quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Mercoledì 17 MAGGIO 2023
Servono risorse ma anche una profonda riflessione sulla salute mentale



Gentile Direttore,
mi inserisco nel dibattito apertosi tra Emi Bondi (Presidente SIP) ed Angelozzi rispetto al "salvataggio" della legge 180/1978, solo per condividere alcuni commenti. Fermo restando che tutti i Paesi esteri invidiano la nostra riforma della salute mentale ma nessuno la ha poi applicata a casa sua (come dire, "andate avanti voi che vediamo come va a finire, poi nel caso decidiamo"), e fermo restando che fin dalla nascita la riforma non è mai stata veramente finanziata in maniera adeguata per poter dire che è stata applicata al 100%, non posso che apprezzare come sempre Angelozzi per il suo coraggio di dire che il Re è nudo.

Condivido appieno analisi e (sconcertanti) conclusioni, anche se il 18 maggio a Roma sosterremo (come Direttori dei DSM) che il progressivo depauperamento di risorse è dannoso, per i pazienti e per la società.

Sappiamo benissimo che vengono pubblicati continuamente "libri dei sogni" che annebbiano la vista dei nuovi lotofagi, ma bisogna anche avere il coraggio di dire che il Re è nudo. In definitiva, tutti sono concordi che un sistema sanitario pubblico, universale ed equo non debba essere smantellato (chi è il pazzo che sosterrebbe il contrario?), ma nessuno è in grado di dire con che denari lo si potrà sostenere, almeno nel contesto economico-finanziario attuale del nostro Paese.

Un altro limite (almeno nell'area della salute mentale) è inserire in maniera acritica tutto ciò che è reattivo e adattativo nell'orizzonte psicopatologico e quindi meritevole di presa in carico specialistica. Così facendo le risorse non basteranno mai, in quanto la sofferenza umana è infinita ma non così le risorse. Ed in ogni caso non tutta la sofferenza (il termine politically correct è "disagio"...) è "malattia", spesso i sistemi omeostatici (come il nostro, sia nell'aspetto fisico ma anche in quello psichico) necessitano di momenti di riassestamento (il famoso "disagio") che non può e non deve essere assunto ad equivalente di malattia.

Quindi è vero che bisognerebbe riflettere prima di tutto sull'obiettivo della salute mentale nei servizi pubblici, ma poi anche sulla reale epidemiologia della "malattia" e non del "disagio", e solo dopo questi passaggi pensare alle risorse utili declinando sia l'organizzazione che la quantità di persone da impiegare, infine chiedere i fondi necessari a sostenere le azioni programmate. Sempre tenendo conto dei vincoli di sistema, che non sono più quelli degli anni '70-'80 del secolo (!!!) scorso e che soprattutto prevedono che siano le Regioni ad organizzare i propri servizi sanitari - anche quelli di salute mentale - rendendo di fatto ogni organismo centrale un'arma spuntata se non dotata di un mandato forte ma sostenuto normativamente.

E anche io quindi esprimo qualche perplessità rispetto alle posizioni ideologizzanti e direi neo-umanistiche degli estensori del citato "Manifesto", che di fatto rifiutano un approccio scientifico e moderno, evidence-based, della psichiatria sostenendo invece modelli psicologizzanti ed eccessivamente individuali (o individualistici) che negano di fatto ciò che è alla base della ricerca, innovazione e organizzazione razionale dei servizi. Forse la nostra debolezza è proprio questa: di avere troppe anime, che non comunicano tra loro e che non hanno la forza di porsi come stakeholders del sistema, pilatescamente aspettando che qualcuno decida per noi. Che non sempre è Babbo Natale... Salvo poi pretendere il diritto di lamentarsi.

Dott. Federico Durbano
Direttore S.C. Psichiatria Martesana UOP 34
Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze
Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Melegnano e della Martesana

© RIPRODUZIONE RISERVATA