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Giovedì 16 MAGGIO 2024
La crisi paneuropea della professione medica

Davanti a questa crisi professionale paneuropea, non è possibile neanche immaginare una soluzione di sola natura economica. La crisi coinvolge anche paesi come la Germania che investe oltre il 12% del suo Pil nel settore sanitario (quasi 4000mld/anno) o l’Olanda che vede i suoi professionisti tra i miglior stipendiati d’Europa. Forse è la garanzia di un lavoro sostenibile per chi lo esercita l’aspetto da cui è necessario ripartire. È necessario, insomma, più Sindacato

Il 10 e 11 Maggio, a Berlino, l’Anaao Assomed ha partecipato, come una delle delegazioni italiane, all’Assemblea generale congiunta della Federation Europeenne des Medecines salariees (FEMS) e della Association Europèenne des Medecins des Hopitaux (AEMH).

I lavori hanno visto sindacati e associazioni ordinistiche provenienti da circa 20 paesi europei confrontarsi e discutere sulla crisi generalizzata dei sistemi sanitari pubblici e dei professionisti che lavorano al loro interno delineando un quadro di quello che sarà il futuro prossimo della professione medica in Europa.

Stiamo assistendo a un movimento transnazionale di forza lavoro, dai paesi a basso reddito verso paesi che garantiscono migliori remunerazioni e, all’interno di una stessa nazione, dal lavoro dipendente all’interno degli ospedali a lavoro salariato per attività ambulatoriali, se non a quello privato tout court.

La Polonia sta arruolando medici dalla Bielorussia e dall’Ucraina che accettano di essere demansionati, rispetto alla loro specializzazione originaria (non riconosciuta perché ottenuta al di fuori della UE) in cambio di una retribuzione quattro volte maggiore di quella del loro paese originario. Allo stesso tempo, la Germania accoglie medici provenienti dall’estero, principalmente da Siria e Turchia, che ingrossano l’esercito dei 63000 medici laureatisi al di fuori dei propri confini, cui riconosce il titolo formativo per poter esercitare dopo una attenta e lunga valutazione, anche perché vede i propri professionisti emigrare nella misura di diverse migliaia ogni anno.

In questo travaso di forza lavoro transfrontaliero, cui partecipa anche l’Italia, persino la Svizzera lamenta l’inizio di una carenza di personale medico determinata dal fatto che, nonostante le elevate retribuzioni, i medici stanno decidendo di lasciare il settore pubblico per il privato, alla ricerca di un lavoro (ancora) più redditizio e, soprattutto, meno faticoso.

Questo movimento di professionisti può divenire il presupposto per:
- un peggioramento del livello di formazione della classe medica che al momento segue rigorosi criteri di accreditamento UE ma può vedere modificati gli standard di educazione, sia con l’arrivo di professionisti extra UE sia per una crescita disordinata, e al di fuori dei requisiti di accreditamento, delle Facoltà mediche.
- una perdita delle ultra specializzazioni e delle competenze ultra specialistiche, soprattutto in campo chirurgico, per la scelta di abbandonare l’ospedale per il territorio (con la conseguente impossibilità a esercitare alcune attività) e per il movimento transfrontaliero che vede i professionisti accontentarsi anche di profili meno prestigiosi pur di guadagnare meglio
- la perdita del ruolo delle associazioni mediche e dei sindacati di categoria per una frantumazione del lavoro pubblico versus privato e della identità, anche nazionale, del medico.

I sindacati medici in Slovenia portano avanti da tre mesi uno sciopero delle attività extraorario nella indifferenza delle forze di governo.

A questi elementi, si aggiungono altri due fattori comuni in Europa: la femminilizzazione della classe medica e la crisi generazionale di vocazione.

In tutti i paesi europei, le donne medico rappresentano la maggioranza della forza lavoro in Sanità e lamentano il perdurare di un gender pay gap, stimato nella misura del 20%, come dimostrato dall’interessante report della OMS del 2022 https://www.who.int/publications/i/item/9789240052895, e la difficoltà dei percorsi di carriera nella professione e di conciliazione con i tempi di vita.

Dall’altra parte, le nuove generazioni non sono interessate alla professione medica come attualmente esercitata.

I colleghi olandesi hanno condotto una survey sul livello di soddisfazione professionale tra i medici dalla quale è emerso che, mentre, i senior doctors assegnano un alto punteggio di soddisfazione alla loro professione, gli junior doctors (specializzandi) sono insoddisfatti, soprattutto della mancata conciliazione dei tempi casa-lavoro - work life balance - e del numero di ore da dedicare alla attività lavorativa. È alto il numero di giovani colleghi che, al termine della specialità, decide già di lasciare la professione.

I cambiamenti generazionali sono interessanti anche nelle dinamiche di relazione all’interno degli ospedali.

In Svizzera, è stata condotta una ricerca che ha dimostrato come i giovani medici, per lavorare serenamente sul posto di lavoro, ricerchino gratificazioni e riconoscimenti costanti così come retribuzioni più alte sin dall’inizio della loro carriera.

Molti governi Europei si preoccupano più di formare nuovi medici che di mantenere e fidelizzare chi è già in servizio, migliorando le condizioni del loro lavoro.

Non stiamo parlando solo della proposta tutta italiana – visto che la Francia sta discutendo proprio in questo periodo una revisione del tanto decantato modello alla francese - di togliere, ma solo per i primi 6 mesi, il numero chiuso alla Facoltà di Medicina, ma dell’esempio polacco che ha visto un fiorire di facoltà di Medicina (14 solo nell’ultimo anno), a volte senza adeguati spazi formativi o personale docente, giustificato solo dall’introito economico delle tasse di iscrizione.

Davanti a questa crisi professionale paneuropea, non è possibile neanche immaginare una soluzione di sola natura economica. La crisi coinvolge anche paesi come la Germania che investe oltre il 12% del suo PIL nel settore sanitario (quasi 4000mld/anno) o l’Olanda che vede i suoi professionisti tra i miglior stipendiati d’Europa.

In Portogallo, alcuni sindacati di categoria medica, non hanno firmato il rinnovo del contratto collettivo di lavoro perché, nonostante comportasse un notevole incremento nelle remunerazioni, non garantiva condizioni di lavoro certe e tutelanti della salute dei lavoratori medici.

Forse è proprio questo l’aspetto da cui è necessario ripartire per recuperare l’appeal di una professione che è base fondante della salute e della economia di una nazione: la garanzia di un lavoro sostenibile per chi lo esercita.

È necessario allora:
- rivedere la Direttiva Europea dell’orario di lavoro (88/2003), vecchia ormai di 21 anni e mai adeguatamente applicata, soprattutto sul tema del godimento dei tempi di riposo e delle ferie;
- riconoscere l’impatto sulla salute dei lavoratori causato dallo stress lavoro collegato e dall’alterazione dei ritmi circadiani del lavoro notturno;
rinforzare il ruolo sociale del medico, la cui educazione e formazione richiede tempo, pratica e costanza e non si può ridurre a una mera acquisizione di CFU;
- avere una visione sistemica e di lungo respiro prima che i medici si estinguano al pari dei Dodo;
- ridurre le notevoli differenze tra i livelli retributivi attuali.

È necessario, insomma, più Sindacato.

Alessandra Spedicato, Costantino Troise e Domenico Iscaro
Delegazione Anaao Assomed-Fems

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