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20 OTTOBRE 2013
Sfruttamento. Nel mondo 12 mln di vittime. In Italia hanno chiesto aiuto in 65 mila in 10 anni
Circa 24 mila i contatti registrati nel solo 2012 dalle unità italiane che operano in strada; 2.936 dalle unità di contatto indoor. Nel 90% dei casi si tratta di donne. Si sfrutta soprattutto nella prostituzione, dove 7 clienti su 10 pagano di più per rapporti sessuali non protetti. I dati nel rapporto Caritas e Cnca.
Un fenomeno sempre più complesso, ma sempre più “normalizzato”. Stiamo parlando dello sfruttamento delle persone, un dramma che registra oltre 12 mln di vittime nel mondo, ma ben noto anche in Italia. Come emerge dal rapporto “Punto e a capo sulla tratta” presentato oggi a Roma -in occasione della Giornata europea contro la tratta di persone –dalla Caritas Italiana e dal Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA), in collaborazione con il Gruppo Abele e l’Associazione On the Road.
La ricerca ricostruisce l’evoluzione del fenomeno della tratta di persone così come si è sviluppato in Italia dalla fine degli anni ‘90 a oggi e analizza il funzionamento del sistema di protezione sociale rivolto alle vittime. Sono stati coinvolti nell’indagine 156 enti, di cui 148 privati e 8 pubblici per la ricerca quantitativa (94 operano nel Nord Italia, 30 nel Centro e 32 nel Sud e Isole) e 133 per i dati qualitativi, tra cui molti enti pubblici. inoltre, sono stati sentiti 199 operatori a vario titolo impegnati nel settore anti-tratta. Nel complesso, quindi, un campione rappresentativo degli enti attualmente attivi sul territorio nazionale. Anche se lo sfruttamento resta un fenomeno ampiamente sommerso, considerato che in Italia, i dati ufficiali sulle vittime di tratta riguardano solamente quelle identificate e assistite dai progetti di protezione sociale.
Dal 1999 al 2012 i servizi di aiuto alle vittime sono entrati in contatto con oltre 65.000 persone; di queste, ben 21.378 hanno deciso di entrare in un programma di protezione e assistenza sociale. Nel corso del solo 2012, attraverso le unità di strada, gli enti partecipanti alla ricerca hanno effettuato 23.878 contatti, di cui 21.491 con donne e ragazze, 781 con uomini e ragazzi e 1.606 con persone transgender. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di persone sfruttate nella prostituzione e, in misura minore, in agricoltura e nell’accattonaggio. Le unità di contatto indoor, numericamente molto inferiori a quelle che operano in strada, hanno invece effettuato 2.936 contatti, di cui 2.617 con donne, 29 con uomini e 290 con persone transgender. Rispetto alla distribuzione territoriale, il 61% di persone contattate si trovava al Nord, il 25% al Centro e il 14% al Sud e nelle Isole. Per quanto riguarda l’età, continuano ad essere soprattutto le giovani tra i 18 e i 25 anni (più del 50%) ad essere sfruttate nel mercato della prostituzione.
I paesi di origine principali delle persone trafficate assistite dagli enti sono la Nigeria e la Romania, in costante crescita invece il Brasile, il Marocco, la Cina, si registra infine il ritorno dell’Albania. È qui importante ricordare che tali dati riflettono due elementi importanti: primo, gli enti offrono i propri servizi principalmente a vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale; secondo, gli enti anti-tratta sono numericamente più presenti nelle regioni del Nord Italia.
