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Mercoledì 16 LUGLIO 2014
Patto per la Salute. Il Mef ha svolto un ruolo determinante, i sindacati sono stati esclusi

Esclusi anche i cittadini e le loro organizzazioni di rappresentanza, a dimostrazione che il governo, forte della votazione plebiscitaria del partito del Presidente, ha scelto non la strada della partecipazione ma quella pseudoperonista di considerare inessenziali e obsolete organizzazione di massa e corpi intermedi.

Un patto, accordo o contratto si giudica dai risultati che esso produce. E’ buono se quanto viene pattuito viene realizzato nella pratica, ma per fare questo devono essere soddisfatte alcune pre-condizioni sia di tipo soggettivo che oggettivo.

Le prime rimandano agli attori che contraggono l’accordo che devono essere rappresentativi e credibili nel loro ruolo di negoziatori. E che una volta raggiunto l’accordo devono essere soddisfatti di quanto sottoscritto perché, come ci insegna la contrattualistica, è buono solo un accordo che soddisfa tutte le parti contraenti. In caso contrario si metterebbero in moto delle strategie diversive volte a dare del contratto una interpretazione in cui vi si legge cosa non c’è scritto, aprendo un conflitto che dilaziona i tempi di applicazione e inevitabilmente rimanda ad un accordo successivo ( interpretazione autentica, contratto integrativo etc).
 
Le seconde rimandano ai contenuti del patto ovvero sia al suo articolato che non deve essere soltanto chiaro ed univoco ma che deve , come ci insegnava la indimenticabile Silvana Dragonetti, prevedere le conseguenze che potranno derivare dalla concreta applicazione delle norme. Senza questa visione anticipatrice si rischia infatti di scrivere dispositivi contrattuali che potrebbero avere, quando applicati, un effetto perverso e imprevisto.
Proviamo ad applicare parte di questa mappa mentale al Patto della salute al traguardo della firma definitiva.

I contraenti sono sicuramente autorevoli e rappresentativi anche se è del tutto evidente che il Mef ha un ruolo determinante perché in ogni contratto la parte economica, ovvero sia le risorse messe a disposizione, sono il sine qua non per il raggiungimento degli obiettivi preposti e l’entità di tali risorse sono decise esclusivamente dal MEF (anche se il Ministro Lorenzin ha giocato la sua parte per ottenere il finanziamento).

Ed infatti il MEF, proprio in virtù di questo ruolo si è sentito in diritto di modificare unilateralmente il testo, nonostante fosse stato già raggiunto un pre-accordo, commettendo così uno sgarbo istituzionale che ha sollevato la netta contrarietà delle regioni. Queste infatti, minacciando di non firmare più l’intesa, hanno preteso ed ottenuto la re-introduzione delle norme modificate tra cui quelle relative al personale. Uno scontro istituzionale che si è concluso rapidamente ma che ha evidenziato la conflittualità che esiste oggettivamente tra funzioni centrali dello Stato ed enti territoriali.

Per quanto riguarda invece i contenuti dell’accordo vorrei richiamare l’attenzione su alcuni punti che ritengo prioritari.
Per la parte relativa al finanziamento (articolo1) le risorse certe ci sono solo per il 2014, con la conferma che il FSN sarà di 109 miliardi e 928 milioni (non molto, ma nemmeno poco se si considera che negli ultimi due anni lo stanziamento era diminuito per la prima volta dalla costituzione del SSN).
Per il 2005 e 2006 le risorse sono invece solo “fissate” rispettivamente in 112 miliardi e di 115, 4 essendo lo stanziamento effettivo subordinato all’andamento dei conti pubblici.

E questo è un problema enorme e di difficile soluzione in quanto è da molti sostenuto che ci sarà bisogno di una manovra correttiva a fine anno ( 20 miliardi?) e che il fiscal compact ben difficilmente sarà rivisto per la netta opposizione dell’Europa della zona settentrionale. E quindi, permanendo lo stato dell’economia in uno stato di pre-coma, con la continua perdita di importanti assets industriali ( non ultima Alitalia e Ilva) è altamente improbabile che le risorse “fissate” potranno diventare risorse “disponibili”.

