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Mercoledì 09 APRILE 2025
L’aziendalismo rompe l’alleanza tra società e sanità

Questa società ha capito, sulla sua pelle, che fino a quando gli operatori serviranno le aziende diventando loro malgrado i servitori o gli esecutori di un obbligo alla appropriatezza  pensato per i bilanci delle aziende ma non per soddisfare i bisogni dei malati essi non potranno essere più gli alleati  di sempre. Oggi siamo ormai al teatro dell’assurdo dove i medici sulla strada del tramonto stanno, semplicemente aspettando Godot.

Mi ha colpito per diverse ragioni l’articolo di Franco CosmiLa scelta condivisa per un effettivo governo clinico dell‘appropriatezza delle prestazioni e della organizzazione”:

Tutto questo per me descrive benissimo la trappola nella quale siamo caduti e della quale evidentemente nessuno Cosmi per primo, ha coscienza.

Un compromesso di merda
Il termine "appropriatezza" è un termine che come sanno bene i miei lettori, personalmente non ho mai digerito e che è intrinsecamente contraddittorio perché esso indica allo stesso tempo:

Quindi l’appropriatezza non è altri che il tentativo dell’azienda di mediare cioè di trovare un compromesso tra le necessità del malato e le necessità gestionali.

Ma per me semplicemente ammettere la necessità di un compromesso del genere vale come un siluro lanciato contro il diritto fondamentale alla salute. E’ come dichiarare che il diritto alla salute non è più fondamentale, quindi non viene più prima di ogni altro interesse e che, esso, debba essere “contemperato” (uso il termine usato dalla Corte costituzionale) cioè bilanciato con le risorse disponibili, e quindi, dare la stura a tutte le politiche di compatibilità possibili che consentono questo contemperamento.

Imporre un modo sbagliato di essere medicina
Cioè per me il diritto alla salute non è possibile che venga dopo l’azienda. Se viene dopo l’azienda è perché esso non è più fondamentale. E questo a me non va bene.

La questione quindi non è il rapporto tra un diritto e limiti economici che secondo me nelle realtà finanziarie date è giusto porsi cioè è realistico e responsabile dal momento che le risorse disponibili non sono infinite, ma è l’imposizione alla medicina di un modo sbagliato di essere, imposizione che, alla fine, danneggia l’integrità del diritto come diritto fondamentale.

Non è il principio dell’economicità imposta al medico e al malato ad essere sbagliato. E’ giusto non sprecare le risorse ma non è giusto che per non sprecare le risorse io danneggi l’autonomia scientifica della medicina quindi del medico, quindi, secondo la regola transitiva, alla fine danneggi il malato.

Il principio di appropriatezza dell’azienda è integralmente imperniato sul principio della compatibilità tra diritti e risorse da cui a cascata derivano tutte le forzature aziendaliste e ed economicistiche considerando questo modo (esattamente come sostiene Cosmi) come l’unico possibile.

Il problema è l’azienda
Non è vero quello che scrive Cosmi che alla appropriatezza non ci sono alternative. Se si resta nella logica aziendale è chiaro che essa non ha alternative, ma si esce dall’azienda, le alternative ci sono, eccome. Ho già dimostrato che è possibile conservare la natura di diritto fondamentale senza per questo sbracare nel compatibilismo. Ho già dimostrato per esempio che la compossibilità e non la compatibilità può risolvere la questione del limite delle risorse senza per questo azzoppare il diritto fondamentale e meno che mai azzoppare l’autonomia professionale dei medici che per le complessità dei malati è la prima risorsa.

Rendere compatibile, quindi appropriato, un diritto fondamentale è possibile solo se di decide che esso non è più fondamentale ma potestativo, cioè affidato alla discrezione del direttore generale dell’azienda e al proceduralismo.

A Cosmi, ma non solo a lui, ma a tutti i medici, non passa per la testa che il problema è l’azienda, cioè che l’azienda voluta fortissimamente dalla sinistra di governo, è stata il più significativo attentato neoliberista sia ai diritti delle persone che ai diritti delle professioni.

Azienda e deontologia
Tutto il sindacalismo medico è a parole contro le aziende (suppongo anche il sindacato a cui appartiene Cosmi), ma a nessuno sindacato è venuto in mente di chiedere, come da me proposto, da tempo l’abrogazione della 502, semplicemente perché l’azienda è in aperto conflitto con la deontologia corrente.