Aggravati dalla perdurante crisi economica globale, i principali fattori che spingono le persone a migrare e, in alcuni casi, a cadere vittima di tratta, continuano ad essere principalmente la povertà, la disoccupazione, le discriminazioni di genere ed etniche, le inadeguate politiche di welfare e di sviluppo, le fallimentari o assenti politiche migratorie, i conflitti regionali, il desiderio di emancipazione economica, sociale e culturale, la domanda di forza lavoro non specializzata necessaria a sostenere i cicli produttivi sempre più competitivi della globalizzazione economica. Nella maggior parte dei casi, il percorso migratorio inizia con la scelta volontaria della persona migrante di espatriare, più raramente la partenza è frutto di un atto coercitivo. Il debito contratto con persone terze per avere la possibilità di lasciare il proprio paese diventa un fattore di vulnerabilità decisivo per chi emigra. Sono cambiati l’organizzazione delle reti e dei singoli criminali e i metodi di reclutamento, controllo e sfruttamento impiegati. A gestire la tratta sono sempre più gruppi criminali fortemente radicati nei paesi di destinazione, con molti collegamenti transnazionali e notevoli capacità di abbinare la tratta e lo sfruttamento ad altre attività illecite (traffico di migranti, di droga e di armi) e lecite (es. riciclaggio di denaro sporco attraverso attività commerciali regolari).
I luoghi di sfruttamento, spiega ancora il Rapporto, si sono moltiplicati in maniera esponenziale nell’ultimo decennio. Chi è costretto a prostituirsi, ora si trova non solo sulla strada e nei classici luoghi al chiuso (appartamenti, hotel, night club), ma anche in aree di grande scorrimento e flusso (stazioni ferroviarie e della metro, terminal corriere, centri commerciali, piazzole in prossimità degli ospedali o dei luoghi di reclutamento giornaliero di manodopera immigrata e non irregolare, etc.), mentre chi è obbligato a mendicare lo fa principalmente sulle strade ma sempre più in prossimità dei centri commerciali, nelle aree di flusso e sui mezzi pubblici. Sempre più rilevante anche il web, quale punto di incontro della domanda e offerta di prestazioni sessuali, di lavori stagionali in agricoltura, di cura o di altro tipo fornite (anche) da vittime di tratta. Il luogo di sfruttamento da “eccezionale” è diventato “normale”, sia per quanto riguarda la compenetrazione dello sfruttamento nella vita quotidiana (mentre si fa la spesa, mentre si va al lavoro, mentre si naviga in rete) che per la tipologia di sfruttamento che si incontra e non si riconosce come tale (operai edili nei cantieri, badanti in case private, ambulanti per strada).
Il rapporto sottolinea come, nel caso della prostituzione, sia ampiamente diffusa anche l’abitudine a rapporti sessuali non protetti, su richiesta del cliente. La percentuale, nel 2013, è di 7 uomini su 10 che pagano di più per usare questa modalità. Disinformazione, assenza di prevenzione e paura di essere individuati se si sottopongono a controlli fanno sì che il mondo dei clienti sia particolarmente esposto al rischio di contagio di malattie come l’HIV e la sifilide. “Le donne sanno che i clienti possono essere violenti e che chiedono rapporti non protetti.”, spiega il Rapporto, sottolineando che le donne “temono i “gruppi” di uomini e, quasi tutte sanno che non devono salire su auto coi vetri oscurati o in cui c’è più di una persona. Con la crisi sono aumentate le rapine e le violenze a scopo di estorsione. Così come gli atteggiamenti razzisti nei loro confronti”.
“Nel gennaio 2010 la rivolta di Rosarno ha portato alla ribalta della cronaca le condizioni di degrado di molti braccianti agricoli immigrati del sud Italia. Arrivati in Italia per intermediazione di caporali, a cui devono una parte del loro futuro guadagno oltre ad una cifra iniziale con cui "comprano" un contratto di lavoro che non verrà mai effettivamente stipulato. Si ritrovano a lavorare per 10-15 ore al giorno percependo un compenso in nero di 20-30 euro per la raccolta di frutta e verdura. Nessuna misura di sicurezza, nessuna copertura assicurativa, vitto scarso e alloggi sporchi e fatiscenti forniti dallo stesso datore di lavoro, che in questo modo punta a guadagnarsi la ‘riconoscenza’ oltre all'asservimento del lavoratore”, ricorda il Rapporto. Che sottolinea come, comunque, oltre che nel settore agricolo, più presente al Sud, lo sfruttamento lavorativo colpisce anche nei settori dell'edilizia e della cura delle persone.
