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Martedì 13 NOVEMBRE 2012
Sindrome di alienazione parentale. Cosa c'è di vero? Intervista a Pignotti (Meyer): “La PAS non esiste"

Il tema è tornato d'attualità con il drammatico video del bambino trascinato via a forza dalla polizia in esecuzione di una sentenza del tribunale che decideva di toglierlo alla madre a segutio di una diagnosi di Pas. Ma di che si tratta? Per la neonatologa del Meyer è un'invenzione e la Fnomceo dovrebbe intervenire.

Contestata già da tempo, è diventata oggetto di dibattito pubblico anche in Italia dopo il caso del bambino di Padova trascinato via con la forza dalla madre in esecuzione di una sentenza di affidamento esclusivo al papà (vedi video a fondo pagina). Stiamo parlando della Pas, la Sindrome di Alienazione Parentale, la cui esistenza, a 27 anni dalla sua prima 'descrizione', pur non essendo mai stata confermata dalla scienza è tuttavia sempre più diagnosticata, in particolare proprio nelle cause più complesse di divorzio con minori, quando si tratta di contendersi l'affidamento dei figli in tribunale.
 
La Pas, sempre seguendo la descrizione dei suoi sostenitori, si manifesterebbe nei minori sottoposti a pressioni da parte di uno dei due genitori (ma in particolare più della madre che del padre) volte a mettere in cattiva luce l'altro genitore. Una vera e propria sorta di lavaggio del cervello che porterebbe i figli, a provare astio e disprezzo ingiustificato nei confronti di uno dei due genitori. Ed è proprio sulla base di questa presunta patologia che i giudici di Padova avevano deciso di allontanare quel bambino dalla madre.
 
A teorizzare la Pas per la prima volta fu, negli anni '80, lo psichiatra statunitense Richard Gardner, peraltro ritenuto dagli oppositori della Pas un apologeta  della pedofilia per avere dichiarato, in alcuni suoi libri, che ci sarebbe un po' di pedofilia in ciascuno di noi e sottolineato che, nella storia, la pedofilia è stata spesso considerata normale dalla maggior parte delle persone [Gardner, R.A. (1991). Sex Abuse Hysteria: Salem Witch Trials Revisited . Cresskill, NJ: Creative Therapeutics. (p. 118) e Gardner, R.A. (1992). True and False Accusations of Child Sex Abuse. Cresskill, NJ: Creative Therapeutics. (p. 592-3)].
 
Nell'attuale contesto, però, sotto accusa non è lo psichiatra, ma la malattia che ha teorizzato e che secondo molti non esiste. Si tratta al massimo di un'ipotesi ma non supportata da alcuno studio. Ma come stanno realmente le cose? Ne abbiamo parlato con Maria Serenella Pignotti, pediatra neonatologo presso il reparto di terapia intensiva dell’AOU Meyer di Firenze e medico legale, che recentemente ha scritto alla FNOMCeO per chiedere un intervento chiaro e deciso contro la Pas.


Dottoressa Pignotti, la sua lettera alla FNOMCeO risale a maggio, è quindi precedente al caso del bambino di Padova che ha invece acceso i riflettori dell’opinione pubblica sulle diagnosi di PAS. Questo significa che il problema, tra gli addetti ai lavori, era in realtà già esploso?
Come sempre accade, un caso che esplode nasconde in realtà dietro importante antefatti. La PAS è stata per la prima volta tirata in ballo oltre 20 anni fa, ma ad oggi non esiste di essa un quadro clinico codificato e la sua esistenza non è mai stata dimostrata. Su questo gli studiosi  dibattono da oltre 20 anni, anche in considerazione del sempre più diffuso uso che se ne fa in tribunale. Si tratta, peraltro, di un caso che credo che in Medicina non abbia uguali. Ci si è inventati una patologia ben codificata e applicata tassativamente nelle aule dei tribunali, che però non esiste in quelli che sono i contesti naturali delle patologie, cioè gli ospedali e negli ambulatori. È una patologia che usano i giudici, ma che non usano i medici. Un paradosso che va assolutamente contestato e risolto, per il bene anzitutto dei bambini, ma anche dei genitori che ne subiscono le conseguenze.

