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Venerdì 24 MARZO 2023
Autonomia differenziata. Se il Ddl Calderoli sottace il tema cruciale della perequazione

Per evitare tante inutili e dannose conseguenze, funzionali a mantenere in vita l’attuale sistema delle diseguaglianze e sprovvisto delle risorse necessarie vittime del criterio della spesa storica, occorre adoperarsi nel corso dei lavori parlamentari per migliorare il testo in esame. Il miglioramento dovrà ineludibilmente riguardare l’inserimento della previsione della disciplina della perequazione, strumentale a costituire tempestivamente il fondo perequativo che dovrà assistere le Regioni più povere nella erogazione dei Lea (e non solo).

Il DDL Calderoli è stato recentemente fatto proprio dal Consiglio dei Ministri. Di conseguenza, di qui a poco inizierà il suo inter parlamentare.

Il testo è di fatto da considerare in continuità con gli omologhi DDL Boccia (2019) e Gelmini (2022). Rispetto a questi ultimi - che rinviavano ad un indeterminato ulteriore provvedimento legislativo l’individuazione dei Lep, la determinazione dei costi e fabbisogni standard e la disciplina della perequazione – il progetto governativo fa tuttavia esplicito richiamo per la definizione degli anzidetti temi alla legge di bilancio 2023 (art. 1, commi 791-801) per la definizione dei Lep e la valorizzazione dei costi e dei fabbisogni standard, ma sottace il tema della perequazione, richiamato con forza dai primi due DDL.

Uno schema, quello di Calderoli, che tende ad attuare il regionalismo differenziato, una volta individuati i Lep e determinati i fabbisogni standard per gli enti locali e i costi/fabbisogni standard per i Lep, da definirsi entro il 31 dicembre del corrente anno a cura dell’istituita Cabina di regia (comma 792, art. 1, legge 197/2022) collaborata dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard (commi 793, lett. d, e 794, art. 1 legge 197/2022).

Al di là delle perplessità della scelta di fare definire le ipotesi dei fabbisogni standard, relativi ai Lep delle materie più sensibili per il quotidiano della popolazione (es. sanità, assistenza, istruzione e trasporti pubblici locali), ad un organo inidoneo a verificare le esigenze sociali differenziate manifestate nelle diverse regioni – un aspetto questo che deve impegnare invece la politica e l’intero sistema istituzionale territoriale - il Ddl Calderoli registra una grave omissione. Sottace il tema cruciale della perequazione.

Per intanto si registra una grande confusione sul tema.

C’è chi (centrosinistra) ha:

C’è chi ha:

C’è chi (centrosinistra e centrodestra) ha perso solo tempo nel portare avanti il tutto:

Le possibili vie

A fronte di tutto questo disimpegno, non rimangono che due soluzioni: a) modificare la Costituzione, così come era in parte tentata dalla ben nota proposta elaborata da Renzi-Boschi sconfitta nel referendum del 4 dicembre 2016; b) attuare quanto dalla Costituzione vigente.

Le proposte di Ddl di Boccia, Gelmini e Calderoli andavano e vanno nell’ultimo senso, anche perché affrontare la prima ipotesi di modifica della Carta comporterebbe la sopportazione dell’esistente chissà per quanti anni.

Quanto al Ddl in corso d’opera parlamentare, tralasciando ogni riflessione sulle procedure previste per perfezionare le eventuali istanze regionali intese a pervenire ad una maggiore autonomia legislativa e sulle eccezioni di incostituzionalità emerse, è appena il caso di sottolineare l’esigenza di ben affrontare il cammino in Parlamento volto a tradurre in legge quadro l’anzidetta ipotesi pre-legislativa di Roberto Calderoli.

Ebbene, al riguardo, il testo andrà nutrito con emendamenti mirati ed essenziali a imporre la disciplina di funzionamento della perequazione per quelle Regioni, incapaci a sostenere con il proprio gettito fiscale l’erogazione dei Lep di propria competenza, e per quegli enti locali a secco di finanze e in condizioni “fallimentari” da sempre inefficienti ad esercitare buone pratiche di accertamento e riscossione dei tributi, tariffe e contravvenzioni.

In tutto questo bailamme, ove la lotta politica prevale sulla ragione di mettere in piedi un sistema Repubblica che finalmente funzioni nel rispetto assoluto della Costituzione, è necessario un rinsavimento da esercitarsi in Parlamento. Magari, assicurando una maggiore attenzione di quella mancata da parte delle minoranze allorquando – da una parte - si è tracciato il percorso (art. 1, commi 791-802, legge di bilancio 2023) fondamentale per individuare entro quest’anno i Lep e i costi e standard per sostenerli e - dall’altra – si è colpevolmente trascurata la previsione della costituzione del fondo perequativo e l’attivazione di una sua disciplina. Ciò perché, peraltro, attuativo della legge 42/2009, approvata dalla allora maggioranza di centrodestra, con l’astensione di 188 deputati del PD e con il solo voto contrario di Udc.

I difetti e le assenze di disciplina vanno pertanto sanate e subito, solo che non si voglia perdere altro tempo, dando per scontato che occorrerà rincorrere da parte delle Regioni una loro maggiore autonomia legislativa seppure in assenza dei requisiti organizzativi e strutturali che ove mai lo consentirebbero. Al riguardo, un compito difficilissimo sarà altresì quello di individuare, tra le venticinque disponibili, le materie sulle quali rivendicare la loro espansione legislativa.