Le vittime sono costrette a subire condizioni di vita e di lavoro disumane: hanno orari di lavoro molto lunghi e senza pause intermedie; percepiscono retribuzioni molto inferiori a quelle pattuite o stabilite per legge; sono pagate irregolarmente o affatto; vengono illuse rispetto all’ottenimento di permessi di soggiorno, per cui, a volte, sono costrette a versare del denaro; sono costrette ad avere rapporti non protetti con clienti o a svolgere mansioni pesanti, nocive o pericolose; devono subire ritorsioni, estorsioni e comportamenti xenofobi. La ricerca indica con chiarezza che le persone trafficate vivono forme di disagio multiple. In molti casi, infatti, vivono in condizioni di povertà, fanno uso o abuso di alcool e/o di sostanze stupefacenti, sviluppano problemi di salute mentale e subiscono molte forme di discriminazione e di violenza. Quest’ultima, in particolare, dopo anni in cui era diminuita, è ricomparsa raggiungendo livelli impensabili. Secondo gli enti intervistati, “il suo aumento è proporzionale al disinvestimento sul tema della tratta fatto sia di aiuto alle vittime sia di contrasto”.
Dalla ricerca emerge che l’accoglienza residenziale è il principale servizio offerto (70% circa) su tutto il territorio nazionale tra quelli finanziati dal Dipartimento Pari opportunità sulla base degli art. 18 TU immigrazione e l’art. 13 della legge 228/2003. L’attività di contatto con le presunte vittime di tratta viene svolta prioritariamente attraverso le unità di strada (64 enti) e, in misura più significativa rispetto al passato, anche mediante unità di contatto che operano al chiuso (37 enti). Tali servizi si rivolgono esclusivamente alle persone che si prostituiscono, tra cui vi sono anche vittime di tratta, in luoghi all’aperto e negli appartamenti. Anche i centri di ascolto e sportelli (82 enti) sono diffusi sul territorio italiano, spesso diretti a diversi gruppi sociali vulnerabili, incluse le persone trafficate. Rilevante è il numero degli enti che implementano azioni mirate all’inclusione socio-lavorativa (80 enti) e quello degli invii ad organismi di formazione (53 enti), misure fondamentali per sostenere il processo di autonomia delle persone assistite. Anche gli sportelli giuridici si stanno progressivamente espandendo in Italia (40 enti), sebbene essi siano ancora numericamente pochi e la consulenza e assistenza legale continui ad essere offerta prevalentemente da personale volontario.
Criticità e Proposte
La ricerca ha permesso di raccogliere il punto di vista degli operatori e delle operatrici sulle politiche e gli interventi realizzati attraverso i progetti di protezione sociale in Italia.
In particolare, sono state rilevate le seguenti criticità:
• Di tipo politico: scarsa attenzione della politica al fenomeno della tratta e del grave sfruttamento viene indicata come criticità prevalente che, conseguentemente, determina l’assenza di un piano nazionale antitratta; il mancato recepimento della Direttiva europea 36/2011; la mancanza di un/a National Rapporteur.
• Di governo del sistema: secondo le organizzazioni intervistate, a mancare sono il coordinamento tra le politiche pubbliche dei ministeri competenti nonché le capacità strutturali ed economiche del Dipartimento Pari Opportunità ad implementare e governare un servizio centrale con compiti di coordinamento, monitoraggio e valutazione degli interventi territoriali.
• Di applicazione dell’istituto della protezione sociale: mancato riconoscimento e forte discrezionalità da parte delle Questure nella concessione di percorsi sociali alle vittime di tratta, preferendo quelli giudiziari, difficili rapporti con le forze di polizia e l’autorità giudiziaria, tra cui, i lunghi tempi d’attesa per il rilascio dei titoli di soggiorno o del nulla osta, le collaborazioni fondate su rapporti personali ed informali, la scarsa collaborazione con enti anti-tratta e il mancato utilizzo di indicatori specifici per l’emersione e l’identificazione delle presunte vittime, insufficiente conoscenza dei molteplici ambiti di sfruttamento.
• Di carattere progettuale ed operativo: l’incertezza, la scarsità e i progressivi tagli dei finanziamenti assegnati ai programmi artt. 13 e 18 condizionano e penalizzano fortemente gli interventi anti-tratta e, quindi, la tutela della vittime. Le procedure farraginose dei bandi di finanziamento e la scadenza annuale dei progetti finanziati comportano un rilevante dispendio di energie, una notevole precarietà delle attività e delle risorse umane impiegate nonché l’impossibilità di realizzare strategie pluriennali di intervento.
