in campo, tutti portatori di legittimi interessi. Un modo di ridisegnare il contesto sociale sanitario attento agli obbiettivi e rispettoso dei vari protagonisti che ho appreso da Bruno Benigni da un verso e da Silvana Dragonetti dall’altro.

Potrei citare decine di casi in cui il massimalismo parolaio si è concluso nel nulla di fatto e in cui le parole altisonanti si siano dimostrate semplici “esercizi di stile”, figure retoriche, arzigogoli lessicali, cifre identificative come le iniziali sulle camicie hand made, a cui aspira il mai sopito borghesuccio che annida in noi; tratti di “distinzione” di “differenza” per affermarsi con risolutezza e cipiglio giacobino nell’affollato spazio sociale descritto da Bourdieu.

I veri problemi sul tappeto
Ritornando dunque ai problemi sul campo, come già più volte scritto su QS da solo o in buona compagnia con Nicola Preiti, Saverio Proia e Mara Tognetti, il sistema va riformato partendo da due assunti fondamentali: risorse adeguate per il SSN e nuovo ruolo per il Ministero della salute.

Le risorse per il SSN
Per quanto riguarda il primo punto è necessario fissare per le legge che le risorse non possono essere inferiori a un valore del 7% rispetto al PIL e che queste devono essere attinte dalla fiscalità generale ponendo come obbiettivi prioritari lotta senza quartiere all’evasione fiscale e contributo di solidarietà straordinario a carico dei possessori di grandi ricchezze. Un pensiero in linea con quanto detto in questi giorni da Landini al congresso della CGIL di Rimini.

Le competenze del Ministero della salute
Per quanto riguarda il secondo aspetto, va stabilito una volta per tutte che il Ministero della Salute non può restare un ministero “senza portafoglio” alle dirette dipendenze del MEF.

Bisogna dare significato al Ministero della salute conferendo alla struttura il pieno controllo delle risorse stanziate al SSN e non rendendo più possibile che, in caso di necessità, il finanziamento venga decurtato per fare cassa.

Significa poi, a differenza di quanto avvenuto nel passato, aver voce in capitolo anche nel caso in cui una regione accetti un piano di rientro che non può essere un taglio indifferenziato di servizi e strutture senza che il Ministero riesca a imporre il pieno rispetto delle esigenze e necessità di salute dei cittadini. Un copione triste e umiliante a cui troppe volte abbiamo assistito.

La riforma del Ministero significa poi un nuovo modo di collaborare con le altre agenzie nazionali presenti in primis Agenas, rinunciando alla consueta contrapposizione indotta da inutili giochi di ruolo e d potere: obbiettivo prioritario definire un sistema teorico di reti cliniche per le patologie a più alto impatto assistenziale che trovi concreta applicazione nelle singole regioni stabilendo tempi, modi di realizzo e incentivi a saldo e penalizzazioni per le inadempienti.

Le reti cliniche per vincere le disuguaglianze tra territori
Aldilà delle consuete lamentazioni sulle diseguaglianze di salute è solo la realizzazione “obbligata” ma “condivisa” in tutte le regioni di reti cliniche che può garantire un comune standard quali-quantitativo di assistenza in tutto il territorio nazionale, rendendo finalmente inutili i vergognosi viaggi della speranza verso le regioni del Nord per necessità di cura.

Sull’autonomia differenziata è stata già detto abbastanza; ricordo solo come il provvedimento, aldilà del merito, sia irrealizzabile e destinato al fallimento come hanno certificato le costosissime commissioni per l’introduzione del federalismo fiscale che hanno chiuso i battenti dopo avere prodotto, anche essi, tomi di verbali inconcludenti.

Il sistema di governance regionale
Il secondo livello su cui bisogna avanzare proposte concrete è quello della governance a livello regionale. Al primo punto contrastare il neo centralismo regionale dando voce e potere ai comuni singoli o associati. Un concetto che recentemente ha espresso con chiarezza il Sindaco di Firenze Dario Nardella.

La valorizzazione dei comuni singoli o associati è l’unico strumento per rendere la programmazione regionale un progetto condiviso e attento alle realtà locali e non un atto d’imperio centralistico e avulso da ogni capacità di indurre un concreto miglioramento del servizio.

