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Giovedì 22 AGOSTO 2013
Donne e medicina. Un'esperienza sul territorio e oltre
La tendenza ad abitare eccentricamente le terre di confine, in una perenne asimmetria con il contesto e l'assumere posizioni non neutrali mi ha portato lontano dall'Ospedale. In un Consultorio della provincia siciliana. E lì ho imparato che la prescrizione del contraccettivo da parte di una cognata o di un'amica era più efficace della mia
Il dibattito su 'Donne, Medicina e Genere' mi ha turbato non poco. Non tanto perché non pratichi le questioni di genere - da consigliera comunale di Palermo me ne occupo da tempo - quanto perché mi ha fatto ripercorrere l'esperienza universitaria prima e poi quella di medico delle donne, arricchendola di senso e offrendomi una chiave di lettura "di genere" sulle scelte professionali compiute via via.
Ho sempre avuto la sensazione, senza però possederne la piena consapevolezza, di non avere una sguardo neutro e nemmeno neutrale quando, ad esempio, da studentessa in medicina, vidi morire nell'Astanteria del più grande Ospedale Siciliano una dodicenne violentata da un giovane zio e come, con mio immenso stupore, questo evento venisse digerito, senza alcuna riflessione, nel calderone della frenetica e disumana normalità quotidiana. E quando, in analogia a quanto ben descritto da Angela Grondona, una volta laureata, da ginecologa in formazione, misi a tacere la mia ribellione nei confronti di tecniche e procedure di assistenza alle donne che percepivo come inutili, spesso dannose e soprattutto violente.
Con grande autodisciplina e capacità mimetiche mi adeguai per sentirmi parte di un "sistema", per un po' insomma feci la "brava" (come se questo comportasse l'avere un premio che mai sarebbe arrivato perché c'era sempre un collega più brillante, più intraprendente, più abile agli occhi del primario, dell'aiuto, dell'assistente anziano, ovviamente tutti di "genere maschile"). Ero giovane e dovevo costruire il mio futuro. Molto per la necessità di trovare un lavoro e un po' anche per quell'inquietudine, per quel conflitto tra il mio sguardo di donna e ciò che in qualche modo ero costretta a praticare in Ospedale e in Clinica privata, provai con i Consultori.
I Consultori, servizi dov'è cominciata la mia maturazione e la mia autonomia professionale, hanno rappresentato per me uno spazio meno strutturato, a confronto con altre sensibilità professionali e, soprattutto, a diretto contatto con la strada. Ciò mi ha spinto sempre più ad esprimere finalmente e compiutamente il mio essere donna medico "per" e "delle" donne. Due Consultori di provincia aperti ex novo ed uno cittadino in un quartiere "difficile" sono il mio bagaglio di esperienza. Realtà differenti, necessità differenti, codici di comunicazione differenti.
Ed è qui che il tema dell'eccentricità della relazione di cura risuona in me in modo particolare. Ci dice Cavicchi "una relazione di cura è eccentrica (senza un centro) nel senso che in essa non esistono più criteri assoluti, unici o prioritari di riferimento come in genere sono le evidenze scientifiche ma una molteplicità di altri generi di evidenze. Oltre ai significati clinici esiste anche l'opinione del malato, il senso che lui attribuisce alla propria malattia, la personalità della persona, il suo contesto di vita."
Condivido pienamente ma penso anche che il contesto di vita della persona che abbiamo di fronte sia una delle cose più importanti da considerare nell'agire sanitario complesso e non neutrale, soprattutto se consideriamo le diseguaglianze sociali come "causa" di malattia perché negano pari opportunità di accesso al diritto alla salute, se ha ancora senso parlare di diritti. Ancora di più se parliamo di genere femminile, di donne nelle varie fasi di vita e in più con vite molto difficili.