Nessun sindacato ha obiettato alla azienda la netta contraddizione che esiste tra la sua logica economicista e la deontologia. Al contrario tutti i sindacati si sono bevuti l’azienda senza proferire una sola parola. Alla faccia della loro deontologia.

Vorrei ricordare che l’appropriatezza prescrittiva è stata normata dal decreto legislativo 229/99, noto anche come Riforma Bindi, che ha introdotto nel sistema sanitario nazionale (SSN) non solo criteri per valutare l'appropriatezza delle prestazioni ma ha imposto ai medici l’appropriatezza come obbligo (Art. 15-decies)

Obbligo rispetto al quale tutti i medici si sono semplicemente “appecorati” senza rendersi conto di tirarsi come professione la zappa sui piedi.

Nel momento in cui l’appropriatezza è diventata un obbligo tutti i codici deontologici l’hanno fatta propria. Una follia.

Appropriatezza e deontologia
Ma che medico è quelli che accetta l’obbligo di non essere medico, perchè con le aziende di questo si tratta, e accetta l’appropriatezza delle aziende? E’ chiaro che se i medici sono obbligati alla appropriatezza allora, l’art 4 del loro codice deontologico (Libertà e indipendenza della professione. Autonomia e responsabilità del medico),salta per aria. Cioè i medici con l’appropriatezza “devono”, loro malgrado, fare il contrario di ciò che è scritto nel loro codice deontologico, cioè devono sottostare “a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura”. (art 6) Cioè l’appropriatezza nega la deontologia.

Non è possibile parlo dei medici avere da una parte l’art 4 del codice deontologico che inneggia alla autonomia e dall’altra, nello stesso codice deontologico, avere l’art 6, nel quale si dice che il “medico fonda l’esercizio delle proprie competenze tecnico-professionali sui principi di efficacia e di appropriatezza” perseguendo “ l’uso ottimale delle risorse pubbliche e private”

Nello stesso tempo e nello stesso codice nell’art 30 si dice che il medico deve evitare “qualsiasi condizione di conflitto di interessi nella quale il comportamento professionale risulti subordinato a indebiti vantaggi economici o di altra natura”. Siamo davvero dentro uno stato confusionale.

Il pregiudizio neoliberista nei confronti del diritto
Quindi, dietro al termine appropriatezza, si nasconde il più potente attacco all’art 32 sferrato dal neoliberismo di sinistra e dalla sua tecnocrazia sanitaria (l’appropriatezza è una invenzione dei medici tecnocrati di sinistra dei quali io conosco nome e cognome) che in mancanza di un pensiero adeguato, alla faccia della sinistra, si sono genuflessi alla logica della compatibilità dell’azienda.

Un intervento è appropriato certamente se risponde ai criteri di efficacia, sicurezza ed efficienza come dicono i medici tecnocrati di sinistra ma soprattutto se risponde a criteri di economicità imposti dall’azienda. L'appropriatezza è una modalità inventata dai tecnocrati di sinistra che hanno voluto l’azienda non per curare meglio i propri malati ma per fronteggiare la loro cronica carenza di risorse, ottimizzandole e risparmiando sui costi

Una ridicola storiella
La storia, messa in giro dai medici tecnocrati di sinistra (penso in particolare ai proceduralisti quelli che una volta facendoli arrabbiare ho chiamato “lineaguidari”), che dice che il servizio sanitario è “appropriato” se viene erogato alla persona giusta, nel momento giusto, e dal professionista giusto, è una storiella che forse ai tempi delle usl, cioè ai tempi del diritto alla salute come diritto fondamentale, si poteva raccontare, ma non certo ai tempi delle aziende e ai tempi del diritto potestativo e dell’obbligo di appropriatezza.

I tecnocrati di sinistra, quelli che hanno costruito tecnicamente le controriforme del SSN, e che, ai tempi della controriforma Bindi, si pavoneggiavano come i maitre a penser del contro-riformismo, sono mendaci e in malafede. Il dubbio che viene è se essi ne sono consapevoli o no. Se sono inconsapevoli allora essi sono degli idioti e basta se non lo sono allora essi sono dei farabutti che giocano cinicamente con i diritti delle persone incuranti di quello che loro causano.

Morale e appropriatezza
Essere coerenti per un medico onesto con il valore dell’appropriatezza è difficile e quasi impossibile anzi è perfino paradossale cioè al limite della morale e dell’etica.