Nella sua esperienza, come si è scontrata con questa criticità?
Nell’ambito del mio lavoro, ho incontrato due madri a cui era stata diagnosticata la Sindrome PAS. Una diagnosi che io non potevo sostenere e, soprattutto, non avevo mai neanche sentito dire, che non esiste su nessuno dei nostri libri. La mia battaglia non è solo sociale, ma anche professionale, perché non posso accettare di sentire parlare senza alcun riferimento scientifico o dato epidemiologico di quadri patologici a prognosi infausta di cui sarebbero affetti il 30% dei bambini italiani e quindi delle loro madri.  Quella patologia non esiste e professionalmente ritengo obbligatorio che i medici lo dicano alla società. Ma non voglio riconoscerla neanche come cittadina, perché si tratta di una diagnosi che ostacola l'espletamento della Giustizia e letteralmente mette il bavaglio ai genitori, per lo più madri. Una volta infatti accusate di PAS, ogni azione che queste compiono in Tribunale, riferimento a polizia, servizi all'infanzia etc, aggrava la loro posizione, vengono ritenute “litigiose”, “violente”, “vendicative” etc, ed ogni loro azione a difesa di sé stesse e dei figli, dimostra sempre più  una forma grave di PAS. Lo stesso dicasi per i bambini, che una volta ritenuti affetti da questa “psicopatologia”, perdono (se mai lo hanno avuto) il diritto all'ascolto, sono creduti bugiardi, sleali, perfidi. È davvero una mostruosità.

Ma è proprio sicuro che questa patologia non esiste, o forse il suo riconoscimento è ancora a una fase embrionale e ha bisogno di tempo?
Una volta che mi sono scontrata con i fatti, ho iniziato a studiare la PAS, ad aggiornarmi, aspetto normale del nostro lavoro. Il fatto è che la PAS non c’è. Non esiste! Non si trova sui testi di Medicina universitaria, non si trova nella letteratura scientifica, non si trova nei motori di ricerca come PubMed, se non per pochi articoli in cui, peraltro, le tesi sono tutte dubitative.
Ci possono senz’altro essere nei genitori, e nei bambini, dei comportamenti anomali e non adeguati, e quelle che si chiamano, più propriamente, a mio parere, “difficoltà di contatto”, ma non si tratta di malattie. Un comportamento non corretto si risolve con i provvedimenti dei giudici. Le malattie si risolvono con un percorso di cura. Sono cose differenti e distinte. Sarebbe come codificare la Sindrome della Rapina a mano armata e definire malato chi la compie. Non si può escludere che dietro certi comportamenti non ci siano dei problemi di salute, ma la malattia non può certo essere la rapina a mano armata in sé. Confondere le due cose è pericoloso, perché definendo un atteggiamento malattia, lo si rende “inviolabile e incontestabile”, perché normalmente basato su prove scientifiche. Ed i Giudici prendono atto di questa malattia, senza cercare i fatti e la verità che tali comportamenti possono nascondere. Questo può avere conseguenze molto gravi, come nei conflitti di coppia dove si rischia di perdere la possibilità di vedere e curare un figlio. La domanda è: dove sono le prove scientifiche della sindrome Pas? La dimostrazione che non si tratta di una malattia sta, peraltro, nel fatto stesso che in tribunale a fare queste diagnosi non sono solo i medici, o psicologi - per quanto loro consentito dalla qualifica - ma anche assistenti sociali o avvocati, e nel fatto che non esiste malattia che si curi con un provvedimento del Giudice, magari! Le malattie si curano con medicine e trattamenti validati. I provvedimenti del Giudice “curano” e “prevengono” i reati, non le malattie.

