quotidianosanità.it
stampa | chiudi
15 MARZO 2015
Congresso Ipasvi. Ma ci sono le basi per una vera opposizione?
Gentile Direttore,
le scrivo per inserirmi nei pensieri di Cavicchi e di Massai. Io non ho partecipato al congresso, ho resistito. Non ho partecipato per diverse ragioni, ma soprattutto perché partecipando avrei dimostrato di accettare un dispotismo al quale preferisco resistere. Pertanto la mia non partecipazione al congresso è soprattutto una resistenza al conformismo, irrilevante sicuramente per il sistema,ma non per me,non per la mia consapevolezza di infermiere di oggi.
Massai dice che siamo in un sistema che da democrazia rappresentata diviene piano, piano dittatura “dolce”. E’ vero, non c’è democrazia, non c’è il governo del popolo, il nostro popolo non governa. L’attuale governo infermieristico non è un governo che si configura come nostro, un governo cioè che l’infermiere del popolo riconosce come sua espressione. La questione democrazia coincide con quella della voce. Io ,infermiere del popolo, devo poter far sentire la mia voce all’interno della mia storia e potermi riconoscere in ciò che viene detto e mostrato dalla mia società professionale, e in questo modo darle anche la mia voce, accettare che essa parli a mio nome. In una democrazia vera non ci si pone neanche il problema se fare o no un provvedimento disciplinare a chi esprime una critica al sistema.
E’ questa possibilità di un’armonia autentica tra le voci che definisce l’accordo sociale vero, la democrazia, e che manca nel governo infermieristico. La disobbedienza è invece la soluzione che s’impone quando si verifica una dissonanza, quando io, infermiere del popolo, lontano dai luoghi del potere, non percepisco la mia voce nel discorso sociale infermieristico, che dunque mi suona falso [1]. Quando per sentire la mia voce debbo parlare da solo, nascondermi, la voce armonica che sento è la voce di uno, non del popolo.
Leggendo la mozione conclusiva del congresso mi sono chiesta se i colleghi che l’hanno votata abbiano realmente sentito la loro voce in quella mozione e se si vorrei sapere quanti di quei colleghi lavorano in prima linea. Cavicchi dice che la mozione approvata alla fine del congresso è piena di fantasmi, priva di corrispondenza con la realtà e piena di contraddizioni, aggiungo. Si grida basta con i tagli insieme a chi i tagli li fa, li accetta; si grida basta con l’ibernazione dei compensi insieme a chi propone nuove competenze a costo zero; si grida basta con le accuse d’invasione di campo e si decide di valorizzare gli infermieri con il comma 566, senza presentare un progetto di sviluppo infermieristico che nasca dalla consapevolezza che la professione infermieristica è una professione complementare a quella medica e che pertanto non può prescindere dalle implicazioni della complementarietà.
Non è più sufficiente dire che i medici sono “cattivi” o che il mondo sia cattivo con gli infermieri; la questione infermieristica non è creata dai medici, sta nel perimetro professionale. I medici sono quello che sono, cosi come gli infermieri, né buoni né cattivi; il problema è che non sappiamo ancora quale corpo di saperi consolidato e distinguibile connoti l’unicità della professione in relazione alle funzioni svolte, non esiste un apparato giuridico in grado di tutelare e rafforzare il monopolio dal punto di vista legale e quindi l’esistenza di una fattispecie configurabile come esercizio abusivo della professione, non abbiamo ancora un meccanismo formalizzato di trasmissione dei saperi e delle competenze per i nuovi membri (Mario Del Vecchio, L’infermiere n° 4, 2011).
Per questo il governatore Rossi si è permesso di dire quello che ha detto e la presidente Silvestro non è intervenuta risolutamente e Federica Vannucchi ha rincarato la dose dicendo che Rossi voleva dire OSSS invece che OSS.
Se fossimo gli unici a poter eseguire certi atti e ad assumere certi ruoli non ci sarebbero badanti-infermiere, non ci sarebbe stato il ricorso al TAR per le delibera che ha fatto fuori gli infermieri dal 118. Penso poi anche alla povertà, all’ignoranza, alla poca presenza di certi sindacati che gridano allo stato di agitazione per il mancato, ma atteso, via libera all’accordo Stato Regioni; qui, di fronte ad uno stato di agitazione la cui motivazione è vergognosamente strumentalizzata, i cittadini dovrebbero ribellarsi civilmente. Ma come possono se nessuno li informa? Il cittadino al centro, tutti dicono, ma poi nessuno lo informa e gliene fanno di tutti i colori. Provi Cittadinanzattiva a farglielo sapere. Far credere a tutti che il mancato accordo si ripercuoterà sui cittadini e sui servizi è davvero un pensiero “maya” ignorante e fuorviante, per non dire altro.
I rapporti OASI 2013 e 2014, dicono come avremmo dovuto fare per mettere al centro il cittadino, ma il Ministero e la Presidente, sembra non abbiano letto i due rapporti. Nel rapporto del 2014 al capitolo 2 , “confronto dei sistemi sanitari in una prospettiva internazionale”, paragrafo 4 “bisogni di cura non soddisfatti”, figura 2.13, pag 67, si legge che l’Italia è tra i Paesi con maggiori bisogni insoddisfatti nel 2012.