In tale contesto mero espediente retorico, dettato dalla necessità politica di non differenziarsi dagli altri settori dello Stato chiamati a realizzare economie di gestione, la precisazione ( articolo 1 comma 4) che i risparmi attesi (10 miliardi) resteranno in sanità, anche perché questi sono difficilmente quantificabili. Le regioni infatti ricevono un fondo indistinto da cui attingono per le spese di parte corrente e in conto capitale. E quindi se decideranno di spendere meno per la farmaceutica o per l’ospedaliera privilegiando la medicina del territorio, faranno soltanto quello che è necessario fare a fronte del mutato quadro demico caratterizzato da una vera epidemia di patologie croniche connesse e non all’ aumento della durata della vita.
Per tali patologie è universalmente noto che il setting assistenziale appropriato non è certo l’ospedale ma il domicilio, la casa della salute e l’ospedale di comunità. Dislocare risorse per l’attivazione di tali servizi non è dunque fare risparmio ma semplicemente utilizzare le risorse disponibili in modo più appropriato.

Per quanto concerne l’assistenza ospedaliera ( articolo 3) l’accordo prevede che il regolamento sugli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi in attuazione del decreto 95/2012 dell’ex ministro Balduzzi venga adottato, senza ulteriori rinvii. Entro il 31 dicembre 2014 Stato e Regioni dovranno anche stipulare un’intesa sugli indirizzi per la piena realizzazione della continuità assistenziale ospedale-territorio ed entro 6 mesi dalla stipula del Patto sarà inoltre definito un documento di indirizzo sull’appropriatezza riabilitativa.

Il testo relativo agli standard dovrebbe essere quello ampiamente discusso ed il suo pezzo forte è l’ulteriore riduzione di posti letto ospedalieri a 3,7 per mille comprensivi di 0,7 per riabilitazione e post acuzie. Una riduzione che inciderà per il 50% sugli ospedali pubblici e che dovrà essere realizzata esclusivamente attraverso la soppressione di Unità operative complesse. Le strutture ospedaliere vengono riclassificate secondo livelli gerarchici di complessità crescente e vengono stabiliti standard minimi e massimi per ogni singola disciplina.

Negli standard vengono inoltre definite 10 reti assistenziali con la vistosa mancanza di una rete per i servizi di allergologia. Per tale disciplina infatti viene fissato lo standard di 1 PL in DH per 1-2 milioni di abitanti incuranti che la prevalenza di tali affezioni sia ormai nell’ordine del 30% e che in alcune regioni come il Lazio per accedere ad una diagnostica allergologica avanzata ( farmaci , veleno di imenotteri, desensibilizzazioni ) i tempi medi di attesa siano pari o superiori a 3 anni! Alla faccia della corretta programmazione sanitaria e della garanzia di esigibilità dei Lea.

Altrettanto retorico l’articolo 4 dedicato alla umanizzazione delle cure in cui si definisce la predisposizione da parte delle regioni di un programma annuale di umanizzazione delle cure che comprenda un progetto di formazione del personale e un’attività progettuale in tema di cambiamento organizzativo, indirizzato prioritariamente all’area critica, alla pediatria, alla comunicazione, all’oncologia e all’assistenza domiciliare. Lo stesso dicasi per la previsione che il grado di soddisfazione dei cittadini sarà monitorato in maniera continuativa e omogenea tra le Regioni, così da consentire l’avvio di azioni correttive.

Nella stesura del Patto, infatti, gli esclusi, accanto ai sindacati, sono stati proprio i cittadini e le loro organizzazioni di rappresentanza a dimostrazione che il governo, forte della votazione plebiscitaria del partito del Presidente, ha scelto non la strada della partecipazione ma quella pseudoperonista di considerare inessenziali e obsolete organizzazione di massa e corpi intermedi.

Migliore invece l’articolato 5 dedicato all’assistenza territoriale con la temporizzazione certa entro 6 mesi dalla stipula dei nuovi contratti, o comunque non oltre la vigenza del Patto, della trasformazione delle vecchie forme organizzative in UCCP e AFT e con la definizione delle loro caratteristiche “forme organizzative complesse che operano in forma integrata all’interno di strutture e/o presidi individuati dalle regioni con una sede di riferimento ed eventuali altri sedi dislocate nel territorio”. “ La UCCP è parte integrale del distretto e deve garantire l’accessibilità all’assistenza per tutto l’arco della giornata per tutti i giorni della settimana”.

