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Mercoledì 12 FEBBRAIO 2014
I nuovi anticoagulanti orali non decollano. E l'Anmco chiede procedure più snelle per la loro prescrizione

La prevenzione più efficace del’ictus in corso da fibrillazione atriale è la terapia anticoagulante. Pur se in ritardo rispetto a tanti altri Paesi, i nuovi anticoagulanti, più sicuri e maneggevoli dei vecchi, sono arrivati anche da noi. Ma prescriverli è un'impresa e i cardiologi chiedono di snellire il piano terapeutico.

Sono un milione gli italiani affetti da fibrillazione atriale, un'aritmia tanto frequente, quanto pericolosa, visto che può aumentare il rischio di ictus di 5-6 volte. La terapia anticoagulante è di enorme aiuto nel proteggere i pazienti a più alto rischio da questa complicanza e, accanto ai tradizionali inibitori della vitamina K, da qualche mese sono arrivati anche nel nostro Paese i cosiddetti NOA (New Oral Anticoagulant): dabigatran, rivaroxaban e apixaban; a breve poi è atteso l’arrivo anche di una quarta molecola, l’edoxaban.
 
A fronte di un costo decisamente superiore a quello dei vecchi anticoagulanti, i NOA offrono degli indiscutibili vantaggi: non necessitano di monitoraggio INR, si somministrano a dosaggio fisso, mostrano scarse interferenze con altri farmaci e nessuna interferenza con il cibo. Ma sono gli studi registrativi ad aver ben messo in evidenza il loro principale elemento di superiorità rispetto alla terapia tradizionale: a parità di efficacia nella prevenzione degli ictus trombo-embolici (ne riducono il rischio del 70% circa), i NOA riducono di tre volte il rischio di emorragie cerebrali iatrogene, l’effetto indesiderato più temuto della terapia anticoagulante.  Ora, nonostante tutta questa ‘buona stampa’, nel nostro Paese, le prescrizioni dei NOA non ce la fanno proprio a decollare. “I dati del primo Registro europeo sulla terapia della fibrillazione atriale – rivelano gli esperti dell'Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO)-  indicano che in Italia solo il 6% dei pazienti è in cura con i nuovi anticoagulanti orali. L’ utilizzo dei nuovi farmaci è  in continua crescita  ma non decolla soprattutto per la complessità del piano terapeutico, che richiede 20-25 minuti per ogni paziente”.
Per monitorare il trattamento della fibrillazione atriale è stato istituito di recente un Registro Europeo che ha già raccolto dati relativi a circa 7.000 pazienti, in 9 Paesi europei. L'Italia, con oltre 1.800 pazienti arruolati nel Registro, è il Paese europeo che ha maggiormente contribuito alla raccolta dati.
 
“Nel nostro Paese – ricorda Francesco Bovenzi, presidente ANMCO –  il 66% dei pazienti con fibrillazione atriale è in cura con i vecchi anticoagulanti, l'11% utilizza antiaggreganti piastrinici (del tutto insufficienti per prevenire l’ictus) e il 10% entrambe le tipologie di farmaci. Attualmente solo il 6% è curato con i nuovi farmaci. E c’è ancora un 7% di pazienti non trattati affatto; paradossalmente si tratta proprio di quelli a più alto rischio, come i soggetti con fibrillazione atriale parossistica ad episodi di durata inferiore alle 24 ore”
 
Per venire incontro alle esigenze dei medici e guidarli per mano all’uso dei nuovi farmaci,l'ANMCO ha messo a punto un documento sulla prevenzione dell'ictus in corso di fibrillazione atriale e l'uso dei NOA. “Il limite maggiore all'uso dei nuovi principi attivi – sottolinea Bovenzi - è il piano terapeutico assai articolato, che occorre compilare per ogni paziente; serve molto tempo per farlo e spesso capita di optare per i farmaci ‘classici’ perché, negli ospedali sempre più congestionati, i medici non hanno realisticamente l'opportunità di dedicarsi alla compilazione del piano. Snellirlo darà sicuramente un'ulteriore spinta all'uso di questi medicinali”.
 
Maria Rita Montebelli

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