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Lunedì 28 LUGLIO 2014
Badanti come infermieri. Anche la Toscana verso questa direzione?



Gentile direttore,
Grande dibattito ha suscitato la delibera 220/2014 delle Regione Emilia-Romagna sul ruolo dei caregivers, familiari e no, in merito alle “pratiche assistenziali eseguite a domicilio da personale laico su pazienti con malattie croniche, rare o con necessità assistenziali complesse”. Di questa delibera sono poi state approvate le modificazioni che ne hanno modificato in parte l’impianto e stemperato gli eccessi attributivi.

Comunque la delibera della giunta emiliana era costruita con la classica costruzione dell’atto amministrativo: una premessa, il vero atto deliberativo, due allegati: A e B. Nella premessa si elencavano, a titolo esemplificativo, le attività di cui hanno bisogno i pazienti (periodico cambio della postura, aspirazione delle secrezioni delle vie respiratorie, gestione dei cateteri venosi centrali, del sondino naso gastrico…). Nell’atto deliberativo vero e proprio si rimandava, per quanto concerne i contenuti, agli allegati nei quali, troviamo nel primo le “indicazioni sui percorsi” dove si indicano i “trattamenti domiciliari” previsti dall’allegato B effettuati dal paziente o da un suo assistente, familiare o terzo, senza la necessità del personale sanitario”. Nell’allegato B è contenuto il “progetto formativo di educazione terapeutica” dove erano elencate molte attività, alcune delle quali, di stretto carattere infermieristico e oggi fortemente ridimensionate.
Questa premessa diventa fondamentale per capire cosa sta accadendo nella Regione Toscana limitatamente all’assistenza domiciliare per le persone affette da SLA.

Le delibere regionali sono diverse e si sono succedute nel tempo – DGR 721/2009, 1053/2011 e 1113/2012 – e affrontano meritoriamente, in modo complessivo una serie di azioni a sostegno della permanenza a domicilio dei pazienti SLA dove, tra l’altro, si assegnano direttamente risorse ai caregivers stanziando i relativi fondi.

Quest’ultimi riguardano anche i corsi di formazione proprio destinati ai caregivers.
In buona sostanza gli atti deliberativi prevedono:
a) una sperimentazione di sviluppo della domiciliarità a pazienti con Sla in fase avanzata che permettono di un “intervento mirato di assistenza domiciliare che permetta alle stesse di essere assistite in modo qualificato all’interno del proprio contesto familiare e di mantenere una soddisfacente vita di relazione…in alternativa al ricovero residenziale o semiresidenziale” in una struttura;
b) l’erogazione di un “assegno di cura mensile” fino a un valore massimo di 1500 euro;
c) azioni di formazione e aggiornamento rivolte ai soggetti con funzioni di caregiver;
d) il caregiver “svolge attività di assistenza alla persona affetta dalla malattia, in particolare per quanto concerne la nutrizione, la respirazione, la mobilizzazione la comunicazione e l’utilizzo di tecnologie assistenziali”.

Dai tre atti deliberativi, per quanto ci riguarda in questa sede, non ci sono ulteriori spunti di interesse. Il tutto lo possiamo integrare con la legge regionale sulla non autosufficienza (legge 66/2008) che all’articolo 7 “Tipologie di prestazioni” per quanto riguarda in generale tutta l’utenza della non autosufficienza prevedeva interventi domiciliari diretti da parte del servizio sanitario regionale e indiretta “per il sostegno delle funzioni assistenziali”. Proprio l’assistenza sanitaria indiretta veniva incontro a una precisa richiesta dei malati Sla e delle loro associazioni.
Fino a questo punto nulla quaestio anzi, onore all’impegno della Regione Toscana per l’intervento in settori cruciali per il miglioramento della qualità di vita dei pazienti Sla in fase avanzata.

Senza particolare pubblicità sono invece partiti i “percorsi di formazione per caregiver per i malati di Sla” (vedi allegato) rivolto a familiari Sla e a “badanti” per un totale di 48 ore formative (24 di teoria e 24 di “laboratorio con esercitazioni pratiche”) dove oltre a immancabili e doverosi riferimenti a una mera assistenza di base troviamo: assistenza al paziente con catetere vescicale, cambio sacca e catetere, l’alimentazione tramite Peg e norme generali per la cura della Peg, gestione della sonda, somministrazione di farmaci, la gestione e la medicazione della tracheotomia, la gestione del bronco aspiratore, l’utilizzo del saturimetro, la gestione del respiratore (funzionamento dei circuito, gli allarmi, la gestione dell’umidificatore, cambio dei filtri), lo scuffiaggio e la respirazione con ambu.