L’UCCP dunque, grazie alla presenza di differenti profili professionali e del lavoro in team, si dovrà muovere lungo la via del chronic care model e della medicina d’iniziativa lasciando opportunamente la gestione dell’emergenza/urgenza all’ospedale e alla continuità assistenziale. Nessun senso ha infatti prevedere l’apertura di strutture territoriali H24 che non possono essere in grado di gestire l’emergenza e che potrebbero incidere solo sui codici bianchi (molto infrequenti ed ininfluenti come numero nelle ore notturne).

Poco chiaro e da possibili effetti imprevedibili è il declamato del comma 15 in cui si ritiene importante procedere a “una ridefinizione dei ruoli, delle competenze e delle relazioni professionali con una visione che assegna a ogni professionista responsabilità individuale e di equipe… abbandonando una logica gerarchica per perseguire una logica di governance….prevedendo sia azioni normative/contrattuali percorsi formativi a sostegno di tale obiettivo”. A non essere correttamente esplicitato è il punto di partenza (quali sono le professioni interessate ) di questo processo e così facendo si rischia di incunearsi in quella discussione sulle competenze e sull’ampliamento di quelle infermieristiche che deve invece trovare in primis una soluzione di mediazione tra le diverse professioni e i cittadini medesimi che sono i destinatari finali dei servizi sanitari.

In tale discussione le regioni potrebbero optare per una soluzione di tipo economicistico volta ad ottenere risparmi a tutti i costi ( come al solito agendo prevalentemente sulla risorsa umana), ma non necessariamente ottimale dal punto di vista dell’assistenza resa. Nel comma 17 dello stesso articolo viene richiamato l’ospedale di comunità con la definizione dei criteri di eleggibilità dei pazienti ( 1. interventi sanitari potenzialmente erogabili a domicilio ma che necessitano di ricovero in quelle strutture in mancanza di idoneità del domicilio; 2. assistenza/ sorveglianza sanitaria infermieristica continuativa anche notturna non erogabile a domicilio) e con la previsione che nella gestione dei PL siano chiamati anche i medici dipendenti e non solo i MMG e la continuità assistenziale.

Una novità che deve trovare una migliore formulazione in quanto nel testo non è chiaro quale è il ruolo dei medici dipendenti e se a questi competano oltre alle consulenze anche i turni di reperibilità nelle ore notturne.

In tema di assistenza socio-sanitaria ( articolo 6) le regioni sono chiamate a superare i vistosi ritardi accumulati nel tempo (la Legge 328 del 2000 già prevedeva una serie di misure di integrazione lasciate lettera morta in numerose regioni) disciplinando i principi e gli strumenti per l’integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, sociosanitarie e sociali, e fornendo indicazioni alle Asl e agli altri enti del sistema sanitario regionale. Viene riaffermato il principio che l’accesso alla rete integrata dei servizi deve avvenire tramite un “punto unico” che indirizzano il cittadino. E che al fine di migliorare la distribuzione delle prestazioni domiciliari e residenziali per i malati cronici non autosufficienti, si devono adottare progetti di attuazione dando evidenza anzitutto del fabbisogno di posti letto articolato per intensità assistenziale e per durata.

Dal punto di vista dei LEA (articolo 10) l’accordo fissa la data del il 31 dicembre 2014 come termine ultimo per il processo di loro revisione/aggiornamento e introduce il principio della decadenza immediata per “grave inadempimento contrattuale” dei direttori generali che non conseguano gli obiettivi di salute e assistenziali da questi previsti. Il monitoraggio dei LEA ai fini della verifica degli adempimenti regionali che consentono l’accesso al finanziamento integrativo avverrà annualmente e lo stesso tavolo potrà disporre l’aggiornamento degli adempimenti o delle modalità di verifica, tenuto conto delle disposizioni normative intervenute, degli accordi e intese Stato Regioni e Unificata de delle sopravvenute esigenze di monitoraggio.

In relazione alle regioni sottoposte a piani di rientro (articolo 12) il patto stabilisce finalmente una incompatibilità tra commissario ad acta e presidente di regione ( anche se a valere solo per i nuovi commissariamenti) superando l’incredibile situazione attuale in cui un presidente che ha male amministrato può diventare commissario di sè stesso invece di essere dichiarato decaduto per manifesta inadempienza politica. Un piccolo passo per arrivare ad introdurre il “fallimento politico” dei politici che vengano riconosciuti incapaci dal punto di vista gestionale-politico.

