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Lunedì 08 APRILE 2013
Farmaci equivalenti. Assogenerici: "Sono una realtà. E Farmindustria dovrebbe accettarlo"

Nonostante i risparmi (400 milioni l'anno) per il Ssn il "generico" viene vissuto ancora come una malattia che mina il comparto farmaceutico. Il presidente dell'associazione dei farmaci equivalenti respinge le accuse e rilancia: "Eliminiamo il circolo vizioso del ticket legato al prezzo di riferimento". 

“E’ scoraggiante che ancora si dipinga il farmaco generico e chi lo produce come una sorta di malattia esogena che starebbe minando il comparto farmaceutico italiano”. Lo ha affermato Enrique Hausermann, presidente di Assogenerici, in riferimento a quanto dichiarato da Lucia Aleotti, vicepresidente di Farmindustria, alla III Conferenza  “Farmaci a brevetto scaduto: i problemi irrisolti e le soluzioni proposte”, organizzata dalla Società italiana di farmacologia. Un’iniziativa in cui si è discusso del processo legislativo che ha riguardato i farmaci equivalenti, sia dal punto di vista degli effetti positivi che per quanto concerne gli elementi di criticità. Aleotti aveva sottolineato che, “analizzando il mercato, i farmaci a brevetto scaduto rappresentano oggi il 91% delle confezioni vendute, delle quali il 63% è rappresentato dai farmaci di marca a brevetto scaduto e il restante 21% dai generici". 

In base alle stime fornite da Hauserrmann, le 50 aziende associate ad AssoGenerici danno lavoro in Italia a 10.000 persone e “affidano il 60% della produzione a contoterzisti italiani: non credo che tutti possano presentare dati analoghi. Riscontri che dimostrano come non siamo un corpo estraneo alla farmaceutica italiana, ma ne siamo oggi uno dei protagonisti. In Italia la quota dei medicinali equivalenti puri a fine 2012 toccava il 16% dei farmaci dispensati a carico del Ssn, ma rappresentando una spesa di poco superiore all’8% del totale e nell’ultimo quadriennio, grazie agli equivalenti, il Servizio sanitario ha risparmiato circa 400 milioni l’anno”.

Il presidente di Assogenerici attacca poi Farmindustria, sottolineando che “la loro risposta classica a queste cifre e alle timide misure di promozione del ricorso agli equivalenti, è che lo Stato risparmia comunque visto che viene rimborsato soltanto il prezzo di riferimento”. Per Hausermann si tratta però di un ragionamento “che non regge. Innanzitutto il prezzo di riferimento scende perché esiste il generico, per non parlare di ciò che si può o potrebbe risparmiare con la prescrizione dei biosimilari. Il secondo aspetto è che si sottovaluta che gli oltre 650 milioni all’anno, come indicano i dati Osmed del 2012, spesi dai cittadini per pagare la differenza tra branded e generico sono fondi sottratti all’economia delle famiglie e, alla fine, anche allo stesso finanziamento del Servizio sanitario attraverso il prelievo fiscale. Il risultato di questo circolo vizioso dovrebbe essere evidente anche a Farmindustria, visto che giustamente lamenta ritardi nell’introduzione nei prontuari regionali dei farmaci innovativi. Infine, sarebbe il caso di prendere atto che alla produzione di generici si sono da tempo accostate grandi aziende del farmaco di ricerca e altre stanno arrivando. Esiste quindi un generico – conclude - che nuoce al comparto e uno che invece non suscita preoccupazioni?”

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