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Lunedì 27 GENNAIO 2014
Cancro. Nanoparticelle che poi si ‘autodistruggono’. Verso diagnostica e trasporto farmaci con meno effetti collaterali

Nanoparticelle inorganiche che colpiscono il bersaglio e vengono poi degradate, senza accumularsi. Una scoperta che in futuro potrebbe essere utilizzata per il trasporto di farmaci anticancro e per indagini diagnostiche. Lo studio su Nature Nanotechnology

Si va verso il futuro della nanomedicina multifunzionale: oggi arrivano dalla University of Toronto, insieme ad altre Istituzioni, delle nanoparticelle inorganiche (particelle di materia dimensioni pari a milionesimi di millimetro), in grado di colpire in maniera diretta il bersaglio e poi ‘autodistruggersi’ degradandosi e dunque venendo eliminate. Lo studio, condotto su topi, è intitolato DNA assembly of nanoparticle superstructures for controlled biological delivery and elimination ed è stato appena pubblicato su Nature Nanotechnology.
In generale, la nanomedicina sfrutta l’uso di nanotecnologie (cioè tecnologie su scala ‘nano’, come appunto in questo caso), sia per applicazioni terapeutiche che per applicazioni diagnostiche, come la diagnostica per immagini, che spesso si serve di mezzi di contrasto.  
 
I ricercatori hanno utilizzato il Dna per controllare la distribuzione biologica e l’eliminazione di queste impercettibili particelle inorganiche, organizzandole in superstrutture colloidali. In generale, un colloide è una miscela in cui una sostanza - in questo caso le nanoparticelle - viene finemente dispersa: ad esempio, anche la maionese e il burro sono due tipi di colloidi (nel burro zuccheri e proteine sono dispersi nei grassi).
Con questa tecnica, le nanoparticelle sono come dei mattoncini piccolissimi (non microscopici ma ancora più piccoli), la cui dimensione, la chimica della superficie e la struttura con cui sono assemblate determina la costruzione complessiva della superstruttura. Proprio in funzione di questa costruzione, queste superstrutture interagiscono con le cellule e con i tessuti, ma poi vengono degradate, sfuggendo così alla ‘cattura biologica’. Così si eviterebbe anche la possibilità di effetti collaterali.
“Abbiamo dimostrato che questa strategia riduce la ritenzione delle nanoparticelle da parte dei macrofagi e migliora l’accumulazione in vivo nel tumore e l’eliminazione da tutto il corpo”, si legge nello studio, realizzato da Leo Y. T. Chou, Kyryl Zagorovsky e Warren C. W. Chan.
 
Le superstrutture potranno essere in seguito rese funzionali per trasportare e proteggere dalla degradazione enzimatica agenti terapeutici e diagnostici (utilizzabili ad esempio per tecniche di generazione di immagini o imaging). Questi risultati suggeriscono una strategia diversa per progettare interazioni tra nanostrutture e sistemi biologici ed evidenziare nuove direzioni nella costruzione di esempi di nanomedicina biodegradabile e multifunzionale.
  
Viola Rita

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