Di nessun effetto pratico l’articolo 13 con cui si rivedono le composizioni dei collegi sindacali delle aziende sanitarie, che secondo il testo dovranno essere composti da tre membri, di cui uno designato dal presidente della Regione, uno dal Ministro della Salute e uno dal Ministro dell’Economia e che dovranno essere provvisti di requisiti che garantiscano standard di elevati qualificazione professionale. Chiunque abbia ragionato sulla materia sa infatti bene che lo strumento del collegio sindacale non funziona in quanto le concrete possibilità di verifica dei revisori sono talmente limitate da rendere scarsamente incisiva la loro capacità di effettivo controllo.

Per quanto riguarda infine la gestione delle risorse umane (articolo 22) la formulazione del testo non ha la necessaria chiarezza mostrando al contrario una eccessiva dose di ambiguità. Cosa vuol dire infatti “al fine di garantire la nuova organizzazione di servizi regionali con particolare riferimento alla riorganizzazione della rete ospedaliera ai servizi territoriali ……si conviene sulla necessità di valorizzare le risorse umane del SSN e di favorire l’integrazione multidisciplinare delle professioni sanitarie e i processi di riorganizzazione dei servizi senza oneri aggiunti”? Ha il valore di una generica dichiarazione di principio (e allora doveva essere collocata nelle premesse) o è volutamente indefinita essendo colma di contenuti troppo indigesti per essere chiaramente espressi?

E ancora cosa vuol dire al comma 3 “innovare l’accesso delle professioni sanitarie al SSN…ridisciplinare la formazione di base e specialistica , lo sviluppo professionale di carriera con l’introduzione di misure volte ad assicurare una maggiore flessibilità nei processi di gestione delle attività professionali e nell’utilizzo del personale nell’ambito dell’organizzazione aziendale”?

Sembra di leggere il testo di un contratto di lavoro in cui manca soltanto l’organizzazione spiccia dei turni di servizio e delle reperibilità! E’ questo che dovrebbe disciplinare un Patto per la salute o non è piuttosto una invasione di campo e un ulteriore schiaffo in faccia al sindacato sempre più marginale? Una impressione che diventa certezza leggendo i commi successivi in cui si istituisce uno specifico Tavolo ( da cui sicuramente continueranno ad essere reclusi i sindacati) e che dovrà svolgere una serie di funzioni che in altri tempi avrebbe visto protagonisti l’ARAN e le OOS di categoria coinvolte. Da segnalare tra l’altro come l’articolo abbia invece ricevuto il plauso dei giovani medici a testimonianza di come la categoria sia ormai attraversata da un conflitto che oppone giovani e vecchi garantiti e non.

Sullo stesso articolo 22 si è giocato lo scontro istituzionale riferito in premessa e alla fine le regioni hanno ottenuto ragione delle loro richieste. Come prima cosa è stato pattuito che per le regioni sottoposte a Piani di rientro il blocco automatico del turn over opererà fino al 31 dicembre dell'anno successivo a quello di verifica. Quindi è stata modificata la previsione del Dl 98/2011 che prescrive a partire dal 2015 il rispetto del vincolo contenuto nella Finanziaria 2010 di un tetto di spesa per il personale pari a quella del 2004 ridotta dell'1,4%, indipendentemente se la Regione sia in equilibrio economico. Nel nuovo accordo infatti viene previsto che “le Regioni siano considerate adempienti ove venga accertato il conseguimento di tale vincolo attraverso un percorso graduale fino all’applicazione totale dello stesso nel 2020”. A questo si aggiunge che comunque, Stato e Regioni hanno convenuto sulla necessitò di avviare un approfondimento per aggiornare il parametro dell'1,4 per cento.

Come ultimo punto e come ciliegina sulla torta viene istituita una cabina di regia per il monitoraggio del patto. E’ una mia opinione che tali strutture siano del tutto prive di reale incisività e che abbiano una utilità meno che marginale. Da segnalare che anche in quest’ultimo caso brilla la mancanza assoluta di coinvolgimento del sindacato. Siamo diventati senza accorgercene come gli Stati Uniti d’America ma di questo meraviglioso paese abbiamo preso solo i difetti e nessuno dei numerosi pregi che lo rende la meta preferita di tutti i migranti del mondo.

Roberto Polillo

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