quotidianosanità.it
Quotidiano Sanità è da sempre un cantiere aperto sui temi della sanità pubblica italiana e noi con spirito da veri umarèll ne siamo frequentatori appassionati. Umarèll, per inciso, è entrato nell’edizione 2021 del vocabolario Zanichelli, con la seguente definizione: “pensionato che si aggira, per lo più con le mani dietro alla schiena, presso i cantieri di lavoro, controllando, facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che vi si svolgono”. La passione per la sanità pubblica e la lunga esperienza di lavoro nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ci spingono a fare qualche considerazione sulla attuale drammatica crisi della nostra sanità senza ovviamente alcuna pretesa di esaustività. Nel cantiere di QS ci sono molti altri ad aggirarsi, sia umarell come noi (in realtà la maggioranza e questo dovrebbe far pensare) che altri tuttora in servizio, e ci pare che nel cantiere si parlino linguaggi molto diversi tra loro. Il nostro linguaggio è comune a chi, per usare l’espressione usata da Roberto Polillo in un suo recente intervento, ritiene che serva “una rivoluzione copernicana basata su proposte concrete e su modelli alternativi di funzionalità dei servizi”, dove, nella nostra interpretazione, per rivoluzione copernicana si intende la scelta di considerare la sanità un tema complesso ad alta evolutività in cui è inutile cercare la “grande riforma” definitiva, scegliendo la strada dei continui aggiustamenti sulla base, appunto, di proposte concrete. Un tentativo di ragionare in questi termini lo abbiamo ritrovato ad esempio, oltre che nel già citato intervento di Polillo, in un recente intervento di Filippo Palumbo, nell’ appello del Movimento per la sanità pubblica “La sanità pubblica è sotto attacco. Difendiamola” e nel “Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale” della Fondazione GIMBE . Non ci proviamo nemmeno a tentare una sintesi di queste proposte, che prese nel loro assieme forniscono una buonissima base di discussione e confronto, ma ci limitiamo a qualche considerazione sulla “natura” del loro contenuto. A fronte di alcune proposte comuni a tutti (come l’aumento del finanziamento del SSN, l’investimento sul personale e il no all’autonomia differenziata) l’impostazione di Polillo privilegia gli interventi sugli assetti istituzionali rispetto ai quali propone, ad esempio, misure fortemente innovative ed estremamente interessanti a livello sia della governance nazionale, dove prevede un ruolo diverso del Ministero della Salute, che della governance, regionale, dove prevede una maggiore valorizzazione dei comuni singoli o associati, e della governance delle Aziende Sanitarie, dove propone di sostituire l’attuale “regime dispotico e solipsistico” che le governa con una conduzione collegiale. Polillo propone poi un unico contratto di filiera in cui fare confluire, fatte salvo alcune specificità, tutti gli operatori pubblici o privati che siano, compresi i medici di medicina generale e un maggior ruolo della partecipazione di cittadini e operatori. Gli altri interventi introducono altre proposte centrate sia sugli aspetti programmatori e organizzativi (come il potenziamento delle attività territoriali sia di prevenzione che distrettuali, la preparazione del sistema sanitario al possibile rischio di nuovi eventi pandemici e la revisione del ruolo del privato accreditato), che su aspetti di tipo politico-amministrativo (come la revisione dei sistemi di partecipazione alla spesa e degli strumenti della sanità integrativa e il periodico aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza, LEA) e gestionali (come la lotta alle inefficienze e gli sprechi). A fronte di questo già ricchissimo ventaglio di osservazioni e proposte vorremmo dare anche noi dei suggerimenti da bravi umarells, scegliendo cinque aspetti che ci sembra non siano stati adeguatemente sottolineati. Si tratta di suggerimenti di approfondimento visto che, al pari di tutte le altre proposte citate sin qua, un conto è enunciare una criticità e quindi una opportunità e un conto è svilupparne l’analisi fino ad arrivare ad una proposta strutturata al riguardo. Il primo punto è la timidezza con cui è stata affrontata una questione che nella nostra esperienza è rilevantissima: la revisione delle reti ospedaliere pubbliche, ridondanti nella stragrande maggioranza delle Regioni e come tali vero ostacolo allo sviluppo dei servizi territoriali. Ridondanti non come numero di posti letto (che almeno per l’area medica vanno anzi aumentati almeno fino a che i servizi territoriali non si saranno finalmente sviluppati), ma come numero di strutture ospedaliere. Le continue citazioni del numero di ospedali pubblici tagliati ogni volta che esce il nuovo Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale dovrebbero tener conto del fatto che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di piccole strutture, ormai diventate insicure e lontane dagli standard non solo del DM 70, ma anche del buon senso clinico-organizzativo. La revisione del DM 70 va fatta presto e con coraggio non per “tagliare”, ma per trovare