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Mercoledì 27 NOVEMBRE 2013
Nature Neuroscience attacca i ricercatori italiani. È colpa loro se governo e pubblico non capiscono la scienza

La ricerca scientifica italiana torna a fare scalpore sulle pagine della rivista statunitense. Stavolta a finire sul banco degli imputati è la nuova legge sulla sperimentazione animale, in discussione proprio in questi giorni nel Parlamento. Ma soprattutto sono gli scienziati italiani, colpevoli di non aver fatto comprendere alla popolazione come funziona la ricerca biomedica.

Non se la passano bene gli scienziati in Italia. Ed è anche un po' colpa loro. Questo – in poche parole – il messaggio contenuto in un editoriale al vetriolo che Nature Neuroscience dedica alla ricerca del Belpaese. Secondo l'articolo, gli studiosi nostrani sarebbero colpevoli di comunicazione “insufficiente” con i legislatori e il pubblico generale.
 
Sono stati due anni duri per i ricercatori italiani. Il periodo buio è iniziato a luglio 2012, con una finanziaria che annunciava tagli per il 3,8% in quell'anno e di un ulteriore 10% nei due anni a seguire. È peggiorato quando a ottobre 2012 un giudice de L'Aquila ha condannato sei geologi e un ufficiale del governo a sei anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, per aver minimizzato sui rischi relativi al terremoto, subito prima della scossa da magnitudo 6,3 che ha distrutto la regione. Ed ora si accinge ad arrivare al punto più basso della scienza italiana fino ad oggi: ad agosto di quest'anno il parlamento italiano ha votato a favore di una legge che, se approvata, potrebbe minare tutta la ricerca biomedica nel paese”. Così inizia il pezzo che apre l'ultimo numero della rivista statunitense, e l'allusione è alla legge 96 del 6 agosto 2013, che inasprisce le norme stabilite da una direttiva europea, prevedendo il divieto di allevare e di usare in laboratorio cani, gatti e primati e obbliga a somministrare analgesici prima di ogni intervento. Ma la legge, che è passata solo in via preliminare e pertanto non è ancora effettiva, aggiunge anche altro alla normativa europea, e in particolare il fatto che sono vietati gli xenotrapianti, ovvero il trapianto di cellule e organi umani su cavie animali, che ad oggi è alla base di una grandissima porzione della ricerca in campo oncologico.
 
“Se i laboratori non possono allevare animali da ricerca gli scienziati saranno costretti a farli arrivare dall'estero, e ciò farà impennare i costi”, spiega l'editoriale. “Inoltre, la nuova legislazione renderebbe quasi impossibile la ricerca in campo di tossicità, o anche quella sulle terapie a base di cellule staminali. E così i ricercatori italiani sarebbero costretti a cambiare ricerca, o addirittura emigrare”. Senza contare le ripercussioni sui finanziamenti a livello internazionale: “Una legge di questo genere di fatto impedisce i protocolli in vivo e così rende difficile se non impossibile vincere fondi europei, spingendo – di nuovo – i ricercatori italiani ad andare all'estero a fare ricerca. Una situazione sicuramente disastrosa per la ricerca biomedica del paese”, spiegaNature. A meno che il Senato non decida di bloccare questa legge folle, o che non sia costretto a farlo dalla stessa legilazione europea (secondo la direttiva EU i paesi che volessero attuare delle politiche più restrittive di quelle comunitarie avrebbero dovuto implementarle già dal 2010).
 
Insomma, una via di uscita potrebbe esserci.Ma la cosa preoccupante, secondo la rivista statunitense, è che si sia potuto anche solo arrivare a questa situazione. “C'è la sensazione, tra i ricercatori italiani, che alla base di tutto ciò ci sia una bassissima preparazione scientifica del pubblico generale, che dunque non capisce quando si parla di scienza”, commenta l'editoriale. “E sebbene la colpa di ciò sia in parte da attribuire al sistema scolastico italiano – e in questo l'Italia non è certo l'unica da biasimare in Europa e nel mondo – è importante riconoscere che parte della responsabilità deve essere attribuita anche ai ricercatori stessi. Nonostante ci siano un numero sempre crescente di uffici stampa nei grandi centri di ricerca, capaci di spiegare e semplificare le implicazioni degli studi anche ai non addetti ai lavori, la comunità scientifica ha da sempre fallito nella comunicazione riguardo ai mezzi con i quali la ricerca biomedica giunge ai suoi risultati. E così si è arrivati alla situazione che la popolazione non capisce o non ha fiducia nella scienza”. E in effetti non è la prima volta che Nature ha tentato di porre il problema della cattiva informazione sui media italiani (la prima era stata con la vicenda Stamina una serie di altri editoriali durissimi contro l'Italia).
 
“Per questo – conclude Nature Neuroscience (e come dargli torto) – è essenziale che sia il governo che il mondo accademico italiano collaborino per migliorare l'educazione scientifica e la comunicazione della scienza”. Perché, “è solo tramite una chiara comprensione del valore e dell'importanza della ricerca che si potranno evitare in futuro crisi come quella che da anni si abbatte sulla scienza italiana”.
 
Laura Berardi

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