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Giovedì 05 SETTEMBRE 2013
Cardiologia. ESC 2013. Un nuovo marker "salva vita" per la sindrome coronarica acuta 

L'hanno messo a punto gli scienziati della Charité di Berlino ed è stato presentato al congresso europeo di Amsterdam. Si basa sull'uso di copeptina associata alla troponina e sembra essere in grado di riconoscere la patologia anche con sintomi ancora incerti e quando i primi test risultano negativi.  Aumentando la sicurezza della diagnosi e riducendo gli sprechi.

Riconoscere presto un caso di sindrome coronarica acuta (ACS) può salvare la vita. Per questo avere dei marker affidabili è cruciale. Oggi, uno studio condotto da medici dell’Università di Charité di Berlino, dimostra come tramite l’uso di copeptina in associazione  troponina, come biomarcatore per l’ACS, garantisca una migliore e più veloce diagnosi per l’infarto acuto del miocardio. I risultati del trial sono stati presentati nel corso del Congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC 2013), che si sta svolgendo ad Amsterdam.
 
Quando si tratta la sindrome coronarica acuta, la difficoltà è proprio quella della diagnosi: la condizione ha dei sintomi molto comuni (sintomi che solo nel 15% dei casi coincidono con un effettivo infarto del miocardio), e diversi pazienti non mostrano alcuna alterazione né attraverso l’esame con l’elettrocardiogramma né con il classico marker, la troponina. Senza contare tutti quei pazienti tenuti in osservazione per paura di questa condizione, quando non ce ne sarebbe motivo. Il nuovo metodo testato dal gruppo tedesco, invece, associa alla troponina un'altra molecola che funziona come biomarcatore, la copeptina. “Una strategia che potrebbe cambiare la pratica clinica, con una grande sicurezza per i pazienti”, ha spiegato Martin Möckel, primo autore dello studio. “Il nostro infatti è il primo trial che tenta di comprendere se è sicuro dimettere un paziente che sia risultato negativo sia per la troponina che per la copeptina. Con questa strategia, un numero maggiore di persone potrebbe essere mandato a casa evitando trattamenti non necessari e risparmiando le risorse, per usarle nei casi in cui sono veramente utili. Così il beneficio è sia per i pazienti che per il sistema sanitario in generale”.
 
Alti livelli di copeptina sono infatti presenti in chi presenta un infarto acuto del miocardio. Per dimostrare l’efficacia come biomarker in associazione alla troponina, nello studio multicentrico randomizzato controllato sono stati arruolati 902 pazienti che risultavano negativi a quest’ultimo marcatore. Nel braccio sperimentale del trial 451 pazienti risultati negativi anche al test con la copeptina (ovvero che presentavano livelli di presenza della molecola nel sangue minori di 10 pmol/L) venivano dimessi, e lasciati alle cure ambulatoriali, mentre gli altri venivano trattati secondo le linee guida in vigore. Gli altri 451 pazienti nel gruppo di controllo venivano invece direttamente trattati con lo standard di cura.
Così gli scienziati hanno dimostrato che se al follow up di 30 giorni i due gruppi sono arrivati con tassi simili di eventi cardiovascolari avversi, i pazienti nel gruppo sperimentale venivano dimessi subito molto più spesso che nel braccio di controllo (66% dei casi, contro il 12%).
Per questo, gli scienziati sono sicuri che “se i test dei due biomarcatori sono negativi e il quadro clinico è consistente con questo dato, decidere di dimettere il paziente è una decisione sicura per la sua salute”. In altre parole, spiega ancora Möckel, “le situazioni in cui avere una cautela maggiore, anche con i due test negativi, sono solo quelle in cui c’è una storia precedente o una familiarità con la sindrome coronarica, o in cui i sintomi si sono ripetuti spesso nel tempo”.
 
Lo studio è stato realizzato grazie al sostegno dell'azienda Thermo Fisher.

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