La governance delle aziende sanitarie
Sulla governance delle aziende sanitarie abbiamo già varie volte espresso il nostro giudizio. Il processo di aziendalizzazione è fallito perché gli obiettivi prefissati: miglioramento della qualità ed efficientamento economico non solo sono stati mancati, ma hanno condotto alla situazione attuale.

Una condizione di impoverimento dei servizi e di frustrazione degli operatori che, vessati molte volte da regimi autoritari e autoreferenziali, fuggono dal lavoro pubblico emigrando all’estero o scegliendo il privato. Sostituire il regime dispotico e solipsistico che attualmente governa le aziende con una conduzione collegiale (tipo consiglio di sorveglianza tedesco) è una necessità a cui ogni buon riformatore non dovrebbe sottrarsi.

Stato giuridico e ruolo del personale
Punto altrettanto essenziale è ridefinire il rapporto di lavoro di tutti i dipendenti che operano nel SSN in regime di erogabilità pubblica delle prestazioni.

Abbiamo proposto e continuiamo a sostenere la necessità di un unico contratto di filiera in cui fare confluire, fatte salvo alcune specificità, tutti gli operatori pubblici o privati che siano, compresi i medici di medicina generale.

Un contratto unico che fissi diritti, doveri, competenze e livelli retributivi comuni a tutti coloro che scelgono di operare per conto del servizio sanitario, lasciando fuori quelli che invece vogliono restare liberi professionisti e che a questo punto dovranno confrontarsi con le leggi di un mercato libero e non garantito e amministrato a loro favore come l’attuale.

Il ruolo della partecipazione
Ultimo punto da richiamare con forza la partecipazione di cittadini e operatori. Il modello di governamentalità attuale è tipicamente top down in cui i vertici aziendali ristretti o allargati ai medici e dirigenti cooptati con loro grande soddisfazione nelle inutili procedure aziendalistiche esercitano un potere insindacabile sugli operatori che sono invece il vero motore del cambiamento in un contesto totalmente labour intense.

Serve un nuovo modello di governamentalità in cui gli operatori, che sono il general inetellect dell’impresa, possano migliorare la qualità del lavoro creando relazioni, contaminazioni tra saperi diversi e condivisione di progetti e interessi scientifici. Attività che oggi sono loro precluse perché l’ospedale e i servizi sono stati trasformati in fabbriche fordiste in cui i professionisti che vi operano rivestono il ruolo di tecnici specializzati, di turnisti e talvolta cottimisti. Agenti inanimati della produzione per usare un’espressione di Marx.

Dare spazio alla creatività di cittadini e operatori
Bisogna dare invece spazio alla creatività degli operatori accogliendone proposte, indicazioni e suggerimenti. Non disperdere questa intelligenza collettiva dovrebbe essere un obbiettivo prioritario specie in questa condizione di crisi.

Valgano a mò di esempio le interessanti proposte avanzate su QS da diversi medici che operano nei dipartimenti di emergenza della regione Lazio, tra cui Foffo Pagnanelli, per incentivare il lavoro nell’area critica, vincere la disaffezione verso una disciplina estremamente impegnativa e un lavoro gravoso. Riformi indispensabili per ossigenare un comparto in enorme difficoltà senza disperdere inutilmente risorse, come oggi viene fatto ricorrendo ai medici a gettone.

Lo stesso dicasi per i cittadini il cui ruolo è completamente mortificato e che invece dovrebbero essere direttamente interpellati nella definizione dei programmi, delle attività e nella valutazione dei risultati di quanto fatto nelle aziende sanitarie. Dando loro la possibilità di incidere realmente sulla conduzione dell’azienda.

Una rivoluzione copernicana con proposte semplici e concrete
Serve dunque una rivoluzione copernicana basata su proposte concrete e su modelli alternativi di funzionalità dei servizi. Una rivoluzione che non necessita di un nuovo e inutile vocabolario, ma di modestia, di determinazione, di spirito costruttivo, di elaborazione collettiva e di una buona dose di coerenza personale.

Questi sono i temi su cui gli esperti dovrebbero iniziare a confrontarsi rinunciando ad ergersi ad intransigenti censori dei comportamenti altrui e a unici possessori di un pensiero critico che non produce differenze.

Roberto Polillo

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