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Lunedì 20 GENNAIO 2014
Rapporto Oasi 2013. La Bocconi non ha dubbi: "Senza investimenti e con questi budget la sanità è a rischio". Ormai spendiamo molto meno di Germania, Francia e Regno Unito

La nostra spesa procapite è ferma a 2.419 dollari l'anno. Rispettivamente, 899, 714 e 328 in meno di Germania, Francia e UK.  Se proseguiranno la contrazione degli investimenti e la riduzione della spesa dei cittadini, in alcune regioni c'è il rischio di non riuscire più a far fronte alle necessità della popolazione. Ecco la fotografia della nostra sanità ai tempi della crisi del Cergas Bocconi. EXECUTIVE SUMMARY

Contenendo la spesa per ogni singolo fattore produttivo (personale, medical device, privato accreditato, ecc.) e contraendo gli investimenti in tecnologie e rinnovo infrastrutturale la sanità pubblica sistema i conti nel breve periodo, ma a discapito della performance sanitaria presente e futura, tanto che in alcune regioni si fa concreto il rischio dell’undertreatment, ovvero dell’impossibilità di far fronte alle necessità sanitarie della popolazione. Dilatando i tempi di pagamento, in casi estremi, fino a 1.500 giorni (la media è di 236 giorni per i farmaci e 274 per le attrezzature) e non rinnovando le attrezzatura le aziende si espongono a costi futuri – e creano perciò debito sommerso - in termini di prezzi più alti per le forniture, interessi di mora, contenziosi e personale impiegato per far fronte alle richieste dei creditori e futura obsolescenza tecnologica e inadeguatezza infrastrutturale.
 
Il Rapporto Oasi 2013 sul sistema sanitario italiano, presentato oggi alla Bocconi dal Cergas (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) ribadisce la natura “sobria” del nostro sistema sanitario, con una spesa pubblica pro capite, pari a 2.419 $PPA (dollari parità di potere d’acquisto), significativamente più bassa di quella di Germania (3.318), Francia (3.133) e Regno Unito (2.747) e un disavanzo in forte diminuzione a 1,04 miliardi di euro nel 2012 (-17,3% rispetto all’anno precedente), il che equivale allo 0,9% della spesa sanitaria pubblica corrente. I risultati sono notevoli soprattutto nelle regioni soggette a Piani di rientro: il disavanzo della Campania, nel 2012, è un decimo di quello del 2005, quello del Lazio un quinto e quello della Sicilia è sostanzialmente azzerato. Rimane però rilevante il gap di performance tra i diversi sistemi sanitari regionali ed è evidente la disparità tra le regioni in Piano di rientro e le altre “dal momento che tutte e sole le regioni in Piano di rientro (Abruzzo, Campania, Calabria, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia)”, scrivono i coordinatori del Rapporto, Elena Cantù e Francesco Longo, “risultano inadempienti o parzialmente inadempienti” nel mantenimento dei livelli essenziali di assistenza. Questo è un pericoloso campanello di allarme sul potenziale livello di iniquità nell’accesso alle cure tra nord e sud.
 
La spesa maggiormente penalizzata, perché meno rigida, risulta essere quella per investimenti, che si attesta a 59 euro pro capite nella media nazionale, ma con una forte variabilità, dai 111 euro dell’Emilia Romagna ai 20 euro della Calabria. Le regioni del Sud sono sistematicamente al di sotto della media nazionale, pur avendo un quadro infrastrutturale più fragile già in partenza.
 
La riduzione della spesa pubblica non è compensata da un aumento di quella privata, che segue, invece, il ciclo economico e il reddito disponibile dei consumatori. Anche in questo caso la variabilità regionale è molto forte. La media italiana è di 463 euro pro capite, ma si va dai 707 euro del Trentino Alto Adige ai 239 della Campania e le ultime posizioni sono tutte occupate dalle regioni meridionali. In altri termini, non vi è una correlazione tra spesa sanitaria privata e quali/quantità di quella pubblica. Nelle regioni più ricche, con la migliore sanità, si spende di più anche per quella privata a pagamento. Ciò significa che nelle regioni più povere si fa concreto il rischio di undertreatment, come già dimostra l’inadempienza di alcune di queste regioni rispetto ai livelli essenziali d’assistenza.
 
Uno degli espedienti utilizzati per alleggerire la situazione economica delle aziende è stato, fino ad ora, l’allungamento dei tempi di pagamento. La sanità italiana, in media, paga i farmaci a 236 giorni e le attrezzature a 274, con una diminuzione di una ventina di giorni a metà 2013 rispetto metà 2012. La variabilità è altissima e, per le attrezzature, si va dagli 83 giorni della Valle d'Aosta ai 929 della Calabria, mentre per i farmaci si passa dai 75 giorni del Trentino Alto Adige ai 797 del Molise. In generale, la situazione più compromessa è quella di Campania, Calabria e Molise, ma sono da monitorare anche Piemonte, Puglia e Veneto. In Campania esistono aziende sanitarie che pagano a 103 giorni, altre a 1.509. Le regioni assoggettate a Piani di rientro per ridurre il debito pagano, in media, 280 giorni dopo le altre.
 
“I recenti provvedimenti normativi per liquidare parte del debito commerciale accumulato dalla pubblica amministrazione”, puntualizzano Cantù e Longo, “hanno sicuramente migliorato la situazione. Mettere le aziende sanitarie nella condizione di saldare i debiti pregressi non è, però, sufficiente. E' necessario che le aziende siano poste in condizioni di pagare puntualmente anche quelli futuri”.

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