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Giovedì 06 FEBBRAIO 2014
Epatite C. I nuovi farmaci disponibili solo per 1 paziente su 3. E così partono le liste d'attesa

Il rapporto di Cittadinanzattiva e Epac Onlus lancia l’allarme. A parte il ritardo di 17 mesi rispetto all'Europa per la loro commercializzazione, oggi il punto è che questi farmaci innovativi, nonostante siano idonei per quasi la metà dei malati, sono accessibili solo al 33% di questi. In alcuni Regioni si aspettano anche 9 mesi. Il Rapporto in sintesi.

È dura la vita per i malati di Epatite C in Italia. I farmaci innovativi sono arrivati con oltre un anno di ritardo rispetto al via libera dell’Ema in Europa e oggi, nonostante quasi la metà dei malati sia idonea a sottoporsi alle nuove terapie, solo una piccola parte è stata messa realmente in condizioni di accedervi, e moltissimi sono rimasti in lista d’attesa.
 
D’altra parte, l’80% delle strutture deputate a erogare la nuova terapia continua a lavorare con la stessa dotazione di personale nonostante l’aumento delle complessità gestionali dei nuovi trattamenti. Inoltre il 20% dei Centri indica di aver aspettato da uno a tre mesi per avere a disposizione i farmaci da somministrare ai pazienti. A livello regionale, meno della metà delle Regioni ha formalizzato e reso pubblico un Percorso diagnostico terapeutico completo per la gestione della cura. Manca invece una regia nazionale che uniformi i criteri di accesso alle terapie e per questo ogni Regione individua modelli diversi di organizzazione dei servizi per l’erogazione delle stesse.

Sono questi alcuni dei principali elementi emersi dalla Indagine civica sull’accesso alle nuove terapie per il trattamento dell’epatite C, presentata oggi dal Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici (CnAMC)-Cittadinanzattiva in collaborazione con EpaC onlus.

“Le liste di attesa stanno diventando un fenomeno sempre più diffuso che si è esteso anche all’accesso alle terapie farmacologiche. Chiediamo che su questo le Regioni si attivino subito, anche rivedendo le modalità di individuazione e di organizzazione dei centri prescrittori. Due anni per rendere disponibili ovunque le terapie è una tempistica inaccettabile. Oltre a semplificare l’iter di approvazione e rimborso a livello nazionale, è necessario evitare che a livello regionale si duplichino attività già svolte dall’AIFA. Per questo proponiamo che, a tutela dei diritti dei cittadini, si prevedano per le Regioni inadempienti “procedure d’infrazione” analogamente a quanto avviene in Europa”, commenta Tonino Aceti, responsabile del CnAMC e coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato.

“L’indagine – aggiunge Ivan Gardini, presidente di EpaC onlus - conferma quanto sia difficile e complesso per un paziente accedere ai farmaci innovativi per l’epatite C. Da un lato la complessità di gestione dei nuovi trattamenti ha diminuito la capacity dei centri autorizzati di curare nell’immediato tutti i pazienti in attesa, dall’altro molte regioni non sono state capaci di organizzare percorsi diagnostico terapeutici assistenziali in grado di assicurare un rapido accesso anche a pazienti in cura presso centri non autorizzati. Il risultato è che solo una piccola frazione di pazienti con HCV è stata sinora curata con i nuovi inibitori della proteasi. Auspico che questa indagine possa convincere i decision makers interessati che servono Percorsi terapeutici uniformi per tutto il territorio nazionale e regole chiare e precise sui meccanismi di collaborazione tra strutture autorizzate e non autorizzate alla prescrizione dei farmaci innovativi”.

Ecco, in sintesi, i risulati dell’indagine Cittadinanzattiva-EpaC Onlus (l’Indagine integrale è scaricabile alla pagina web http://j.mp/IndagineEpatiteC), condotta tra agosto e settembre 2013 attraverso: interviste ai pazienti con genotipo 1 (287 il numero dei pazienti intervistati); questionari rivolti ai Centri (65) deputati alla prescrizione e gestione della triplice terapia; analisi degli atti ufficiali attraverso cui le regioni hanno regolamentato l’erogazione della terapia a partire dalla Determina AIFA n.714 del 26 novembre 2012.

Epatite C. Il 3% degli italiani è venuto a contatto con il virus. Circa 1 milione i pazienti cronici
In Italia le epatite virali costituiscono una vera e propria emergenza sanitaria: il nostro Paese è, in Europa occidentale, quello con il più alto tasso di epatite C e di tumore del fegato correlato. Dati Istat 2008 confermano più di 20 mila decessi all’anno in Italia a causa di epatite cronica, cirrosi e tumore del fegato.
Circa il 3% della popolazione italiana è venuta a contatto con il virus, e circa 1.000.000 sono stimati i pazienti portatori cronici del virus. La maggiore prevalenza è riscontrata nelle aree meridionali ed insulari del Paese.
Attualmente per il trattamento dell’epatite C sono disponibili i nuovi inibitori della proteasi che, in associazione ai farmaci già disponibili, vanno a formare la cosiddetta “triplice terapia”, un nuovo trattamento, destinato ai pazienti HCV positivi con genotipo 1, che aumenta la possibilità di successo terapeutico sino all’80%.