L'eccentricità della relazione di cura in un Ospedale è molto diversa da quella di un Servizio Territoriale e ancor più differente se il Servizio si occupa delle donne. In un Consultorio della provincia siciliana il contesto di vita te lo raccontano le ragazzine che entrano in Consultorio di nascosto dalla porta di servizio. In un Consultorio di quartiere il contesto di vita è lì davanti ai tuoi occhi, lo vedi tutti i giorni nella strada che ti porta al lavoro, attraversando degrado e precarietà esistenziale. Ho imparato che la prescrizione del contraccettivo da parte di una cognata o di un'amica era più efficace della mia, impartita con un linguaggio "formale" seppure apparentemente empatico. Ho imparato ad accettare che l'assunzione di comportamenti adeguati per la salute da parte delle donne fosse frutto di un'interazione lunga e articolata nel tempo in cui anch'io a mia volta mettevo in discussione e adeguavo non solo il mio agire, non solo le mie competenze scientifiche, ma anche la mia visione del mondo e quindi anche la mia vita.
Pensavo, e se avessero ragione loro? Se la loro percezione, così intensa e istintuale della propria corporeità mostrasse una "molteplicità di altri generi di evidenze" (Cavicchi)? E quanto è stato importante, soprattutto dopo le mie gravidanze, portare, come dice Christa Wolf, l'integrità della mia "più elementare esperienza, quella associata al corpo e alla sessualità” dentro la relazione di cura?
Assumendo via via una posizione sempre più "alla pari" in una relazione di cura, "poli-eccentrica" per la presenza degli altri professionisti, si è ridotta quella discontinuità e quella frammentarietà nonché labilità con cui le persone dei territori più complessi si rapportano di solito alle istituzioni.
Dunque la medicina territoriale, per sua stessa connotazione, può favorire con maggiore immediatezza l'eccentricità non solo delle relazioni ma anche dei modelli e delle procedure che "vanno reinterpretati perché inevitabilmente si pone una questione di personalizzazione della cura" (Cavicchi). Ciò avrebbe come ricaduta la promozione e la costruzione di salute in una dimensione di empowerment collettivo.
Ma la medicina dei territori fortemente voluta dalle donne per le donne in una fertile stagione del nostro Paese, ha mai avuto diritto di cittadinanza davvero? Al di là delle dichiarazioni d'intenti, quale Governo ha puntato veramente su tale dimensione paradigmatica del fare Sanità? Una dimensione che ha assunto in sé tutta la complessità insita nelle persone e nella loro specificità di genere all'interno di un altrettanto specifico contesto sociale e relazionale e che ha così individuato percorsi di cura modulati, efficaci, poco costosi per la collettività e di forte impatto per il miglioramento delle qualità umane e professionali di chi opera in Sanità.
Piuttosto si è preferito scegliere una medicina che privilegiasse organi (neutri e omologhi), prestazioni, tecnologie ridondanti, costose e pervasive, fatturato, comportamenti stereotipati solo in apparenza confrontabili, aumentando costi, inseguendo la falsa appropriatezza, irrigidendo il sistema e rendendo più povere umanamente e professionalmente le figure che popolano il mondo della sanità, ingabbiate nella trappola ragionieristica imperante che non esito a definire, questa sì, di genere maschile!
Ma tornando alla riflessione sulla mia esperienza personale. La tendenza ad abitare eccentricamente le terre di confine, in una perenne asimmetria con il contesto e l'assumere posizioni non neutrali mi ha portato lontano dall'Ospedale, l'esperienza dei Consultori poi ha contribuito, come dicevo, a rendermi consapevole dell'importanza di uno sguardo sessuato e sessuale sulla realtà e proprio con questo sguardo ho continuato a vivere le altre esperienze come quella dentro il Consiglio Comunale, luogo ancora più impervio per il genere femminile, malgrado le agende politico-istituzionali annuncino continuamente la buona novella del riequilibrio della rappresentanza di genere, senza mai creare presupposti per praticarla realmente in maniera sostanziale e non formale.
Sono d'accordo con Sandra Morano sulla necessità di puntare sulle donne più giovani, nella professione medica come nella politica, ma con due precauzioni.
La prima: aver ben presente che proprio perché anch'esse sono "pervase dal modello di neutralità" non hanno percezione della loro differenza e vedono nella denuncia di noi adulte un ostacolo al loro cammino in un mondo in cui ritengono che il problema della parità di genere non esista più e sia solo un fantasma del nostro passato.
La seconda: stabilire anche con esse relazioni "eccentriche", le uniche utili ed efficaci per produrre confronto paritario, scambio di esperienze e cambiamento
Antonella Monastra
Ginecologa e Consigliera Comunale, Palermo
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