Gli enti consultati durante la ricerca hanno formulato le seguenti proposte:
- Si esorta il Governo italiano ad impegnarsi in maniera diretta, efficace, coerente e continuativa contro la tratta di persone, in tutte le sue forme, adottando un approccio fondato sui diritti umani, utilizzando una prospettiva di genere e garantendo l’assegnazione di risorse umane e finanziarie adeguate istituendo un fondo unico nazionale anti-tratta; riconsiderando il ruolo assegnato al Dipartimento per le Pari Opportunità e coinvolgendo maggiormente i ministeri che hanno un interesse e un obbligo istituzionale nel prevenire e contrastare il fenomeno della tratta e del grave sfruttamento.
- Si raccomanda altresì la nomina di una Relatrice o un Relatore speciale anti-tratta indipendente
- Viene raccomandata l’istituzione di un’Agenzia Nazionale Anti-tratta, per sviluppare, coordinare e monitorare una Strategia e un Piano nazionale anti-tratta pluriennali, un Sistema nazionale di referral e l’Osservatorio Nazionale Tratta. L’agenzia dovrebbe promuovere regolarmente il Numero Verde Anti-tratta nazionale (800 290 290), studi e campagne informative sulle varie forme di tratta e sui servizi disponibili.
- Si chiede di istituire un Tavolo di confronto con rappresentanti delle istituzioni centrali e degli enti pubblici e del privato sociale.
- Si sollecita il Min. dell’Interno alla piena applicazione delle disposizioni di legge in materia; in particolare l’applicazione di entrambi i percorsi “percorso sociale” e “percorso giudiziario”.
- Ai magistrati si raccomanda inoltre di predisporre misure di protezione adeguate per le vittime di tratta, a cui devono garantire il diritto al risarcimento per i danni subiti.
- Si esorta l’attivazione di procedure di confronto e di raccordo operativo con lo SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) nonché con le Commissioni territoriali, considerate le connessioni sempre più evidenti tra vittime di tratta e richiedenti protezione internazionale.
- Si raccomanda di migliorare le procedure di identificazione delle persone rinchiuse nei CIE in considerazione del numero significativo di vittime di tratta non identificate trattenute nei suddetti Centri, e di collaborare con personale anti-tratta per evitare forme di ri-vittimizzazione istituzionale di persone trafficate costrette al rimpatrio coatto o che, rilasciate, cadono nelle reti di sfruttamento.
- Si auspica la costituzione di reti locali multi-agenzia – coordinate da enti locali – composte da rappresentanti delle istituzioni e degli enti pubblici e privati anti-tratta, regolate da protocolli d’intesa.
- Per le potenziali o presunte vittime sfruttate nei settori produttivi, nell’accattonaggio forzato, nelle attività illegali, si invita a sperimentare metodologie e strumenti per contattarle, identificarle e fornire loro supporto.
- Si raccomanda alle Regioni e agli enti locali di partecipare in modo fattivo al co-finanziamento del sistema degli interventi artt. 13 e 18, anche attraverso personale dedicato dei servizi sociali che dovrebbe garantire l’implementazione, il monitoraggio, il raggiungimento degli obiettivi delle prese in carico dei programmi di protezione sociale.
In conclusione, i risultati della ricerca "Punto e a capo" sulla tratta sottolineano con forza che tutelare i diritti delle persone trafficate significa rispondere alle gravi violazioni subite da persone migranti, povere e vulnerabili, inserite in mercati caratterizzati da alti indici di sfruttamento. Significa rispondere alle esigenze di contrasto alle organizzazioni criminali che si arricchiscono trafficando e sfruttando migliaia di persone nell’industria del sesso e in diversi settori produttivi, nonché nell’accattonaggio forzato e nelle economie illegali. Significa contribuire allo sviluppo e all’implementazione di politiche migratorie e di lavoro volte a contrastare le economie di sfruttamento.
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