Accesso immediato alle nuove terapie solo per 1 paziente su 3
Solo 4 pazienti su 10 sono ritenuti idonei all’utilizzo dei nuovi farmaci innovativi. Alla base ci sono perlopiù valutazioni di tipo clinico (trattamento rischioso per malattia troppo avanzata - 18,6% - o malattia troppo lieve  - 12,2%) a cui va aggiunto un 15% ai quali è stato consigliato dallo specialista di aspettare farmaci con minori effetti collaterali.
Ma essere idonei non significa avere poi la possibilità di sottoporsi davvero alla terapia.
Dall’indagine emerge infatti che solo 1 paziente su 3 di coloro ritenuti idonei ha avuto infatti un accesso immediato alla cura innovativa. Tra le difficoltà troviamo soprattutto lunghe liste di attesa (42%) e il ritardo nella  visita rimandata senza che i pazienti vengano inseriti in liste di attesa (25%). Non pochi i pazienti ancora indecisi o dubbiosi: vuoi per paura degli effetti collaterali difficili da sopportare (19%), vuoi per mancanza di informazioni chiare per prendere una decisione definitiva (12%).

I Centri. Scarsa capacity, difficoltà di organizzazione
Il numero dei Centri che erogano la nuova terapia (353) si stima sia inferiore di oltre un terzo rispetto al totale dei Centri per la cura dell’Epatite esistenti sul territorio. Le differenze sono consistenti: ad esempio, in due Regioni con popolazione sostanzialmente analoga, come Lazio e Campania, si ha un Centro ogni 407.000 abitanti nel primo caso rispetto ad uno ogni 116.000 abitanti nel secondo.
I 65 Centri presi in considerazione gestiscono 33.433 pazienti con HCV, di cui 18.896 con genotipo 1. Fra questi ultimi, solo il 15%, ovvero 2.875, è stato ritenuto idoneo alla triplice terapia. Oltre alla valutazione clinica, per la quale incide in misura predominante la gravità della malattia, per l’esclusione hanno pesato fattori come la mancanza di personale (segnalato dal 14% dei Centri); la distanza del paziente dal Centro (12%); il budget troppo ristretto (8%).
Tra le motivazioni addotte dai Centri per giustificare le attese dei pazienti, figura principalmente lo scaglionamento settimanale programmato di nuove terapie (42% dei Centri), necessario per garantire la sicurezza dei pazienti sottoposti a cure ad alto tasso di complicanze; la priorità accordata ai casi ritenuti più urgenti (17%); la mancanza di personale, confermato dal 9% dei Centri. L’80% di questi, infatti, afferma che la dotazione del personale è rimasta identica.

Le Regioni. Ritardi intollerabili nei prontuari. Solo 9 regioni hanno PDTA e Linee Guida per l’organizzazione de servizi
Due anni è stato il tempo necessario per l’inserimento dei nuovi farmaci in tutti i prontuari regionali, dal luglio 2011 quando l’Agenzia europea del farmaco ha dato il via libera alla commercializzazione in Europa, al maggio 2013 quando l’Emilia Romagna, ultima regione, li ha inseriti nel proprio prontuario.
Alcune differenze si registrano anche nei criteri con cui le Regioni hanno individuato i Centri, a partire dai tempi: il Veneto li ha individuati nel mese di dicembre 2012, Umbria, Lombardia Liguria e Toscana hanno deliberato nel gennaio 2013, tra le ultime, Sicilia e Marche nel mese di aprile e per finire l’Emilia Romagna a maggio. Per ciò che attiene i criteri per l’individuazione, metà delle Regioni ha individuato i Centri sulla base delle linee di indirizzo della Associazione Italiana Studio Fegato (AISF); Campania, Sardegna, Toscana invece hanno utilizzato criteri diversi. Altre invece hanno inserito ulteriori criteri: il Lazio ha indicato ad esempio la presenza dell’unità di epatologia dedicata e l’utilizzo della cartella clinica elettronica; Abruzzo, Basilicata, Lazio, Marche, Molise,  Puglia, Sicilia e Veneto hanno inserito la disponibilità di un test genetico per l’individuazione dei pazienti da trattare.
Solo 9 regioni, ossia Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, FVG, Marche, Lazio, Sicilia, Umbria e Veneto, hanno pubblicato e reso disponibili il PDTA (Percordo diagnostico terapeutico assistenziale) e Linee Guida per l’organizzazione de servizi. Campania e Piemonte si distinguono in negativo per la irreperibilità di tale documentazione.
Ad eccezione della Basilicata, inoltre, è mancato ovunque il coinvolgimento dei rappresentanti dei pazienti.
Le Regioni spendono in media intorno ai 20 mila euro per l’acquisto dei farmaci per singolo paziente, mentre sono piuttosto carenti le stime sul numero di pazienti da curare, ad eccezione di Veneto, Lazio e FVG che hanno un database specifico.

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