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24 NOVEMBRE 2013
Cancro ed epatite. Medici ottimisti per l’arrivo dei nuovi farmaci per l’Hcv. “Guariranno cirrosi e infezioni da trapianto”

A gennaio i primi programmi di accesso alle nuove terapie, meno invasive e molto più efficaci. Poi l’inserimento nel prontuario del Ssn. E i nuovi medicinali sfoltiranno anche le liste d’attesa per il trapianto di fegato. Ma anche la chirurgia oncologica del fegato fa passi da gigante con valori di sopravvivenza fino a 25-30 anni. Il punto al Niguarda-Ca Grande di Milano con il professor De Carlis e altri esperti

Più anni di vita, migliore qualità e più possibilità di guarire dalle malattie del fegato, cirrosi e tumori compresi. E' quanto emerso  nei giorni scorsi al decimo corso di aggiornamento in chirurgia oncologica del fegato promosso dal dipartimento di chirurgia generale e dei trapianti dell'ospedale di Niguarda-Ca Granda di Milano, diretto dal dottor Luciano De Carlis.
 
“E' stato l'abbinamento della chemioterapia e l'affinamento delle tecniche chirurgiche - ci ha spiegato il dottor De Carlis - a migliorare i benefici per il paziente che ora ha più possibilità di vivere bene, ma soprattutto non rischia di morire in sala operatoria. In questi ultimi anni, infatti, grazie all'uso di strumenti più precisi in laparoscopia e soprattutto alla migliore gestione del robot Da Vinci si è passati da una mortalità del 10% in sala operatoria all'1%. Un successo che ci fa onore, perché equipara la chirurgia italiana, non seconda a nessuno anche nella chirurgia del fegato, alle migliori chirurgie del mondo”.
 
Ma per le malattie del fegato si volterà pagina. “A gennaio quando arriveranno anche in Italia le medicine che fermeranno la replicazione del virus dell’epatite C, - ha detto il dottor Massimo Colombo, responsabile del dipartimento di gastroenterologia 1 del policlinico di Milano  - le cirrosi  saranno messe al bando. Ci saranno programmi ad accesso accelerato per i nuovi  farmaci, tutti orali, che guariranno l’epatite C anche nelle sue forme più  complesse come cirrosi e la infezione nei portatori di trapianto d’organo. Più avanti i farmaci verranno registrati e resi prescrivibili  dal Servizio sanitario nazionale”.  
 
Negli Stati Uniti è già approvato e messo sul mercato un farmaco contenente sofosbuvir, il  nuovo principio attivo – sviluppato dall’azienda di biotecnologie Gilead Sciences – che consentirà di semplificare e rendere meno invasive le terapie per trattare e curare l’epatite C. Altri farmaci contro la malattia, che può causare danni gravi e talvolta irreversibili al fegato, saranno messi in commercio nei prossimi due anni portando a una importante svolta nella cura dei casi di epatite C.
 
L’epatite C è una malattia infettiva causata da un virus (Hepatitis C virus – HCV) che attacca soprattutto le cellule del fegato, portando seri danni alla ghiandola che serve alla produzione della bile per digerire ciò che mangiamo e conservare il glicogeno, una variante del glucosio e importante riserva energetica. Il virus deteriora le cellule portando alla formazione di cicatrici e successivamente alla cirrosi, stadio in cui il fegato diventa fibroso e pieno di piccoli noduli che ne compromettono la funzionalità.
 
Si stima che in Italia siano 2 milioni le persone infette dal virus dell'epatite C e 150 in tutto il mondo. Buona parte di queste persone non sa però di avere la malattia proprio perché sono di solito necessari molti anni prima che diventino evidenti i suoi effetti. Di solito i medici se ne accorgono perché ricevono pazienti che lamentano dolori o altri sintomi legati a un non corretto funzionamento del fegato. Spesso la malattia decorre senza sintomi, quindi molti non si rendono nemmeno conto di averla avuta.
 
Finora l’epatite C è stata trattata con terapie invasive, basate principalmente sull’interferone, che stimola la riposta antivirale del nostro organismo, producendo però numerosi e spiacevoli effetti collaterali. L’interferone viene somministrato con iniezioni settimanali per sei mesi e fino a un anno nei casi più complicati. Insieme sono di solito prescritte anche pillole di ribavirina, che impedisce ai virus di riprodursi modificando il meccanismo con cui trasmettono il loro codice genetico.
 
I nuovi farmaci in fase di approvazione sono invece mirati e ostacolano il lavoro degli enzimi che il virus usa per moltiplicarsi, con un meccanismo simile a quello delle medicine per tenere sotto controllo il virus (HIV) che causa l’AIDS. Nelle terapie questi medicinali saranno affiancati da altri farmaci per impedire che il virus muti sviluppando una resistenza al principio attivo.
Nei casi più gravi possono rimanere rischi legati allo sviluppo di forme tumorali e di cirrosi a causa dei danni subiti durante l’infezione.
 
L’attenzione degli esperti chirurghi che hanno partecipato all’incontro milanese era rivolto, in particolare, alle metastasi del fegato, originate dai tumori del colon e ai tumori primitivi del fegato dai colangiocarcinomi agli epatocarcinomi, tumori trattati con la chirurgia. “I farmaci per le metastasi – dice De Carlis – combinati con la chirurgia selettiva ci hanno permesso di migliorare gli esiti degli interventi, offrendo così una aspettativa di vita più lunga.  In particolare possiamo dire che la tecnica della chirurgia dei trapianti applicata alle resezioni del fegato ha migliorato di molto le prognosi: strumenti più adatti alla dissezione epatica con un  minor sanguinamento, ecografia intraoperatoria e infine la laparoscopia e il robot ci permettono di eliminare le metastasi”.
 
Anche per i tumori primari, la chirurgia del trapianto ha fatto passi da gigante, sempre grazie alle tecniche innovative. “Oggi non si parla più di aspettativa di vita a 5 anni, ma si arriva anche a 25-30 anni di sopravvivenza. Ci sono trapiantati del 1990 in vita e questo beneficio oggi può essere riservato a tutti. Il problema, però, sono gli organi dei donatori che sono sempre scarsi e di persone sempre più avanti negli anni. La speranza è che si possa incrementare l’attività di trapianto da vivente, ma anche in questo campo la cultura italiana non favorisce l’incremento delle donazioni”.
 
E i farmaci per il virus dell’epatite C potrebbero aprire nuove possibilità sul fronte dei trapianti. Se veramente saranno in commercio dal 2014, avranno l’effetto sperato, cioè di guarire l’epatite C al cento per cento, e si libereranno spazi per i trapianti. “Purtroppo in medicina non possiamo sempre cantare vittoria – aggiunge De Carlis – perché per una patologia che viene guarita se ne presenta un’altra. Si stanno diffondendo, infatti, le malattie dismetaboliche  che provocano le steatoeptatiti, che nella fase più grave devono essere trattate con il trapianto. Sono le malattie che derivano da diete sbagliate, dal diabete, dall’obesità, dallo stile di vita. Sarebbe auspicabile, a questo punto, una inversione di tendenza nello stile di vita per ridurre la patologia dismetabolica”.
 
Ma all’orizzonte si profila un’altra preoccupazione, quella dei tumori neuroendocrini che provocano metastasi al fegato. “Sono tumori rari – dice il dottor Vincenzo Mazzaferro, dell’Istituto dei tumori di Milano – ma se scoperti in tempo insieme con la patologia di origine possono essere trattati seguendo un approccio multidisciplinare, chirurgia robotica compresa”.
 
Edoardo Stucchi

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