D’altronde, l’ammissibilità ad una pretesa siffatta neo prerogativa sarà ampiamente vigilata dal Parlamento dal momento che il tutto passerà, per ogni Regione istante, attraverso una legge che sancisca la relativa intesa con il Governo votata a maggioranza rafforzata, ovverosia con il quorum utile assoluto dei componenti sia della Camere che del Senato.

Il ritardo ad operare positivamente in proposito sarebbe, a modifiche formali e sostanziali intervenute ovviamente sulla disciplina della perequazione, ingiustificato tanto da concretizzare una colpa grave della politica. Peggio di quella maturata per oltre dodici anni per aver lasciato il tutto abbandonato in fondo ala cassetto dell’incuranza. Ancor di più grave è stato l’abbandono della sanità al livello in cui essa ha vissuto in tutti questi anni sino ad arrivare allo stato di precarietà quasi assoluta, fatta eccezione per quella assicurata dai cinquantuno Irccs, pubblici (21) e privati (30), e di qualche rara struttura ordinariamente pubblica. Ciò senza contare l’aridità sconcertante, cui bisogna riparare da subito, dell’assistenza territoriale disegnata sulla carta ma ancora incerta nella data di sua godibilità.

La sanità e le sue improrogabili urgenze

A proposito di sanità, è davvero sconcertante il disimpegno registrato sino ad oggi. Ciò in quanto essa sarebbe potuta divenire da tempo quella desiderata. I Lea individuati nel 2001 avrebbero potuto, con tutti i loro limiti di definizione e di mancato adeguamento alle esigenze reali, costituire la base per perfezionare quanto previsto nei Ddl Boccia, Gelmini e Calderoli solo che si fosse realizzato quanto sancito nelle leggi e nei provvedimenti aventi lo stesso valore approvati nel triennio 2009/2011.

E dire che una iniziativa in tale senso era venuta a maturazione nel 2011. Infatti, a seguito dell’approvazione del d.lgs. 12 maggio 2011 n. 68 fu convocata una riunione dal ministro per le riforme Calderoli (alla quale ebbi l’onore di partecipare), presenti l’omologo allora ministro della salute Ferruccio Fazio, l’allora presidente della Copaff (oggi giudice costituzionale) Luca Antonini, Filippo Palumbo, Ernesto Longobardi e Lino Del Favero. Scopo della riunione era quello di lavorare per la determinazione dei costi e fabbisogni standard garanti della sostenibilità dei Lea. Caduto quel Governo non se ne fece più nulla sino ad arrivare passivamente ai giorni nostri.

Pertanto, al fine di evitare tante inutili e dannose conseguenze, funzionali a mantenere in vita l’attuale sistema delle diseguaglianze e sprovvisto delle risorse necessarie vittime del criterio della spesa storica, occorre adoperarsi nel corso dei lavori parlamentari per migliorare il testo in esame. Il miglioramento dovrà ineludibilmente riguardare l’inserimento della previsione della disciplina della perequazione, strumentale a costituire tempestivamente il fondo perequativo che dovrà assistere le Regioni più povere nella erogazione dei Lea (e non solo).

Per fare tutto questo, si rende necessario evitare nel confronto, dentro e fuori le Aule, ogni confusione sulla opzione offerta dalla Costituzione (art. 116, comma 3) alle Regioni a statuto ordinario di incrementare la propria competenza legislativa esclusiva con le metodologie di finanziamento, recate dal federalismo fiscale, nonché con pre-determinazione dei Lep. Quei livelli essenziali delle prestazioni afferenti ai diritti civili e sociali che tutti, nessuno escluso, devono rivendicare dalla loro previsione costituzionale del 2001. Con questo, non significa lavorare per l’esproprio delle competenze statali sulla sanità. Tutt’altro.

Lo Stato, infatti, continuerà a:

Dovrà tuttavia tornare ad esprimere un Piano sociosanitario nazionale, che sarà da guida sia per le Regioni che assumeranno, ai sensi dell’art. 116 Cost., la competenza esclusiva in materia di salute che per quelle che non eserciteranno una siffatta scelta, nei confronti della quali lo Stato continuerà fare ciò che fa oggi. Anzi dovrà fare molto di più di quanto non ha fatto dal 2001 sul piano dell’assistenza integrata, allorquando la materia dell’assistenza sociale è rientrata nelle venti residuali, determinando così uno scollamento tra la decisione politica della tutela della salute e quella dell’assistenza, concausa dei disastri registrati durante il Covid.

Disperazione e speranza con in mezzo la responsabilità

Regionalismo asimmetrico e federalismo fiscale imporranno l’assunzione di pesanti responsabilità sulle Regioni, alcune della quali in stato di disperazione assistenziale, tanto da fare perdere alle rispettive comunità persino la speranza del cambiamento. Il tutto dovrà avvenire a fronte di pesanti ticket istituzionali, tali da fare sì che la disperazione sociale debba fare un passo avanti verso il senso di responsabilità: dei partiti a scegliere il meglio; dei cittadini ad eleggerli; del giudice contabile ad individuare le consuete loro inosservanze alle regole; della magistratura ad “espellerli”.

D’altronde, le tre categorie, quasi filosofiche, del principio di responsabilità (Jonas), della disperazione (Anders) e della speranza (Bloch) - con il primo che dissolve la seconda portando a realtà vissuta la terza - riconduce al risultato preteso dalla Costituzione. Per l’appunto, la Carta scritta per uscire dalla disperazione, pensata per assicurare speranza alla Nazione messa a punto sulla declinazione del principio di responsabilità.

Ettore Jorio

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