Però le violenze in famiglia esistono.
Certamente, e bisogna intervenire per fermarle. Ma non sono queste, e questo è un discorso diverso: mi creda, non c’è “lavaggio del cervello” da parte di una madre che possa riuscire a rovinare il rapporto tra padre e figlio se questo rapporto è davvero sano e buono e forte. Certamente ci può essere da parte di un genitore il tentativo di influenzare il figlio contro l’altro genitore, perché il divorzio avviene spesso in contesti di rabbia interna alla coppia. Sono comportamenti errati, che possono creare difficoltà di contatto tra i bambini e i genitori, e su cui occorre intervenire, ma non si tratta di malattie né esiste prova che tali comportamenti di un genitore, per quanto scorretti verso l'affettività del bambino, riescano a produrre “lavaggio del cervello” ed a strappare quel bambino all'affetto dell'altro genitore. Tali tentativi, ribadisco, spesso finiscono nel nulla, perché l'amore di un bambino per i genitori è fortissimo e non ci sarà bambino che smetterà di volere bene al padre perché glielo dice la madre, anzi, sarà verso questa che mostrerà la sua aggressività.

Quali sono i rischi di questo uso inappropriato della diagnosi PAS?
La completa alterazione del corso della Giustizia, con gravissime ripercussioni soprattutto sul tremendo capitolo della violenza intrafamiliare, che spesso continua e si perpetua dopo il divorzio proprio attraverso questi meccanismi. Ma si rischia anche di scatenare davvero dei gravi conflitti all’interno del nucleo familiare, anziché percorrere la strada del ragionamento e della ricerca della verità, che è quella che fa meglio al bambino e a tutti i componenti della famiglia, di conseguenza alla società.
Il rischio è di negare al bambino il diritto ad essere ascoltato, a prediligere una figura genitoriale di cui, in quel momento, invece, ha bisogno e desiderio di avere accanto, anche se non sempre lo rivelerà perché spaventato e imbavagliato da quello che avvocati, sentenze e consulenti vogliono imporgli con la forza, alterando per sempre anche il recupero del rapporto con l’altro genitore.
C’è inoltre il rischio di farla passare liscia ai genitori davvero violenti o abusanti, là dove l’astio del figlio viene erroneamente attribuito alla manipolazione di uno dei genitori senza accorgersi che deriva realmente da fatti dolorosi imposti a lui da quel genitore o alla mamma ed a cui il bambino ha assistito. Addirittura si rischia di mettere in mano i figli a padri pedofili, affermando che le accuse del bimbo e della madre sono false e derivanti dalla PAS.
Il vero obiettivo deve essere scoprire la verità e aiutare i genitori maltrattanti a smettere di esserlo. Ma questo non è possibile se si continua a strumentalizzare l’inesistente patologia dell’Alienazione Parentale. I bambini vanno ascoltati. Solo così può emergere la verità e si possono prendere i provvedimenti giusti, che può essere quello di permettere al bambino di stare con tutti e due i genitori come quello di tenerlo più a distanza da uno dei due, se ciò provoca disagio o altro danno. Ma queste decisioni devono avvenire sulla base dei reali bisogni del bambino e dei comportamenti dei genitori e non di diagnosi inventate e usate da avvocati per far vincere la causa all’uno o all’altro dei genitori.

Perché ha scritto alla FNOMCeO?
Per sensibilizzare i medici sulla questione, e per incoraggiare a mantenere atteggiamenti rispettosi della deontologia. I medici, nella grandissima maggioranza, non sanno niente di questa situazione paradossale. In altri, pochi casi, hanno abbracciato tale diagnosi come se avesse base scientifica, scordando i dettami della medicina delle evidenze. Purtroppo non sono pochi i colleghi che hanno fatto delle aule dei tribunali il loro posto di lavoro e collaborano regolarmente con gli avvocati facendo, purtroppo sempre più spesso, diagnosi superficiali e addirittura fantasiose. Quella della PAS è anche una questione medica: non possiamo inventarci le malattie e non possiamo abusare del nostro ruolo.

Che risposta ha ricevuto dalla FNOMCeO?
La questione è all’attenzione della Commissione Deontologica della Fnomceo. Sul tema è già intervenuto il presidente della Società Italiana di Psichiatria, con un parere nettamente negativo sulla esistenza di tale "psicopatologia" in capo alle madri e ai bambini e con giudizi severi sull’operato di molti CTU.
L’auspicio è che la FNOMCeO arrivi presto a un richiamo ufficiale, attraverso un documento scritto, come già avvenuto in altri Paesi europei.

Lucia Conti
 

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