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Giovedì 19 DICEMBRE 2013
Il primo anno dei costi standard. Un flop annunciato

Lo si è visto con il riparto del fondo sanitario 2013. Il primo con i cosiddetti costi standard di riferimento. In realtà non si è fatto altro che ripartire quote regionali in base alla spesa procapite delle tre regioni benchmark. Chi pensava che i costi standard fossero quelli delle siringhe non ha (o fa finta) capito nulla

Ora è chiaro: l’intero ambaradam sui costi standard  è  finto. Quanti  per mesi e mesi hanno battuto  la grancassa dei costi standard forse per rifarsi una verginità e indossare i panni del rigore finanziario non penso possano gioire del risultato ottenuto dalla loro prima applicazione al riparto sanità del 2013. In realtà si è trattato di un inutile tormentone… ma sul niente…pura propaganda.
 
Ora le magagne vengono fuori. I così detti  “costi standard”  non sono altro che una revisione dei criteri di riparto  ricalcolati  “in  qualche modo”  ricalcolando i pesi della classica  ponderazione capitaria. Niente di più. Coloro che pensavano  con i costi standard di risolvere  il problema della siringa “multi price”  o comunque  di azzerare la corruzione in sanità, o addirittura di garantire la sostenibilità del sistema saranno presto delusi.
 
Sulle critiche  ai costi standard rimando  a quanto già scritto su questo giornale da me (1 novembre 2012; 2 agosto 2013; 4 settembre 2013; 10 settembre) e da Mauro Quattrone (3 settembre 2013; 10 novembre 2013). Come due marziani ci siamo sforzati di spiegare che per fare i costi standard in sanità avremmo dovuto governare un mare immenso di dati, che questi dati non sono disponibili e che ciò avrebbe reso fallace la metodologia, che l’idea del product costing  è inappropriata  alla  cura  delle malattie, che quella del benchmark   avrebbe dovuto confrontare best practies, e infine  che per fare  i costi standard avremmo dovuto disporre di una contabilità analitica sulle performance  in alternativa ai metodi classici per il controllo  dei costi storici.
 
Le Regioni hanno sbattuto il naso contro queste ipercomplessità, e infatti sono ora loro stesse a chiedere un cambiamento per il 2014 con una nuova proposta (elaborata dalla Toscana e approvata dalle altre Regioni) dove si punta su altri indicatori per superare (anche se solo in parte) il mero criterio della quota procapite standard basata sulla spesa sanitaria per popolazione residente nelle regioni benchmark.
 
Del resto, come ha scritto puntualmente ieri questo giornale, le variabili vere del riparto 2013, sono costituite da due fattori esterni: l’abolizione dei criteri di compensazione tra regioni (lapis), che tuttavia sta rientrando dalla finestra utilizzando nella spartizione del cosiddetto “fondino”; la popolazione  calcolata sulla base dell'ultimo censimento Istat.
 
Cioè  chi decide  ancora una volta è  il numero dei residenti su cui si calcola la quota pro capite di spettanza. Questa proposta di riparto non ha quindi nulla a che fare con i costi standard. Essa più calcola il costo medio pro-capite delle tre regioni benchmark rapportato alla popolazione pesata al 1 gennaio 2012,  moltiplicando il risultato ottenuto per la popolazione pesata di ciascuna regione  suddividendo i risultati per singoli Lea e quindi in proporzione per  i singoli sub-livelli (prevenzione, medicina di base, farmaceutica, specialistica, altra territoriale e ospedaliera) secondo una certa  percentuale.
 
Il vero problema quindi non è “cosa cambia” ma  “cosa non cambia”: non cambia l’idea dei fondi indistinti, cioè  viene scartata la possibilità di dare soldi alle regioni in rapporto agli esiti, non cambia la ripartizione delle risorse sulla base della spesa storica quindi si continua  a prescindere dalle performance dei servizi, non cambia l’idea di ripartire anziché allocare cioè rapportare risorse a scopi di salute, a progetti di riconversione, a riorganizzazione dei servizi.
 
Con questo riparto  sicuramente si aggraveranno le condizioni di certe  regioni che avranno meno risorse e che restano ancora una volta appese alla benevolenza del “lapis/fondino” (Lazio, Molise , Abruzzo, Calabria, Campania  ecc). Si dirà che sono le solite  cinque regioni che vanno messe in riga.. ma i cittadini di quelle Regioni non sono diversi dagli altri…e mettere in riga le loro necessità  con un rigore finanziario fasullo, quello dei piani di rientro, sapendo  che quei cittadini  sono le prime vittime delle incapacità dei propri governanti, è immorale.
 
Il commissariamento deve tutelare prima di ogni cosa  i diritti che sono negati, combattere le corruzioni che sono perpetuate. Se dare meno soldi significa colpire i diritti delle  persone  allora si colpiscano gli abusi e le incapacità di chi ha responsabilità di governo, ma si proteggano i diritti. Leggendo i criteri di riparto, la mia impressione  è che con la crescita della micragna si sia accentuata  la competitività tra le regioni per acquisire risorse, la solidarietà ormai non esiste più, l’unico modo per rifinanziarsi, scartando le strade riformatrici, è a scapito di qualcun altro.. in genere il più debole. Questo mi rattrista  molto. Vuol dire che siamo ad un passo dalla legge della giungla, in cui sopravvivenza e  sopraffazione finiranno per allearsi  senza disdegnare l’inganno, le false giustificazioni, la malafede.
Quindi…vi prego…..finiamola una buona volta   di parlare di costi standard.. non è cosa!
 
Ivan Cavicchi

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