strade nuove alla riorganizzazione degli ospedali che concentrino il più possibile l’attività chirurgica e della grande emergenza e rendano invece ancor più capillare la distribuzione delle strutture ospedaliere a specifica ed esclusiva vocazione internistico-geriatrica. Quanto alle strutture ospedaliere private vanno anch’esse coraggiosamente ridefinite nel nuovo DM 70 in modo da togliere loro il privilegio di area protetta, protetta dalle urgenze e dalla complessità. Il secondo punto è la questione della sanità delle Regioni del Mezzogiorno in perenne sofferenza, come dimostrano i dati del monitoraggio dei LEA, i dati di mobilità ma soprattutto le condizioni di sofferenza in cui versano i cittadini e l’aumento di coloro che rinunciano a curarsi .Anche qui ci vuole un piano straordinario specifico, tutto, o in gran parte, da scrivere, che affronti il tema in un modo diverso rispetto al passato che tenga conto della sua straordinaria complessità. Leggiamo con attenzione gli interventi appassionati e competenti di Ettore Jorio al riguardo, come l’ultimo di pochi giorni fa in cui viene sottolineato, ci pare molto opportunamente, il rischio di banalizzazioni quando si parla di sanità malata, specie del Mezzogiorno. Al riguardo una sola cosa vogliamo evidenziare: più che della troppa mobilità ospedaliera (dato strutturale che richiederà molto tempo sanare, se mai ci si riuscirà del tutto) dovrebbe preoccupare la immobilità territoriale, e cioè la difficoltà in molte Regioni del Mezzogiorno di far crescere i servizi distrettuali e di prevenzione. Forse è a questi che occorrerebbe guardare prima, anzi subito. Il terzo punto riguarda la sostanziale irrilevanza delle Università e in particolare delle Facoltà di Medicina e Chirurgia nel dibattito nazionale e regionale sulla crisi del SSN. I Centri Universitari di Ricerca e Formazione più attivi in sanità sono infatti quasi tutti di estrazione economico-sociale. Ci sfugge come possa essere questo tipo di Facoltà di Medicina e Chirurgia la sede in cui formare a nuovi modelli culturali, professionali e organizzativi di tutela della salute. L’Università come campo neutro di formazione dei professionisti sanitari ci sembra un modello da superare. Un quarto punto riguarda la variabilità degli assetti del livello regionale del SSN. Una variabilità che ha annullato, ad esempio, il ruolo fondamentale della epidemiologia nella maggioranza delle Regioni, nonostante l’epidemiologia sia evidentemente una disciplina centrale nell’accompagnamento dei processi di evoluzione del SSN, in termini di selezione delle priorità e di valutazione degli interventi. La stessa variabilità che fa sì che spesso gli investimenti tecnologici seguono nelle Regioni più i bacini elettorali degli Assessori che non le analisi della health technology assessment. Le sei emodinamiche programmate nelle Marche per un milione e mezzo di abitanti sono, crediamo, un esempio illuminante. Il quinto e ultimo punto riguarda la domanda: ma chi è il convitato di pietra del dibattito sulla sanità che anima QS? Chi lo legge, o ancor meglio, chi pensiamo possa e debba mettere mano alla sintesi delle indicazioni che emergono dal dibattito e istruisca il percorso di difesa e rilancio del SSN? Il Ministero della Salute a leggere il suo Atto di indirizzo 2023 dovrebbe essere in grado di farlo. Ma l’esperienza di monitoraggio della erogazione regionale dei LEA (giudicata praticamente da tutti gli interventi citati fortemente inadeguata) non sembra confortare questa affermazione. Non è il caso di pensare a qualcos’altro che affianchi il Ministero in questa fase così delicata per il nostro SSN? P.S. Siamo d’accordo col Collega Antonio Panti sulla opportunità e urgenza di una giornata di protesta nazionale per la sanità pubblica di tutti gli operatori del SSN, dipendenti e non, appartenenti a tutte le professioni sanitarie. Sarebbe un gran bel segnale per una gran brutta situazione. Giuseppe Zuccatelli e Claudio Maria Maffei
stampa | chiudi
Martedì 04 APRILE 2023
Guardando al cantiere della sanità come due umarèll
Umarèll è entrato nell’edizione 2021 del vocabolario Zanichelli, con la seguente definizione: “pensionato che si aggira, per lo più con le mani dietro alla schiena, presso i cantieri di lavoro, controllando, facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che vi si svolgono”
Per quanto riguarda la ricostruzione della storia e delle criticità del nostro SSN fino alla pandemia crediamo che il miglior riferimento sia il libro “Il volo del calabrone. 40 anni di Servizio sanitario nazionale” di Francesco Taroni, cui si deve l’immagine del SSN come un calabrone che secondo le leggi della fisica non dovrebbe volare, ma per lungo tempo ce l’ha fatta a volare. Una interessante recensione del libro di Stefano Cagliano si può leggere qui. Poi la pandemia ha fatto valere le leggi non della fisica, ma della politica, e il SSN non vola più. Per cui saltiamo la parte storica e ci concentriamo sulle misure che sono state proposte negli interventi, documenti e appelli già citati per la difesa e il rilancio del SSN.
© RIPRODUZIONE RISERVATA