quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Mercoledì 27 MARZO 2024
Costruire il senso di comunità



Gentile direttore,
curiosamente, come evidenziava Claudia Zamin nella sua lettera Quando il senso di appartenenza alla comunità vacilla, in Lombardia è adottata la dizione Casa “DI” Comunità e non, come chiaramente indicato dal PNRR e dal DM 77, Casa “DELLA” Comunità. Va ricordato che non è nuova l’adozione di peculiarità lessicali ambrosiane per indicare i servizi sanitari lombardi: ad esempio, vennero coniate le denominazioni di PreSST, Presidio Socio Sanitario Territoriale, anziché Casa della Salute e di POT, Presidio Ospedaliero Territoriale, anziché Ospedale di Comunità. Quale sia la motivazione di queste originalità terminologiche non è chiaro: certamente non si favorisce la comprensione, né la possibilità di confronti coerenti; inoltre non risulta lineare l’adeguamento ai criteri di riferimento nazionali: se è un POT non è necessario adeguarsi ai criteri normativi nazionali perché non è un Ospedale di Comunità, benché sia simile.

Ma, perché una struttura territoriale di servizi per la salute dovrebbe chiamarsi casa e perché “DI” o “DELLA” comunità? La definizione introdotta dal PNRR di Casa della Comunità, andando a sviluppare e perfezionare la precedente definizione Casa della Salute, evoca chiaramente la necessità di un cambio di paradigma: da sanità a salute, da prestazione a prendersi cura, da accentramento a decentramento, da economia di scala a partecipazione. Un cambio di paradigma da maturare da un lato attraverso il percorso della territorializzazione dei servizi per la salute nelle comunità locali e, dall’altro lato, attraverso una nuova visione nell’immaginario collettivo. Su questo secondo aspetto vorrei fare un affondo avvalendomi e riproponendo, in sintesi, le analisi e le proposte esposte nel volume Abitare la Prossimità.

L’autore, Ezio Manzini, evidenzia che mentre le società pre-moderne erano necessariamente costruite sulla prossimità (nel borgo dovevi obbligatoriamente trovare tutte le risposte necessarie a soddisfare i bisogni fondamentali), nel secolo scorso, in nome dell’igiene e dell’efficienza, i nostri luoghi di vita sono stati organizzati per rendere possibile vivere senza essere vicini. Tale impostazione, accanto alle implicazioni ecologiche, sociali, culturali e politiche (pendolarismo, traffico, inquinamento, solitudine, malessere sociale, …accentramento delle risposte in centri specializzati con lo sviluppo di “quartieri dormitorio”) ha favorito l’isolamento dei singoli.

Oggi però le tecnologie e le capacità progettuali-organizzative di cui disponiamo possono e devono essere utilizzate per dare alle persone l’opportunità di vivere sane in prossimità. Una prossimità, densa, diversificata e, considerata l’attuale possibilità di mantenersi connessi online, ibrida. Una prossimità -quindi oggi possibile, ma da progettare- dove tutto ciò di cui si ha bisogno nella vita di tutti i giorni sia a pochi minuti a piedi: quindi meno traffico, meno CO2, meno stress, più tempo e opportunità; una società dove sia possibile-probabile che le persone si incontrino, inizino conversazioni, decidano di programmare qualcosa insieme. Prossimità come più empatia, più socialità, più integrazione sociale, più senso di vicinanza. E per la salute? Meno inquinamento e più servizi territorializzati.

In tal senso il lavoro di Manzini mostra esperienze già in atto -da imitare e diffondere- che producono senso della comunità.

Ad esempio, nell’area milanese, mostra progetti concreti realizzati a livello molecolare: un gruppo di cittadini che collaborano per prendersi cura del quartiere; una piazza davanti alla scuola trasformata in spazio pubblico a misura di bambino e la scuola aperta sul quartiere come centro di rigenerazione sociale urbana; l’organizzazione spontanea di colazioni di quartiere in strada; spazi di co-working in centri sociali di prossimità; un bar e un’edicola come portinerie sociali di quartiere-comunità; la biblioteca di quartiere come piattaforma per attività artistiche culturali; gli uffici municipali come chioschi multifunzionali per cittadini; gli sportelli dei servizi sociali come centri di nuove comunità di cura; i servizi pubblici collaborativi, in cui i cittadini non sono (solo) utenti ma (anche) attori partecipi e collaborativi. E ancora, rigenerazione del mercato rionale che diventa centro culturale, sede della radio di quartiere e luogo di attività distaccate dell’università.

A livello urbano Manzini riporta invece l’esempio delle Superilles di Barcellona: microaree a traffico limitato, dotate di tutti i servizi di base, dove le strade da infrastruttura per la mobilità diventano spazi pubblici, riconsegnate ai cittadini per diventare piattaforme di opportunità per diversi progetti.

E sull’impostazione urbanistica delle Superilles di Barcellona si innesta il progetto delle Superilles Sociali: team di circa 12 professionisti a tempo pieno che lavorano prendendosi cura dei 40-60 assistiti raggiungibili nell’arco di due o tre minuti a partire dalla base logistica, rendendo la presa in cura il più possibile personalizzata, flessibile, contestualizzata. Non solo: sulla base dell’esperienza delle Superilles Sociali è stato delineato un altro più ambizioso programma denominato Superilles Integrali: l’idea è di estendere l’approccio territoriale dei servizi domiciliari a tutti i servizi attinenti alla vita dei cittadini ed articolarlo in tre ulteri direzioni: promuovere e sostenere la costruzione di comunità locali; operare sugli spazi pubblici per realizzare una città amichevole per tutti (in particolare per bambini e anziani); trasformare-integrare le abitazioni esistenti in modo da renderle adatte alla nuova struttura demografica e ai nuovi bisogni della città. A ciò si aggiungono altre due linee d’azione: quella dell’ecologia della città con le Superilles che diventano anche unità ecologiche, su cui costruire una città sostenibile resiliente, e quella della democrazia, con Superilles, e le comunità che in esse vivono, come agenti di una rinnovata democrazia partecipativa.

Fulvio Lonati
Associazione APRIRE – Assistenza Primaria In Rete – Salute a Km 0, aderente all’Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in Italia

© RIPRODUZIONE RISERVATA