Più in dettaglio, la rinuncia alle cure per ragioni di costo è aumentata dal 7% del 2007 al 10,5% nel 2012. Questa evidenza segnala la diffusione, tra le classi meno agiate, di fenomeni di undertreatment. Inoltre, nel rapporto OASI 2013, che già segnalava il fenomeno, si diceva che occorrevano innovazioni organizzative e di gestione operativa degli ospedali e delle comunità finalizzate ad una miglior conoscenza del cittadino e del malato per cogliere tutti quei bisogni insoddisfatti che richiedono saperi più relativi, più rapporti d continuità, garantibili dall’infermiere relazionale; inoltre, e soprattutto, si sottolineava la necessità di esperienze italiane che portassero a capire se lo skill mix change, in Italia, dovesse consistere in un trasferimento di saperi ed attività fra gruppi professionali diversi( skill mix change verticale), compresi gli operatori socio sanitari, o in una maggiore formazione e valorizzazione della stessa professione che è chiamata a usare tutte le sue potenzialità in maniera autonoma e responsabile( skill mix change orizzontale).
Questa esperienza doveva essere fatta contesto culturale sanitario per contesto culturale sanitario, insieme ai medici. Mi chiedo, allora, se l’infermiere specialista sia chiamato ad usare tutte le potenzialità dell’infermiere e soprattutto se potrà occuparsi dei bisogni insoddisfatti dei cittadini italiani e se quindi la rappresentanza, la politica ed i sindacati ed anche cittadinanza attiva stiano lavorando per i cittadini ed il miglioramento del sistema sanitario e quindi se stiano mettendo mano ad esperienze di skill mix change orizzontale ,auspicabili. Ma è evidente che no.
Massai dice a Cavicchi che il Congresso Ipasvi è in realtà un convegno gestito dalla “dittatura dolce” della maggioranza. Un Presidente di collegio provinciale che dice questo ha detto tanto, ma non ci dice come lo ha impedito per sua parte. Massai ha alzato il tiro ed ha detto tante verità e lo ringraziamo, ma non è sufficiente per essere opposizione. Perché vi sia opposizione bisogna che vi sia democrazia e perché vi sia democrazia bisogna prima eliminare un equivoco alla rappresentanza, che è questo: continuare a credere che gli infermieri abbiano l’abilità politica di adottare modalità di protesta idonee per manifestare il proprio disaccordo con coloro che li dirigono o li governano e che quindi “questa maggioranza” sia la maggioranza effettiva solo perché non protesta.
Questa equivoco, opportunamente alimentato per anni, per garantirsi una pseudo maggioranza, deve essere rimosso onestamente, altrimenti non potrà mai esserci democrazia. L’assenza di questa abilità politica negli infermieri è facilmente verificabile: mai che si sia osservata una forma di azione politica, contro un ventennio di rappresentanza, come quella esprimibile abitualmente in qualsiasi spazio di democrazia rappresentativa.
La stessa inabilità politica è osservabile nei presidenti di collegio anche solo intesa come incapacità a supportare proteste ai disagi più o meno taciti degli infermieri. In un governo professionale cosi palesemente non democratico, la disobbedienza non solo si vanifica, ma è pericolosa perché chi oggi disobbedisce è solo e considerato un ribelle invece che un “disobbeditore” ”(desobeisseurs), mancando il lavoro collettivo e incessante volto a preservare e ad accrescere il carattere giusto della istituzione che ci rappresenta. Il dovere etico di favorire la competenza politica degli infermieri è di ogni Presidente di collegio d’Italia.
Ogni Presidente di collegio e non solo quelli definiti “ribelli o eretici”, eticamente dovrebbe dare voce a chi è dissonante, non punirlo e lasciarlo parlare proteggendone il pensiero. La voce di ogni infermiere però dovrebbe essere ricercata nei luoghi di lavoro, ormai abbandonati da tutto il sistema. I consiglieri, i presidenti di collegio visitino e ascoltino in spazi di discussione gli infermieri nei luoghi di lavoro, in particolare nelle Residenze sanitarie assistite, nelle cooperative, nelle strutture private, nelle medicine nei pronto soccorso, nella libera professione, in ogni dove. Questo sarebbe un grande gesto per la democrazia professionale. Gli infermieri avrebbero modo di chiedere, sapere, discutere, crescere. Viceversa ogni infermiere sarebbe autorizzato, dalla propria morale e da un’etica di servizio, a diventare un “disobbeditore” e a non pagare la rata annuale quale forma di disobbedienza civile vera ed efficace. Perché in quel caso sarebbe autorizzato a considerare ingiusto il fatto di pagare una rata senza essere riconosciuto, dall’ istituzione che egli paga, come soggetto beneficiario-erogatore di deontologia.
I “disobbeditori” di oggi debbono poter contare su vittorie inattese perché vi sia presto democrazia. Lasciare tutta la responsabilità del cambiamento ai giovani infermieri lo trovo ingiusto; aiutiamoli, con azioni politiche importanti, iniziamo a non invitare più nei convegni chi non ama la democrazia anche se ci rappresenta, chi non ama il confronto. Ascoltiamo i giovani,chiediamo loro spirito critico in modo che non imparino a votare presidenti obbedienti che voteranno poi chi chiede loro obbedienza per esistere.
I Presidenti dei collegi, tutti, parlino, bene o male, ma parlino della professione, si esprimano pubblicamente come ha fatto Massai e se qualche Presidente verrà punito ce ne accorgeremo e con lui saremo solidali. Se i Presidenti inizieranno a parlare anche gli infermieri lo faranno.
Quando a qualche disobbediente sarà riconosciuta la propria voce e lui stesso riconoscerà la propria voce nel coro, altri disobbedienti prenderanno coraggio e fiducia e si esprimeranno e cosi ci sarà la democrazia e la competenza politica che oggi agli infermieri manca. E nessuno disobbedirà più.
Marcella Gostinelli,
Infermiera, dirigente sanitario
[1] S. Cavell, A Pitch of Philosophy:autobiographical Exercises, Harvard University Press, Cambridge ( MA) 1994 e S.Laugier, Faut-il encore ecouter les intellectuels, Bayard, Paris 2003
© RIPRODUZIONE RISERVATA