Ribadisco che l’appropriatezza oggi è normata in tutte le deontologie professionali. Non esiste un solo codice deontologico neanche quello appena fatto dalla Fopi che abbia a avuto il coraggio di avanzare una critica alla idea di appropriatezza nata con le aziende. Tutti i codici deontologici in particolare quelli delle professioni più a contatto diretto con i malati (medici e gli infermieri) si sono bevuti l’appropriatezza delle aziende come se fosse acqua fresca. Senza sapere che per fare l’appropriatezza delle aziende significa, a parte subordinare il diritto alla cura alle risorse disponibili, ma soprattutto rinunciare a un pezzo di autonomia professionale quello che permette all‘operatore davvero di fare la cosa più adeguata non appropriata alla persona giusta e nel momento giusta. Ma sul paradosso dell’appropriatezza inadeguata rimando alla relativa bibliografia.

Quale alternativa?
Giusto per completare il ragionamento e non essere accusato di fare solo chiacchiere e rimandando faccio notare che se anziché avere delle aziende avessimo avuto per esempio dei consorzi e anziché calarci le brache davanti alle politiche di “compatibilità” avessimo applicato politiche di “compossibilità” i codici deontologici avrebbero dovuto rifiutare l’idea di appropriatezza perché essendo essa lesiva dell’art 32 diventava lesiva automaticamente della autonomia delle professioni.

Al contrario di ciò che è stato fatto, e che la Fnomceo sembra confermare anche dopo la kermesse sulla deontologia del 2022, i codici avrebbero dovuto delegare la gestione della compossibilità all’operatore quindi non dargli meno autonomia ma più autonomia e delegarlo in scienza e coscienza a decidere nella relazione terapeutica il rapporto tra diritti e risorse.

Ma questo, una azienda, per la sua natura intrinsecamente privatistica non lo farà mai . L’ azienda attraverso il controllo dell’ operatore quindi riducendo il suo grado di autonomia si garantisce la compatibilità. Ma quella compatibilità, ottenuta per mezzo della appropriatezza, è pagata a caro prezzo, prima di tutto dal malato che sarà curato secondo le necessità economiche dell’azienda e perché a causa del diritto potestativo il medico di fatto regala all’azienda un pezzo della sua autonomia

La rottura con l’art 32
Io sono convinto che l’appropriatezza sia una lesione importante alla relazione fiduciaria che dovrebbe legare il malato con l’operatore, cioè sia quasi un tradimento deontologico e che in questo tradimento vi sia la radice del crescente conflitto sociale che contrappone gli operatori alla società e che obbliga i giudici a convocare tutti i giorni i medici nei tribunali.

Non molto tempo fa ho denunciato “il buco nell’acqua” della Commissione D’Ippolito ormai finita per le sue evidenti contraddizioni e per le sue inconsistenze proposte su un binario morto. Un’altra occasione mancata.

Per me, come ho già detto altre volte, il conflitto sociale tra sanità e medicina nasce prima di tutto dalla rottura di una alleanza causata in primis proprio dalle aziende, dalle politiche di compatibilità dall’ obbligo dell’appropriatezza dalla riduzione del diritto fondamentale alla salute in diritto potestativo. Cioè dalla rottura fatta dalla sinistra di governo nei confronti dell’art 32 e che i dei medici hanno fatto proprio in modo a mio giudizio scriteriato.

Questo è l’errore politico più clamoroso che hanno fatto i medici e che li seppellirà come professione intellettuale.

Conclusione
Questa società ha capito, sulla sua pelle, che fino a quando gli operatori serviranno le aziende diventando loro malgrado i servitori o gli esecutori di un obbligo alla appropriatezza pensato per i bilanci delle aziende ma non per soddisfare i bisogni dei malati essi non potranno essere più gli alleati di sempre.

L’azienda rompe l’alleanza storica tra cittadini e operatori. Tra società e sanità. Oggi siamo ormai al teatro dell’assurdo dove i medici sulla strada del tramonto stanno, semplicemente aspettando Godot.

Alla domanda "Chi è Godot?" Beckett rispondeva: "Se l'avessi saputo l'avrei descritto nell'opera". Mi permetto di rispondere io: Godot nel nostro caso è il declino, la fine di ciò che si è stati, è l’incapacità di essere degni della propria storia. E’ la resa della nostra antica tradizione ippocratica al peggio.

Ivan Cavicchi

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