In primo luogo vi è da esaminare il modus operandi della Regione Toscana relativo alla costruzione di un atto deliberativo che di fatto rimanda a un puro corso di formazione l’attribuzione di compiti a figure non sanitarie. La risposta è totalmente negativa: se la regione vuole fare proprie attività di regolamentazione lo deve fare con gli usuali strumenti normativi. Non può essere il centro di formazione a individuare le aree di intervento. Stabilisca la regione le attività e demandi al centro di formazione il relativo soddisfacimento dei fabbisogni formativi rispetto alle decisioni prese e non il contrario.

In secondo luogo vi è da esaminare il merito delle attività attribuite e stabilirne la liceità in conformità alle normative di esercizio professionale delle professioni sanitarie. Alcune criticità sono evidenti: il cateterismo vescicale, la somministrazione dei farmaci (senza alcuna indicazione delle vie di somministrazione), l’utilizzo del saturimetro (e delle conseguenti informazioni), la gestione del respiratore e lo scuffiaggio della cannula tracheostomica non sono attività che possono rientrare nelle competenze sanitarie della popolazione, del quisque de populo. Sono attività sanitarie che richiedono conoscenze e abilità di carattere professionale, alcune delle quali vengono svolte da infermieri (non tutti), altre presuppongono conoscenze medico-specialistiche e vengono usualmente eseguite da medici-specialisti.

Vi sono delle contraddizioni evidenti tra il pregevole intento dichiarato nelle delibere inerente al miglioramento della qualità della vita dei pazienti Sla in fase avanzata e il totale appalto alle badanti o ai familiari della gestione della loro assistenza. Il programma di formazione si propone di formare persone per la completa presa in carico degli assistiti che capiamo essere uno degli obiettivi dichiarati dalla stessa associazione dei parenti e malati Sla ma qui siamo oltre: attraverso il contributo economico e la formazione dei caregivers si demandano prestazioni professionali a figure non sanitarie.

Provvedimento molto in stile spending review e poco in stile diritto alla salute e coerenza con i principi del Servizio sanitario nazionale. Da un punto di vista strettamente giuridico le badanti non ricevono alcuna autorizzazione alla esecuzione delle attività né del resto potrebbero riceverla. Il loro esercizio è, dunque, abusivo. E’ bene precisarlo che di questo stiamo parlando senza, tra l’altro che sia indicato in delibera esplicitamente (e anche se lo fosse non cambierebbero i termini della questione).

Ricorda molto il contraddittorio parere della Conferenza Stato Regioni sulla tracheobroncoaspirazioni a domicilio del 2010 laddove si premetteva che la manovra richiedeva specifiche competenze di carattere sanitario, poi però veniva autorizzata alle badanti per non caricare sulle famiglie “il già pesante onere imposto dall’attraversamento delle varie fasi della malattia”. Bisogna fare attenzione in quanto la premessa sul punto era discutibile: lo scandalo è però la conclusione, tutta economicista, che contraddice la premessa.

La Regione Toscana mutua dalla Conferenza Stato Regioni il ragionamento: costa mandare personale sanitario al domicilio dei paziente Sla e di conseguenza si provvede a opere di sostituzione con personale pagato comunque dal Servizio sanitario regionale – contributo fino a 1500 euro mensili – di fatto privatizzando l’assistenza dei malati Sla.
Il tutto senza un chiaro atto deliberativo ma attraverso una sorta di corso abilitante che di abilitante non ha alcuna caratteristica.

Ci auguriamo che la Regione Toscana modifichi velocemente l’impianto come velocemente lo ha modificato la Regione Emilia-Romagna. Non si tratta di demolire l’impianto che prevede l’assistenza indiretta, ma di riuscire a coniugare la personalizzazione, l’umanizzazione e il mantenimento della domiciliarità dei pazienti con la professionalità e la sicurezza delle cure.
Il ruolo di familiari e badanti è insostituibile e deve essere rafforzato: non possiamo però chiedere loro di sostituirsi a chi per legge e per formazione garantisce il diritto costituzionale alla salute.

Luca Benci 
Giurista-Firenze
www.lucabenci.it

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